È il canto di un muezzin ad accogliere Leone XIV ad Ankara. La voce esce da una piccola moschea proprio accanto all’aeroporto, mentre il Papa scende dall’aereo che da Roma lo ha portato in Turchia. È una visita che vuole costruire ponti il primo viaggio apostolico di Robert Francis Prevost che arriva nel sesto mese del pontificato. Un viaggio nel segno dell’«unità» e della «pace», anticipa ai giornalisti sul volo papale. Tre giorni e mezzo nel Paese che unisce Oriente e Occidente; poi due e mezzo in Libano, nazione ferita dalla guerra. In Turchia giunge per celebrare i 1.700 anni del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico della storia e il Concilio che ha scritto il Credo.

C’è bisogno di «costruire ponti», aveva detto Leone XIV nel giorno della sua elezione. Ed è «ponte» la parola chiave nel giorno di esordio di un “pellegrinaggio” dal valore programmatico. Ripartendo dall’idea del ponte che il Papa aveva espresso affacciandosi dal balcone centrale della Basilica Vaticana, la rilancia adesso guardando a quello sullo stretto dei Dardanelli, simbolo di Istanbul – dove giunge in serata – e di tutta la Turchia. Servono ponti fra le religioni. Ponti nel nome della tutela dei diritti, dice il Papa. Ponti «a sostegno della famiglia e del contributo femminile alla piena fioritura della vita sociale». Ponti per la pace. Leone XVI li indica nella biblioteca del palazzo presidenziale, di fronte a un mappamondo gigante che sembra dire come le sue parole non siano rivolte solo alla Turchia. Soprattutto quando pone l’accento sull’azione della Santa Sede che «con la sua sola forza, che è quella spirituale e morale, desidera cooperare con tutte le nazioni che hanno a cuore lo sviluppo integrale» per «costruire un mondo migliore». Ciò dimostra anche come il viaggio abbia anche una valenza politica per il Papa.

È una città di grattacieli e moschee a dare il benvenuto a Leone XIV. Le bandiere rosse con la mezzaluna sono accanto a quelle vaticane lungo le grandi arterie. Ma non la folla. Perché la tappa ad Ankara è tutta istituzionale. E ha come fulcro il faccia a faccia con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Appena un anno li separa all’anagrafe: 70 anni il Papa, 71 il padrone di casa. Ma nella cerimonia all’ingresso della colossale residenza che il leader turco ha fatto costruire, Erdogan cammina a fatica lungo il tappeto azzurro steso per l’illustre ospite; invece il Papa ha il passo agile e sostenuto, tanto da aver voluto un’agenda fitta di appuntamenti e spostamenti per il viaggio. Anche nella capitale: meno di cinque ore per l’accoglienza ufficiale, la visita al mausoleo di Atatürk, “padre” della Turchia moderna, il colloquio con il presidentissimo, l’incontro con le autorità e la società civile insieme con Erdogan. Il capo dello Stato con voce energica racconta di aver parlato con il Papa delle «sfide per l’umanità» perché la visita «coincide con un periodo segnato da problemi internazionali sempre in aumento, dall’Asia all’America». Lo rassicura sulla mediazione tra Russia e Ucraina: «Continuiamo a fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità». E sul dramma della Palestina fa sapere: «Dobbiamo favorire la soluzione dei due Stati». Leone XIV gli conferma un’apertura di credito: «Signor presidente, possa la Turchia essere un fattore di stabilità e di avvicinamento fra i popoli, a servizio di una pace giusta e duratura». E gli promette la vicinanza della Santa Sede, memore delle visite di quattro suoi predecessori e della posizione geografica che ne fa un baricentro fra Europa e Asia. Poi il Papa allarga la prospettiva: «Oggi più che mai c’è bisogno di personalità che favoriscano il dialogo e lo pratichino con ferma volontà e paziente tenacia. Dopo la stagione della costruzione delle grandi organizzazioni internazionali, seguita alle tragedie delle due guerre mondiali, stiamo attraversando una fase fortemente conflittuale a livello globale, in cui prevalgono strategie di potere economico e militare, alimentando quella che papa Francesco chiamava “terza guerra mondiale a pezzi”. Non bisogna cedere in alcun modo a questa deriva! Ne va del futuro dell’umanità». Quindi il monito: «Le energie e le risorse assorbite da questa dinamica distruttiva sono sottratte alle vere sfide che la famiglia umana oggi dovrebbe affrontare invece unita, cioè la pace, la lotta contro la fame e la miseria, la salute e l’educazione e la salvaguardia del creato».

I ponti che ha in mente il Papa sono anche quelli che partono dalla famiglia, «primo nucleo della vita sociale». Il Pontefice ne esalta il ruolo e chiede che sia supportata. Perché «non è da una cultura individualistica, né dal disprezzo del matrimonio e della fecondità che le persone possono ottenere maggiori opportunità di vita e di felicità». Nella vita familiare si impara anche l’«apporto femminile». «Le donne – osserva il Papa – sempre più si mettono a servizio» dei Paese con una loro «positiva influenza nel panorama internazionale». Parole che pesano in una nazione che si è di nuovo islamizzata e che viene accusata dall’Occidente di ridurre gli spazi di libertà. «La Turchia in cui il 99% dei cittadini è musulmano promuove il rispetto di tutte le minoranze e le religioni», sostiene Erdogan. Il Papa cita Giovanni XXIII, «da voi ricordato come il “Papa turco” per la profonda amicizia che lo legò al vostro popolo», per ribadire che i cristiani sono parte della nazione e che va incoraggiata la «cultura dell’incontro». Poi raccomanda: «In una società come quella turca, dove la religione ha un ruolo visibile, è fondamentale onorare la dignità e la libertà di tutti i figli di Dio: uomini e donne, connazionali e stranieri, poveri e ricchi. Tutti siamo figli di Dio e questo ha conseguenze personali, sociali e politiche. Chi ha un cuore docile al volere di Dio promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti». E rimarca: «Una società è viva se è plurale. Sono i ponti fra le sue diverse anime a renderla una società civile».