Simone Tortato ha corso fino ai dilettanti, poi un infortunio l’ha fermato ad un passo dal professionismo. La passione però non è mai svanita e, dopo aver continuato a correre da amatore, quattro anni fa ha creato nel suo paese, Marcon in provincia di Venezia, una squadra di giovanissimi, i bambini dai 7 ai 12 anni.
Un’esperienza di ciclismo dal basso all’insegna del divertimento e dell’educazione, più che della competizione a tutti i costi. Un’esperienza che è cresciuta di stagione in stagione dando a Tortato molte soddisfazioni, sia sportive che umane. L’abbiamo contattato per farci raccontare questa storia.


Simone, come avete cominciato?
Siamo nati come una normale società amatoriale, l’ASD Velodrome Marcon, il prossimo anno sarà la nostra decima stagione. A fine 2022 un mio amico mi ha detto che a suo figlio della categoria giovanissimi sarebbe piaciuto iniziare col ciclismo, e se potevamo pensare a qualcosa, quello è stato il “LA” per iniziare. Il primo anno con quattro bambini, poi sempre di più. Avendo tanti amatori abbiamo contato sulla solidarietà, senza sponsor. Tutt’ora non abbiamo l’ammiraglia e dobbiamo fare nel nostro meglio con i genitori.
Un esperimento che però ha attecchito subito… dove vi allenate?
Dopo il primo anno con quattro bambini, l’anno scorso siamo arrivati ad una decina, e quest’anno a quindici. Le prime due stagioni andavamo ad allenarci in un bike park un po’ lontano, a circa 30 chilometri da Marcon, il nostro paese. Quest’anno per fortuna il Comune ci ha dato l’uso prioritario di un parco poco utilizzato, che stava diventando zona degradata. E noi in questo modo l’abbiamo valorizzato.


Quindi più mtb che strada, giusto?
Esatto, ci stiamo orientando più sulla mtb proprio per questo, perché non possiamo allenarci nei parcheggi pubblici, e in strada tanto meno. Abbiamo puntato fin da subito più sul gioco e sull’educazione che sulla competizione.
Cioè?
Abbiamo visto che per le famiglie è molto più semplice far venire i figli agli allenamenti due volte a settimane che alle gare, anche a livello logistico. Perché per venire al parco possono partire direttamente da casa in bici, invece alle gare magari c’è da organizzarsi una giornata intera. Quindi abbiamo deciso che per noi la competizione sarebbe diventata secondaria. Questo ha creato un ambiente più giocoso e attrattivo, anche perché nelle gare c’è già molto agonismo anche a tra i giovanissimi. Noi invece cerchiamo di andare solo agli eventi dove premiano tutti.


E questo funziona?
Assolutamente sì. Per esempio tra no non usiamo più la parola “ultimo”. L’ultimo è quello che non viene, che non partecipa, non chi arriva dopo gli altri. Se siamo in sette si va dal primo al settimo, in modo che nessuno si senta “ultimo”, ma parte di un gruppo. Anche perché poi comunque chi ha i numeri poi emerge lo stesso. Un altro esempio. Il figlio del mio amico di cui parlavo era predisposto a correre e vinceva comunque. Al punto che poi quando è passato esordiente, con un’altra squadra, ha vinto il campionato italiano. L’abilità di un allenatore è quella di adeguarsi a chi ha di fronte, deve assecondare le diverse caratteristiche dei ragazzi, specie a quell’età. Quando hai davanti molti bambini, tutti diversi, devi lavorare con queste due varianti, educative e di performance. In questo modo è possibile creare un ambiente accogliente sia per il campioncino che per chi viene solo per la compagnia, e vengono tutti volentieri.
Si sente dire spesso però che in questo modo si sfavoriscono i più meritevoli…
Non è vero. Sono ormai quattro anni che alleno, e ho un bambino che è con noi fin dall’inizio ed è arrivato sempre ultimo. Ma continua a venire perché si diverte, ed è il mio orgoglio, anche più del campione italiano. Anche perché se lo perdi poi cosa fa? Magari qualcosa di meno educativo per lui. A quell’età i bambini devono sentirsi nella loro dimensione, che non vuol dire tarpare le ali ai più forti, anzi. E lo dico da agonista, da uno che ha corso in tutte le categorie fino ai dilettanti e a cui piace la competizione.


Come si svolge un allenamento dei giovanissimi?
Abbiamo questo parco in cui abbiamo costruito un circuito, che è una modalità semplice e funzionale. In questo modo i ragazzini più performanti possono continuare a girare, e quelli che fanno più fatica possono fermarsi ogni tanto e riprendere quando se la sentono. Cosa che in strada non sarebbe possibile. Ora che siamo in paese intercettiamo i locali, perché ci siamo accorti che uno dei problemi più grossi, specie per le mamme, è quello di caricare la bici in bici in macchina. Invece poter partire da casa e venire direttamente in bici col bambino fa tutta la differenza del mondo. Ogni tanto li porto in pista a Portogruaro, dove c’è uno dei migliori velodromi italiani. Lì imparano altre tecniche di guida con le bici da strada.
Le bici le fornite voi?
Col tempo piano piano ne ho recuperate una decina, quindi sono della squadra e le forniamo noi. Altrimenti quasi nessuno la comprerebbe, anche perché poi dopo 2 anni devono cambiarla, quindi è fondamentale. Il problema più grosso è dove trovare i ricambi, e forse la Federazione dovrebbe prendere in considerazione questo problema. Perché la mtb ce l’hanno tutti, ma la bici da strada invece no. Dobbiamo trovare delle soluzioni per avvicinare sempre più bambini senza che diventi un costo proibitivo per le famiglie. Perché poi il talento lo tiri fuori dai grandi numeri, è più facile trovarlo tra 1000 che tra 100 o tra 10. Quello che vedo invece è che ci sono sempre meno squadre, meno gare.


Cosa dovrebbe fare secondo te la Federazione in questo senso?
Cercare di semplificare al massimo, magari facendo un passo indietro su alcune restrizioni. Adesso per far nascere un squadra occorrono delle bici con tutti i crismi, altrimenti è un problema. Noi come squadra abbiamo organizzato quest’estate il gioco-bimbi, un evento aperto ai bambini non tesserati, appoggiati alla sagra di paese. Abbiamo avuto 91 partecipanti, un grandissimo successo, al punto che tanti poi mi hanno chiamato per sapere come abbiamo fatto. Il segreto sia dare il più possibile l’accessibilità dal basso, dalle scuole, nelle sagre, fare in modo che sia uno sport più aperto. Dove anche se uno viene con la bici da casa va bene lo stesso. Invece una gara vera e propria, con le ammiraglie e le bici belle, magari è respingente per alcuni. Si deve ripartire dal ciclismo popolare. Noi non a caso siamo passati da 4 a 15 iscritti così, dando accessibilità.
Avete novità in serbo per il 2026?
Faremo quello che abbiamo fatto finora, ma cercando di migliorare ancora. Abbiamo già nuovi bambini che vogliono provare e genitori che si mettono a disposizione, cosa che per noi è un importante valore aggiunto. Anzi sono molto contento delle persone attorno a noi, perché c’è una grande sensibilità a riguardo, sposano la nostra filosofia. Poi quando i giovanissimi iniziano ad avere 11-12 anni cominciamo a metterci un po’ alla volta dell’agonismo per chi vuole. Ma da piccoli secondo me non serve a niente, anzi può essere controproducente.


Simone, ultima domanda. La soddisfazione più grande in questi anni?
L’anno scorso ho avuto tre esordienti selezionati dal Veneto per i campionati italiani che avevano corso con me. Quindi vuol dire che anche a livello tecnico facciamo bene. Ma cerco sempre di concentrarmi sul singolo, sulle sue necessità, che sono uniche e particolari. Non a caso ho avuto due grandi soddisfazioni in questi anni. Aver vinto i campionati italiani e avere ancora con me quel bambino che è sempre arrivato ultimo. Una bellissima sintesi del mio modo di allenare i più giovani.