di
Marco Imarisio

Putin ha risposto all’accelerazione diplomatica in corso sull’Ucraina avvertendo l’Europa sulla confisca dei beni russi. E il Kirghizistan, che lo ospitava, ha montato un maxischermo per nascondere la bandiera ucraina

L’ambasciata ucraina è proprio davanti al palazzo presidenziale di Bishkek, la capitale kirghisa. Ma Vladimir Putin non la vede. È stata schermata da un pannello posto sulla strada che separa i due edifici. Cortesie per gli ospiti, le chiamano. Il Kirghizistan è un alleato sempre più prezioso della Russia. Negli ultimi anni, questo Paese quasi privo di industria ha aumentato del 150 per cento l’acquisto di semiconduttori, di microchip e di qualunque altro bene proveniente dai Paesi che hanno imposto sanzioni a Mosca, senza che i venditori esteri si chiedessero dove mai potesse finire la loro merce. 

Era inevitabile che durante questa visita di Stato il presidente russo si esprimesse sulla situazione attuale. Infatti, ne ha parlato tanto, senza dire molto. Per la maggior parte del tempo, ha ribadito vecchie tesi, con quelle frasi fatte che sembrano patrimonio dell’intera nomenklatura russa. «Qualcuno in Occidente pensa che bisogna combattere fino all’ultimo ucraino» ha detto, quasi una citazione involontaria del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che a sua volta citava l’ex presidente Dmitry Medvedev, e si potrebbe andare ancora avanti. 



















































Con una certa ironia, Putin ha sostenuto di non essere più sicuro di quale piano gli sarà presentato nei prossimi giorni a Mosca da Steve Witkoff, ma ha precisato che quello originale in ventotto punti è una buona base dalla quale partire, come ribadito in questi giorni dal suo portavoce Dmitry Peskov, e ci mancherebbe altro. Anche se ha poi aggiunto che dopo i colloqui di Ginevra tra Stati Uniti e Ucraina, «hanno deciso tra loro» di dividere il testo originario in quattro parti, «che devono ancora essere tradotte in un linguaggio diplomatico». 

In ogni caso, al momento non si tratta di «un progetto d’accordo, ma di un insieme di questioni» che devono essere «discusse, elaborate e formulate in modo definitivo». Neppure la frase più esemplificativa delle sue intenzioni è inedita. «Le ostilità finiranno solo quando le truppe ucraine lasceranno le aree che stanno occupando, altrimenti la Russia otterrà questo risultato con mezzi militari». È un concetto espresso già altre volte, ma tralasciando il fatto che il presidente russo si è riferito in modo generico alle quattro provincie ucraine annesse nel settembre del 2022 con un referendum non riconosciuto da quasi nessun Paese al mondo, assume senz’altro un certo peso alla luce delle attuali discussioni su un altro negoziato di pace. 

Inoltre, dopo aver affermato che Crimea e Donbass «devono essere l’argomento delle nostre trattative con gli Stati Uniti», parlando della situazione al fronte ha citato i progressi che secondo lui il suo esercito sta compiendo nella regione di Zaporizhzhia. 

Altri passaggi degni di rilievo sono stati quelli dedicati all’Europa. Putin si dice disposto a mettere nero su bianco la sua volontà di non attaccarci, soffermandosi poi sull’eventuale confisca dei beni russi congelati nel vecchio continente, che a suo dire avrebbe «conseguenze negative per il sistema finanziario globale», ridurrebbe la fiducia nell’Eurozona, e lo obbligherebbe a un «pacchetto di contromisure» sul quale sta lavorando. In qualche modo, ha rivelato quale è oggi il suo più grande timore

Non gli può certo fare paura la visita imminente di Steve Witkoff, che ha difeso con una certa forza, ricordando che in Russia certe cose come la divulgazione delle telefonate non si fanno, «da noi è un reato». La presenza dell’amico americano non è certo dovuta alla propria convenienza, per carità. Qui Putin dice una cosa nuova usando un vecchio cavallo di battaglia. Compiendo una operazione intellettuale abbastanza spericolata, giustifica la trattativa esclusiva con Washington e soprattutto la sua pretesa di un riconoscimento internazionale dell’esito dei negoziati, con la solita affermazione sul mandato scaduto di Volodymyr Zelensky e quindi sull’assenza di qualcuno con cui siglare accordi validi a Kiev. In conclusione, nulla di definitivo. Tempi incerti, ancora tanta strada da percorrere, e altrettanti dubbi su una reale volontà di pace del Cremlino.

Ironia sulle trattative e minacce all’Europa: lo zar in Kirghizistan si prepara per Witkoff

28 novembre 2025