Per Campagnolo, ve lo dico subito, ho un debole che penso sia condiviso da tutti gli italiani che pedalano ed hanno qualche capello bianco, ma anche da quelli più giovani, ne sono certo.
Dopo averci pedalato su, quando utilizzare il cambio vicentino era il “massimo che si potesse desiderare per la proprio bicicletta” mi sono trovato, per una serie di eventi, a lavorarci anche insieme. Negli anni ho scritto testi per i cataloghi, ho visto l’azienda evolversi, cambiare e, soprattutto, ne ho studiato la storia avendone scritto per due libri insieme ad altri autori.
Per quello la notizia che sta rimbalzando in tutto il mondo su un’evoluzione complicata dell’azienda mi ha lasciato l’amaro addosso.
Poi però mi sono andato a sfogliare un bel po’ di appunti della mia carriera giornalistica. Di Campagnolo ho cartelle piene di documenti e immagini in computer e hard disk, ma anche tante pagine scritte nel tempo, da test a interviste. E sapete che c’è? in mezzo a tanta memoria ho trovato anche segnali che ho pensato di condividere con i lettori. Ne è uscito questo articolo che vi invito a leggere con benevolenza verso l’autore, un po’ di parte, ma anche verso un marchio italiano che ha pedalato in salita diverse volte e che va difeso.
GPR
Campagnolo ha comunicato ai sindacati l’apertura della procedura che individua 120 esuberi su circa 300 dipendenti, pari a circa il quaranta per cento dell’organico. Una misura pesante, che arriva mentre la domanda globale di biciclette continua a essere condizionata dall’eccesso di scorte accumulato dopo il boom pandemico. L’azienda conferma che il piano industriale è stato approvato il 21 novembre 2025, senza rilasciare ulteriori dichiarazioni in un momento definito “delicato”.
La fase attuale, però, non rappresenta un unicum nella storia della casa vicentina. La traiettoria industriale di Campagnolo è infatti segnata da diversi momenti critici, affrontati e superati in più di novant’anni di attività. I documenti storici lo mostrano con chiarezza: ogni decennio ha posto sfide differenti, spesso decisive per la sopravvivenza e la trasformazione dell’azienda.
Le crisi del passato: un filo rosso che riemerge
Concorrenza giapponese e rivoluzione degli anni Ottanta
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Campagnolo entra in uno dei periodi più difficili della sua storia. La concorrenza giapponese, in primis Shimano, cambia la struttura del mercato introducendo tecnologie innovative e filiere produttive più aggressive. La pressione nipponica fu una delle minacce più serie alla posizione di Campagnolo sul mercato internazionale.
Il nodo dell’innovazione e i ritardi tecnologici
Nel medesimo periodo, l’azienda si trova a gestire un problema interno: la lentezza nello sviluppo di nuovi prodotti. I primi anni Ottanta hanno mostrato un “rallentamento nello sviluppo”, con tecnologie che faticavano a tenere il passo rispetto ai competitor .
La criticità non riguardò solo il prodotto finale, ma anche l’organizzazione tecnica e ingegneristica, che in quegli anni, non riusciva a rispondere con rapidità ai mutamenti del settore.
L’impatto della mountain bike
Un’ulteriore crisi è arrivata con l’esplosione della mountain bike, fenomeno che stravolge i segmenti di mercato. L’espansione del nuovo settore non trova Campagnolo pronta: lo sviluppo dei gruppi MTB non è immediato, mentre i competitor hanno acquisito rapidamente quote di mercato. Il passaggio fu problematico e di un impatto significativo sui volumi e sulle strategie commerciali. È anche il momento un cui l’arrivo di Shimano è diventato importante.
Gli anni Novanta e il difficile riequilibrio
Negli anni Novanta l’azienda ha affrontato una nuova fase complessa: mutamenti nella domanda, tensioni sulla marginalità, riorganizzazioni interne. Alcuni cambiamenti degli anni Novanta hanno rappresentato fronti difficili da superare e come la gestione della transizione tecnologica richiese scelte strategiche impegnative.
Investitori esterni: un’indipendenza sempre difesa
Nelle ricostruzioni storiche emerge anche un altro elemento ricorrente: la volontà dell’azienda di mantenere un controllo familiare pieno, senza aperture a fondi o investitori esterni cui hanno invece sorriso altre aziende italiane. Nonostante l’interesse di soggetti finanziari e industriali, Campagnolo ha più volte rifiutato ingressi esterni per preservare indipendenza e identità aziendale. Una scelta coerente con la tradizione del marchio, ma che in alcuni frangenti storici ha limitato la disponibilità di capitali utili a sostenere momenti di trasformazione.
Una pubblicità internazionale degli anni ’80 dell’azienda vicentina.
Le cause della fase attuale
I numeri del bilancio
Il bilancio al 31 maggio 2024, riporta il Corriere, evidenzia un calo del valore della produzione da 132 a 82 milioni di euro, accompagnato da una perdita intorno ai 15 milioni. La contrazione della domanda, dopo il picco 2020-2022, genera uno squilibrio tra capacità produttiva e ordini che colpisce in modo trasversale l’intera filiera.
Le reazioni sindacali
Le organizzazioni sindacali contestano l’entità degli esuberi e chiedono un piano industriale dettagliato. Il timore è quello di una progressiva riduzione delle attività nello stabilimento vicentino. Per i rappresentanti dei lavoratori, la strategia di rilancio dovrebbe essere esplicitata in modo trasparente e accompagnata da un percorso di tutela occupazionale.
Un nuovo snodo nella storia di Campagnolo
La crisi del 2025 si inserisce in una lunga sequenza di passaggi critici affrontati dall’azienda nell’arco della sua storia. Ogni volta, il marchio è riuscito a ricollocarsi attraverso innovazione, ridefinizione della gamma prodotti o riorganizzazioni interne.
Il piano approvato il 21 novembre 2025 sarà il banco di prova della capacità di Campagnolo di attraversare anche questa fase complessa. Il futuro del marchio dipenderà dall’equilibrio tra indipendenza, investimenti, innovazione tecnologica e gestione del capitale umano: gli stessi elementi che, nel corso degli ultimi decenni, hanno scandito ogni rilancio della casa vicentina.
Proviamo a essere ottimisti, il nuovo corso ha i numeri (e i prezzi) giusti
La riorganizzazione economica avviata da Campagnolo è un passaggio necessario, ma non sufficiente, per affrontare il momento più complesso della sua storia recente. Il vero terreno su cui si giocherà il rilancio sarà quello industriale e tecnologico. In questo senso, alcune scelte già compiute dall’azienda delineano scenari credibili per una ripartenza che, al di là del risanamento dei conti, punta a ridefinire il ruolo del marchio all’interno del settore.
Il lancio del Super Record 13 è il primo segnale di una trasformazione più ampia. Il gruppo non rappresenta soltanto un aggiornamento di prodotto, ma segna l’adozione di una filosofia completamente nuova: un’unica piattaforma in grado di adattarsi ai diversi territori d’uso, strada, all-road e gravel, superando la tradizionale separazione fra discipline. Questa impostazione consente a Campagnolo di muoversi in un mercato più ampio rispetto a quello del solo ciclismo su strada, mantenendo al tempo stesso un’identità tecnica coerente. Una piattaforma modulare permette infatti di ottimizzare la produzione, ridurre varianti e costi, e offrire un nucleo tecnologico comune capace di sostenere sviluppi futuri con maggiore flessibilità. Soprattutto, l’approccio appare positivo anche per la riduzione dei prezzi al pubblico, cosa di cui l’azienda ha parlato sin da subito al momento dell’introduzione della nuova piattaforma.
Accanto a questo, emerge una scelta strategica che potrebbe guardare anche alla mobilità contemporanea: la digitalizzazione del gruppo e l’integrazione con un’applicazione dedicata, la nuova My Campy App. Connettività, aggiornamenti software, gestione dei componenti e delle impostazioni via smartphone delineano un ecosistema in cui il valore del prodotto non si esaurisce nella meccanica o nell’elettronica, ma prosegue nei servizi digitali. È un approccio che avvicina Campagnolo a una logica sistemica, nella quale componenti, software, manutenzione e rapporto con l’utente convergono in un’unica esperienza. In un mercato sempre più orientato alla combinazione fra hardware e servizi, la scelta potrebbe risultare decisiva per intercettare un’utenza che non cerca soltanto prestazione, ma integrazione e semplicità d’uso.
Il nuovo corso tecnologico non riguarda soltanto il prodotto, ma anche l’immagine del marchio. La possibilità di parlare a più segmenti, dal ciclista su strada tradizionale al praticante gravel in cerca di versatilità, consente di ampliare il bacino di riferimento e di mitigare la dipendenza da un solo comparto, proprio in una fase in cui il settore della bici da corsa soffre più di altri. Se l’azienda riuscirà a consolidare una gamma coerente, capace di affrontare sia l’alta gamma sia il mercato all-road, potrebbe recuperare spazio commerciale senza snaturare la propria identità.
Naturalmente si tratta di un percorso che presenta incognite. La ripartenza richiede coerenza nelle strategie di distribuzione e assistenza, soprattutto ora che la complessità elettronica e digitale aumenta. Il mercato dovrà rispondere positivamente alla nuova impostazione, e Campagnolo dovrà dimostrare di saper sostenere i ritmi di aggiornamento tecnologico imposti dal settore. L’immagine storica di marchio “puro” della strada può essere una forza, ma anche un limite, se non viene accompagnata da una comunicazione capace di valorizzare la nuova flessibilità senza alienare l’utenza tradizionale.
Se la fase di ristrutturazione economica servirà a mettere ordine nei conti e adeguare la struttura aziendale, il rilancio industriale passerà da questa nuova visione: un sistema di prodotti modulare, digitale, trasversale e adatto a seguire le oscillazioni della domanda. È qui che Campagnolo può giocarsi la possibilità non solo di superare la crisi, ma di tornare a interpretare un ruolo centrale nell’evoluzione della componentistica ciclistica. Una strategia che, se pienamente realizzata, potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase nella storia del marchio.