di
Marco Cremonesi

La premier non si ferma davanti alla sentenza della Corte europea e rilancia il ruolo dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. La risposta a monsignor Perego

Avanti tutta, senza incertezze. Palazzo Chigi e l’intero governo hanno preso non male ma malissimo il pronunciamento della Corte di giustizia europea. Nonostante la norma fosse stata scritta nello scorso ottobre tenendo conto delle precedenti sentenze, in Lussemburgo hanno messo paletti che rimettono in discussione le strategie di contrasto all’immigrazione che per il governo sono uno degli asset fondamentali. E infatti, una dura nota di risposta è arrivata a Palazzo Chigi a strettissimo giro, meno di un’ora e mezza dopo la diffusione della pronuncia della Corte. E la linea non cambia: «Il centro albanese rimane aperto e sarà pienamente utilizzato».

Oltre alla decisione della Corte, quel che proprio non è piaciuto a Giorgia Meloni è stato l’intervento dell’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della fondazione Migrantes. Quelle affermazioni dell’alto esponente della Cei sul «balletto di decreti e di leggi per utilizzare come hub, come centri di accoglienza e come Cpr le strutture costose realizzate in Albania termina con questa dichiarazione della Corte europea, che ormai non lascia margini ad altre, subdole manovre per allontanare il dramma di migranti in fuga dai nostri occhi e dalla nostra responsabilità costituzionale».



















































È il termine subdolo ad aver fatto saltare sulla sedia Giorgia Meloni che al Corriere specifica: «La politica migratoria del governo non è subdola». Perché «subdolo, vocabolario alla mano, è chi maschera con altre apparenze intenti non lodevoli». Mentre invece, prosegue la premier, «noi non mascheriamo l’intento di combattere le organizzazioni criminali o di far rispettare le leggi dello Stato italiano, obiettivi che consideriamo lodevoli». Semmai, «subdoli sono ben altri comportamenti. Quindi respingo con fermezza le accuse di monsignor Perego e consiglio di avere maggiore prudenza nell’uso delle parole».

Un’amarezza, quella della premier, che nasce dallo sforzo anche personale messo in campo. La riunione dell’altro giorno con i partner di maggioranza, le recentissime visite in Tunisia e in Turchia — la premier giusto ieri era a Istanbul con il presidente Erdogan — sono il segno che le politiche contro l’immigrazione illegale sono ai primi posti dell’agenda di Giorgia Meloni e non soltanto in quella di Matteo Salvini.
E così, l’imput — peraltro condiviso da tutti — è quello di procedere. Piantedosi lo ha spiegato subito: si tratta soltanto di «reggere per dieci mesi», fino a quando non entrerà in vigore il Patto sulla migrazione e l’asilo, approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio. A quel punto, il riconoscimento dei Paesi sicuri — uno dei quattro pilastri dell’accordo — «sarà condiviso da tutti gli Stati membri e sarà assai più difficile da impugnare da parte della magistratura», come invece è accaduto quasi sistematicamente dopo l’apertura del Centro per il rimpatrio (Cpr) di Gjadër in Albania.

E dunque, la linea del titolare del Viminale, «noi continueremo a basarci sulla lista dei Paesi sicuri utilizzando il centro come Cpr, ma anche per i rimpatri con procedura accelerata». Senza nascondersi che «alcuni magistrati continueranno a fare ostruzione e a impugnare i diversi provvedimenti». Ma nella consapevolezza che il braccio di ferro ha un termine. In questo caso è in gioco «il principio dell’interesse nazionale che è insito nella definizione stessa di uno Stato». Un interesse che non può essere «fondato sul sistema dell’accoglienza, con tutte le storture che abbiamo visto in questi anni, ma sul lavoro. E dunque sui decreti flussi». Ricordando che questi ultimi «garantiscono l’accesso al nostro Paese a circa 500 mila persone». Mentre gli «ingressi senza regole, le rotte balcaniche e i barconi sono quelli che ci regalano le bande di maranza, gli spettri nelle stazioni» e, non per ultimo, «l’abbassamento dei salari degli italiani e comunque dei lavoratori in regola».


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2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 07:17)