Roma, 28 novembre 2025 – Una registrazione che potrebbe essere stata fatta filtrare dagli stessi americani. Una pace che, per durare, deve essere equilibrata. Michele Valensise, diplomatico, già segretario generale della Farnesina e oggi presidente dell’Istituto Affari Internazionali, spiega perché l’atteggiamento dell’inviato di Trump, Steve Witkoff, potrebbe nuocere ai negoziati.

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Michele Valensise, diplomatico

Ambasciatore Valensise, che idea si è fatto della telefonata fra Witkoff e l’advisor di Putin che ha scatenato un putiferio?

“La telefonata si presta ad almeno due considerazioni. La prima riguarda l’irritualità del metodo: al di là del contenuto, il fatto che si parlasse via WhatsApp e non su una linea sicura è anomalo. La seconda riguarda la sostanza: l’inviato americano mostra una notevole accondiscendenza verso le tesi della controparte”.

Secondo lei, chi potrebbe aver fornito il file a Bloomberg?

“Non lo sappiamo. Ma è plausibile che possa essere uscito dagli stessi americani, che hanno la capacità tecnologica di intercettare quelle comunicazioni e di diffonderle anonimamente. All’interno dell’amministrazione non sembra esserci una linea unitaria: ci sono sfumature evidenti, con figure, da una parte e dall’altra, che enfatizzano punti non necessariamente convergenti”.

Solo fra repubblicani e democratici?

“Limitandoci a questo episodio, vari esponenti democratici hanno stigmatizzato la condotta poco professionale e ben poco utile di Witkoff. Ma anche tra i repubblicani ci sono riserve importanti: il suo atteggiamento troppo accondiscendente verso Mosca non è condiviso da tutti, perché non mette sul tavolo un corrispettivo da parte della Russia”.

Witkoff si dimetterà?

“Questo lo decideranno gli americani. Di certo il presidente Trump lo sta difendendo e ha escluso ogni ipotesi di dimissioni. Anzi, lo ha rimandato a Mosca per incontrare Putin. Ma qui bisogna essere molto attenti: la diplomazia russa, erede di quella sovietica, è di altissimo livello. I russi sono negoziatori temibili. E se metti dall’altra parte un inviato americano improvvisato, per così dire, mentre Mosca schiera l’esperienza davvero notevole di un Sergei Lavrov, che fa il ministro degli Esteri da 21 anni, si capisce che non stai costruendo le basi migliori per un’iniziativa di pace solida”.

Un episodio del genere non è un danno all’immagine del presidente, che potrebbe creargli problemi anche nel suo partito?

“Non credo. Trump ha mostrato chiaramente di avere altre priorità. Il suo è un approccio transazionale, da trattativa d’affari. Ma qui non si parla (o non si dovrebbe parlare) di affari: si parla di diritto internazionale, integrità territoriale, sovranità nazionale. In ogni caso, con il suo modo di ragionare, credo che Trump non abbia difficoltà a confermare la fiducia nel proprio emissario”.

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Quindi il negoziato continua, ma per arrivare dove?

“È la domanda che si fanno tutti. Ma prima bisogna chiedersi se una condizione così penalizzante per l’Ucraina – ossia la cessione dei territori occupati e di quelli non ancora occupati, cioè il resto del Donbass, insieme ad altre ugualmente inaccettabili – possa essere una base negoziale utile. Servono concessioni bilanciate, di reciproco vantaggio e svantaggio: è questo che rende duraturi gli accordi, altrimenti evaporano”.

Quanto può reggere la Russia?

“La Russia ha enormi risorse e, soprattutto, un approccio che la rende del tutto insensibile alla strage, non solo degli ucraini colpiti da bombe e missili, ma anche dei suoi stessi soldati lanciati in uno sciagurato attacco. Questo rende molto difficile prevedere un limite alla sua capacità di continuare”.