L’abbiamo visto al cinema, in film come Baciami ancora (2010) e La Grande Bellezza (2013), l’abbiamo visto in teatro nei più classici ruoli shakespeariani e di recente nello spettacolo di Alessandro Gassmann Racconti disumani, e lo vediamo e rivediamo in Tv, che sia per Mina Settembre (2021), per La Compagnia del Cigno (2019) o, adesso, per L’appartamento sold out, otto episodi su RaiPlay a partire dal 28 novembre («Un progetto di cui sono molto fiero, una storia nuova, che farà da spartiacque»).
Giorgio Pasotti, attore, regista e produttore, dal 2020 anche direttore del Teatro Stabile d’Abruzzo, all’età di 52 anni, torna con un altro libro, dopo Dentro un mondo nuovo (Mondadori): si intitola Ora (Ribalta Edizioni) e racconta la storia di un avvocato di successo, separato dalla moglie, con un rapporto non semplice con la figlia, che, inghiottito dal lavoro, si trova a rispondere a una domanda («Se la mia vita finisse ora, potrei dire che ne sia valsa veramente la pena?») e rivoluziona la sua esistenza, comprando un maso in Trentino.
«Se dovessi rispondere io, direi assolutamente di sì, che ne è valsa la pena, eccome», sorride Giorgio Pasotti, «Certo mi dispiacerebbe non poco andarmene presto perché vorrei avere ancora qualche anno e vedere mia figlia crescere il più possibile. Però, anche solo fino a qui, posso dire di aver avuto una vita bella e piena».
Intervista a Giorgio Passotti
Questo è un libro autobiografico?
«Per niente. Il mio primo romanzo lo era, ma questo no. Il fatto che il protagonista sia separato come me, beh, non vuol dire molto, ormai riguarda il 90% della popolazione. E il fatto che ci sia una figlia femmina non è perché volessi richiamare in qualche modo la figura di mia figlia, ma solo perché il rapporto con un figlio maschio sarebbe stato diverso, meno cerebrale, meno profondo e mi era funzionale nel racconto della storia che la relazione con il padre fosse invece molto intensa. Avevo bisogno che la scelta di quest’uomo di cambiare vita fosse accompagnata da un rapporto più intimo e le donne, si sa, riescono a tirare fuori il meglio di noi».

La copertina del libro di Giorgio Pasotti.
Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? Un’urgenza, una ferita o semplicemente il desiderio di mettere ordine?
«Credo sia l’età: a un certo punto, dopo i 50 anni, ci si fa delle domande, si cominciano a tirare le linee e si fa una somma rispetto alle proprie scelte, ai progetti andati a segno e a quelli che, per una ragione o per l’altra, sono falliti. Io volevo fare il medico e mi sono ritrovato a fare l’attore e oggi mi capita spesso di pensare a che medico sarei stato, come sarebbe andato tutto se avessi continuato su quella strada. Diciamo che la spinta è stata forse questa: chiedermi a che punto è la mia vita. Durante la pandemia c’è stato quell’incredibile fenomeno delle grandi dimissioni: persone che hanno lasciato lavori stabili, per darsi più fiato, per ricominciare con un piede diverso. C’è chi aveva posizioni prestigiose e ha rinunciato a tutto in nome di una vita che non ha fatto, di qualcosa di nuovo che voleva esplorare. E così ho iniziato a scrivere su questo: pensavo di stendere un soggetto per il cinema e poi ne è nato un libro. In realtà l’idea giaceva nel cassetto da un po’ e in una delle mie tante notti insonni ho ripreso in mano la cosa. Mi affascina l’idea di qualcuno che, dopo essersi impegnato tanto in una professione totalizzante, molla baracca e burattini e va a coltivare la terra o sceglie di vivere in modo alternativo. Ho scoperto che di solito chi fa scelte così estreme si trova a farle in un attimo, con una spinta e un’immediatezza stupefacenti. Mi sono accorto che c’è una generale insoddisfazione rispetto alla vita che la gente conduce e questa cosa bisogna indagarla: è un’insoddisfazione che si fa sempre più rumorosa».
Scrivere l’ha costretta a rivedere qualcosa di sé?
«Sinceramente no, ormai mi conosco. Sono una sorta di lupo solitario, amo stare da solo nel centro del casino. Mi piace stare isolato, sapendo che fuori dalla porta c’è un mondo che pulsa. Scrivendo ho pensato a quello che fa il protagonista e io non credo che farei scelte estreme: sono un mammo, a disposizione di mia figlia e non potrei pensare di allontanarmene per nessun motivo. Non rivoluzionerei la mia vita, anche per non rivoluzionarla a chi è accanto a me. Ciò detto, potrei però pensare di cambiare lavoro, chissà».