di
Francesco Battistini

Il discorso di Putin in Kirghizistan. Mentre a Strasburgo la Lega si astiene e i Cinque Stelle si dividono

DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – Voi vi ritirate e noi la smettiamo. Dal suo mondo al contrario, Vladimir Putin celebra un’«apertura» alla pace. E siccome a occupare sono sempre gli ucraini e a retrocedere non dev’essere mai l’invasore, ecco che il suo cessate il fuoco sarà possibile solo quando Kiev si sarà ritirata. «Se le truppe ucraine lasciano i territori che occupano — promette lo zar, senza spiegare se parli solo del Donbass o anche di Kherson e Zaporizhzhia —, allora smetteremo di combattere. Se non lo fanno, raggiungeremo i nostri obbiettivi militarmente». In visita a Bishkek, fedelissima capitale del Kirghizistan, Putin ripete quel che Trump e Zelensky già sanno: 1) la bozza Usa «può diventare la base d’accordi futuri», sì, ma non immediati; 2) «inutile» firmare un accordo con una leadership «illegittima», com’è quella zelenskiana (parola d’un regime che proprio ieri ha ufficialmente dichiarato «terroristi» gli oppositori del partito di Aleksei Navalny); 3) servirà comunque «un riconoscimento internazionale» dei territori riavuti da Mosca, e chissà con quali tempi. A Kiev non s’aspettavano niente di diverso. E chiusi nel porcospino d’acciaio, ragionano come se la tregua non fosse in agenda: anche se le armi tacessero, è l’ultimo calcolo, servirebbero in ogni caso 105 miliardi l’anno per prevenire una terza invasione. E nell’immediato, accumulati i proiettili che servivano per proseguire la guerra d’inverno, ora la richiesta all’Occidente è d’avere un po’meno munizioni e sempre più droni.

Guerra&guerra. Perché chi non vuole la pace, diceva Tolstoj, è sempre bravissimo a creare le condizioni più vantaggiose per combattere. «L’avanzata delle nostre truppe sta accelerando», esulta Putin: solo in ottobre, gli ucraini «hanno perso 47mila uomini». E quindi, perché trattare? Quelle in Kirghizistan, sono le prime parole del leader russo dopo l’incontro di Ginevra, dove «abbiamo diviso in quattro parti i 28 punti» del piano Trump, nella consapevolezza che invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Zelensky approfitta del Thanksgiving Day per ringraziare il presidente americano, che gli aveva dato dell’ingrato. Ma in attesa d’un faccia a faccia, tocca a lui per ora l’ingratissimo ruolo del tacchino sacrificale: a giorni, arrivano a Mosca gli americani, per parlare del riconoscimento di Donbass e Crimea come territori ormai acquisiti da Mosca, ma pure delle «sconcertanti» sanzioni petrolifere che gli Usa hanno imposto a Lukoil e Rosneft. Sono escluse novità negli staff negoziali, fa sapere lo zar. È caduto in disgrazia Sergei Lavrov? «Un’assurdità», resta lui il ministro degli Esteri. E Steve Witkoff è un amico del Cremlino? «Una sciocchezza. Sì, abbiamo questo dialogo, senza discutere o sputarci addosso, da persone intelligenti. Sarebbe sorprendente, se lui c’insultasse con oscenità e poi tornasse a stabilire migliori relazioni con noi».



















































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Non pare Washington, la preoccupazione principale di Putin. Che ostenta perfino disinteresse per l’offerta di rientrare nel G8: «Non abbiamo chiesto noi di partecipare. E non vedo proprio come potremmo interagire. Riuscite a immaginarvelo? Arriviamo, diciamo “ciao” e poi che cosa? Ci guardiamo in cagnesco?». Rompere, è stato «uno sviluppo naturale» dopo l’Ucraina e non saranno certo gli europei — «che stanno preparando un furto di proprietà», confiscando gli asset russi — a far ricucire. Mentre il capo del Cremlino parlava, l’Eurocamera votava la risoluzione sulla pace, esigendo di non tagliar fuori né l’Ue, né l’Ucraina: fra gl’italiani, sì da Fdi, Fi, Pd e Avs, diviso il M5S, astenuta la Lega. L’Europa «non deve mettersi in mezzo», dice Matteo Salvini. Macché, polemizza il suo alleato di governo Antonio Tajani, «l’Europa si deve mettere in mezzo». Specie ora che la Germania fa uscire il suo «piano operativo» su come affrontare una futura guerra nel 2029. «Se gli europei spaventano i loro cittadini e vogliono sentire che non abbiamo piani aggressivi — ironizza Putin —, va bene: siamo pronti a dirlo». Ma se i luoghi sono simboli, non sfugge che lo zar parli da Bishkek, la città che originò la più spaventosa pestilenza medievale. E in Europa fece 50 milioni di morti. 

27 novembre 2025 ( modifica il 27 novembre 2025 | 23:35)