Ogni giorno le notizie più lette della giornata
Iscriviti e ricevi le notizie via email
È la storia più incredibile della nuova era del tennis azzurro. Una storia che sovverte le logiche, che sfida la statistica e che restituisce al tennis un eroe silenzioso, uno di quelli che non alza la voce ma alza i trofei.
Simone Bolelli, 40 anni, da Budrio, è diventato oggi il primo italiano della storia a vincere tre Coppe Davis.
APPROFONDIMENTI
Non accadeva da oltre mezzo secolo: gli ultimi erano stati due mostri sacri come Stan Smith e Arthur Ashe, giganti del tennis mondiale tra fine anni ’60 e inizio ’70. Da oggi, a quei due nomi si affianca quello di Simone Bolelli. Sì, proprio lui. Il doppista che ha attraversato 18 anni di nazionale e che oggi entra nella leggenda con un record che pare scritto dal destino.
L’uomo che c’era sempre: 18 anni di azzurro
La storia di Bolelli inizia nell’aprile 2007, in Israele: debutto amaro contro Noam Okun, riscatto a risultato acquisito su Dudi Sela. Da allora 46 incontri, 24 vittorie, 17 successi in doppio, 34 tie disputati. È stato lì nei tempi bui, quando l’Italia arrancava in Serie B, e c’era quando la squadra risalì nel World Group superando il Cile grazie anche al suo punto in doppio.
Un uomo che ha fatto il lavoro sporco quando nessuno guardava.
Un uomo che ha spinto la carretta quando sembrava impossibile farlo.
Tre Davis in tre anni: un record surreale
Bologna 2025 è la sua terza Insalatiera consecutiva, dopo Malaga 2023 e Malaga 2024.
Ed è qui che la storia supera il romanzo: non ha mai giocato un match nelle Finals nelle tre edizioni.
Eppure è stato considerato imprescindibile da ogni capitano.
Perché insostituibile?
Perché Bolelli è il giocatore che vuoi avere accanto quando il tennis smette di essere tecnica e diventa battito, ansia, energia.
Perché un doppista così esperto ti cambia lo sguardo: se il tie va al doppio decisivo, lui è il piano A che diventa sicurezza, che diventa certezza. Il talismano. Il totem. Il senatore che non vacilla mai.
Le cifre dell’immortalità
Con queste tre vittorie, Bolelli eguaglia un primato appartenuto soltanto a Pietrangeli quanto a longevità in Davis: 18 anni di convocazioni, dal 2007 al 2025, con l’unica pausa nel 2021.
E supera tutti sul piano del trofeo più pesante:
– Primo italiano di sempre con tre Coppe Davis in bacheca;
– Primo al mondo a riuscirci dal lontano 1972;
– Titolare silenzioso di un pezzo di storia che nessuno vede ma tutti sentono.
La sua carriera: più lunga, più profonda, più vera
Bolelli non è solo Davis. È uno Slam vinto agli Australian Open 2015 con Fabio Fognini.
Sono tre finali Slam con Andrea Vavassori (Melbourne 2024, Parigi 2024, Melbourne 2025).
È una semifinale agli US Open, una a Wimbledon, tre partecipazioni alle Finals di doppio.
È il numero 36 ATP in singolare, prima di decidere saggiamente – nel 2019 – di dedicarsi solo al doppio.
Un giocatore generoso, longevo, resistente. Uno che non ha mai inseguito la luce: l’ha costruita.
L’eredità del talismano
La presenza di Bolelli in panchina, nelle ultime tre Davis, è stata un equilibrio invisibile: una mano sulla spalla, un consiglio sussurrato, una voce nei corridoi. È stato il fratello maggiore di Musetti, il compagno tecnico di Vavassori, lo specchio in cui la squadra guardava se stessa.
Questa terza Davis non è un caso. Non è nemmeno fortuna. È la dimostrazione che nel tennis – come nella vita – esistono ruoli che non si vedono, ma che sono fondamentali.
E la leggenda di Simone Bolelli nasce proprio qui: nell’essere stato sempre presente, sempre pronto, sempre decisivo.
Anche senza colpire una palla.