Nel bagno lo hanno costretto a stare per due ore. Chiuso a chiave. Un sequestro di persona nel cuore della notte di Halloween. Lo hanno lasciato lì dopo le prime torture, con la testa e le ciglia rasate. Il peggio forse lo hanno fatto dopo. Quando hanno riaperto quella porta. «Violenza sessuale di gruppo», è quanto scrive la giudice Maria Grazia Devietti Goggia nell’ordinanza di custodia cautelare del tribunale dei minori di Torino che ordina il collocamento in comunità per due ragazzi di 14 e 15 anni. Li hanno arrestati ieri i carabinieri di Moncalieri. «Sequestro di persona» e «violenza privata» sono gli altri reati contestati. Di fronte al male ogni definizione è impossibile. Delle cose e delle persone. E questa – per l’accusa – è una storia di crudeltà. I due autori dei reati non sono una «baby gang». Sono amici. Non sono «bulli». Non solo perlomeno. Sono due ragazzi accusati di avere seviziato e violentato un ex compagno di scuola di 15 anni che – per i pm – ha qualche difficoltà a livello cognitivo. Loro sapevano di infierire su un soggetto fragile. Ed è questo il male, secondo chi ha dovuto sbrogliare i fili, con le indagini, di una storia terribile.

LA LETTERA

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Mentre il 14enne e il 15enne costringevano il coetaneo ad atti sessuali, lo hanno ripreso con il cellulare. Quel video è stato cancellato. Proprio dagli indagati, ritiene la procura. Quando la madre del giovane torturato, dopo l’inferno, ha scritto su Facebook, in un momento di disperazione e sfogo, cos’era avvenuto, i due indagati hanno cancellato la prova.

L’intervista

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Ma la giustizia è andata avanti. C’è una persona che ha visto integralmente il filmato della vergogna. Un testimone che ha raccontato tutto alla procura. Così la prova è stata cristallizzata. E questo elemento, insieme ad altri, ha convinto il tribunale ad accogliere la richiesta della procura. La misura stabilita dalla giudice è il collocamento in comunità. I reati contestati – per gli inquirenti – sono particolarmente gravi «per la condizioni di incapacità della persona offesa». Nel concetto di «incapacità» sta il senso del ragionamento dell’accusa. Gli indagati hanno infierito su un compagno che non poteva difendersi. Che non poteva comprendere in quale trappola della malvagità sarebbe finito, quando quei tre ragazzini, due maschi e una femmina, l’hanno invitato a casa di un parente la sera del 31 ottobre. Gli avevano promesso una «festa». Approfittando della sua «fragilità psichica», scrive la procura, lo hanno portato in un appartamento. Qui sono avvenuti «atti di sopraffazione e violenza totalmente gratuiti». Ogni sevizia ha un nome. Il taglio forzato dei capelli è violenza privata. La chiusura nel bagno un sequestro di persona. Gli insulti, le derisioni che feriscono l’animo e il corpo sono violenze che il quindicenne non dimenticherà. È un ragazzo coraggioso. Ha reagito come è giusto fare. Ha raccontato tutto ai carabinieri, accompagnato dalla madre.

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È l’alba del primo novembre quando la donna, disperata perché non riusciva a rintracciare il figlio dalla sera prima, vede sullo smartphone squillare il suo numero. Salta in auto e corre a prenderlo a Torino: «Quando l’ho visto – dirà – è stato uno choc: mi si è fermato il cuore». Alle 13, coi vestiti inzuppati, fradici dopo la notte di sevizie, il ragazzo si presenta in caserma a Moncalieri. La mamma gli tiene la mano, lo accarezza sulle spalle davanti ai militari. E lui parla. Per tre ore. «Avevo deciso di dormire dal nonno, ma un mio compagno di scuola mi ha avvicinato invitandomi ad andare a fare festa con lui e altri quella sera». Finiscono in una casa di Torino. «Subito mi hanno tolto il telefono». Al nonno, che lo aspetta per cena, non arriva nemmeno un messaggio. «Mi hanno chiuso in bagno per ore. Mi hanno rasato. Fatto dei tagli alle palpebre, poi costretto a lanciarmi nel fiume». È stato «vittima» solo per una notte. Ma non è questa la definizione che fa per lui. È un ragazzo guerriero che ha mostrato con l’esempio come si sconfigge il male.

INTERVISTA

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