Si apre una porta su una stanza rimasta invisibile per un secolo.
La tela, che riposa al riparo dalla luce diretta, conserva una freschezza inattesa.
C’è un bambino che si china sui giocattoli, c’è una giovane donna che lo segue con lo sguardo attento.
La serenità che vi posa sopra sembra quella di un interno familiare senza stagioni.

Pierre-Auguste Renoir,  L’enfant et ses jouets – Gabrielle et le files de l’artiste, Jean (Il bambino e i suoi giocattoli – Gabrielle e l’artista del figlio) , 1910 circa.

Il dipinto “L’enfant et ses jouets – Gabrielle et le fils de l’artiste, Jean”, realizzato da Pierre-Auguste Renoir intorno al 1910, è riemerso dopo una lunga assenza dalla scena pubblica. Rimase infatti per decenni in una camera da letto privata, lontano da musei, esposizioni e riproduzioni, in una sorta di sospensione temporale che ha preservato intatti i colori e la struttura pittorica. Quando il 25 novembre è stato presentato da Joron-Derem nell’asta Tableaux Modernes all’Hôtel Drouot, l’opera si trovava in condizioni eccezionali: nessun ritocco, nessun restauro, solo la traccia piena e morbida del pennello del maestro impressionista. L’aggiudicazione ha raggiunto circa 1,8 milioni di euro, portando nelle mani di un collezionista internazionale un caso raro di conservazione integra.

Il percorso del quadro è segnato da figure femminili forti e affezionate. Renoir l’aveva donato alla sua allieva Jeanne Baudot, pittrice di talento, discepola devota e soprattutto amica di famiglia: era stata scelta come madrina del piccolo Jean Renoir, nato nel 1894. Divenuta proprietaria dell’opera, la custodì con discrezione fino alla morte, quando passò al suo figlio adottivo, Jean Griot. Quest’ultimo la appese sopra il proprio letto, trattandola non come un oggetto da collezione, ma come un frammento di vita familiare. Lì rimase fino al 2011, in un clima domestico che ha protetto il dipinto da ogni eccesso di manipolazione. Solo quest’anno, con la decisione di metterlo in asta, è tornato alla luce.

La scena raffigurata ripropone un tema centrale nella produzione tarda di Renoir: la presenza affettuosa della bambinaia Gabrielle Renard, cugina della moglie del pittore, e figura cardine dell’infanzia dei figli. La giovane donna, paziente e ironica, divenne una delle protagoniste della domesticità renoiriana, ripresa in numerosi studi fra 1895 e 1896 e in opere oggi conservate al Musée de l’Orangerie e alla National Gallery di Washington. Renoir la dipinge con un’attenzione particolare al gesto protettivo, alla postura vigile e insieme dolce, come se volesse catturare la continuità del legame con il piccolo Jean. Gabrielle, presenza garbata ma risoluta, rappresentò per il bambino una seconda guida: lo accompagnò nei giochi, nelle scoperte, nei momenti di quiete, e più tardi, quando Renoir dovette far fronte ai limiti della malattia, gli fu fondamentale nel mantenere un ritmo sereno nella vita familiare.

Jean Renoir, futuro regista, ricordò spesso quegli anni. Le sue interviste riportano la memoria affettuosa delle sessioni di posa: non ordini, non posizioni studiate, ma semplici momenti colti mentre il bambino era immerso nei propri giochi. “Quando ero molto piccolo, tre, quattro o cinque anni”, raccontò, “mio padre approfittava di qualche attività che sembrava tenermi tranquillo”. La pittura, per lui, non era una costrizione: era un’estensione naturale della vita quotidiana, una presenza costante, che non interrompeva il gioco ma lo osservava e lo trasformava in immagine. In quello sguardo si gettano le radici della sua futura sensibilità cinematografica: l’idea che l’intensità risieda nei gesti minimi, nella naturalezza dei movimenti, nella vita così com’è.

La relazione fra Renoir, la moglie Aline Charigot, e il piccolo Jean fu segnata da un equilibrio domestico spesso descritto come uno dei più sereni della comunità artistica dell’epoca. Aline, con i suoi modi quieti e solidi, sosteneva il pittore nelle difficoltà fisiche e logistiche; Gabrielle garantiva continuità ai bambini. In molte testimonianze dei frequentatori della casa – amici, allievi, colleghi – emerge una dimensione quasi pastorale della quotidianità: colazioni in giardino, conversazioni lente, la scelta accurata dei tessuti per proteggere Renoir dal vento, il piccolo Jean che gira per l’atelier e tocca i pennelli con la disinvolta curiosità dell’infanzia. Episodi minimi, ma rivelatori della tensione del pittore verso un’idea di felicità costruita sugli affetti più prossimi.

Il quadro rientra in questo clima: lo sguardo attento di Gabrielle, la concentrazione del bambino, l’atmosfera raccolta rivelano un universo domestico privo di teatralità. Il fatto che l’opera sia rimasta nascosta per così tanto tempo contribuisce oggi alla percezione di un ritorno, come se emergesse una pagina segreta che completa un capitolo noto dell’iconografia renoiriana. Non si tratta di un ritrovamento fortuito, ma di una lenta riemersione dalla sfera privata verso quella pubblica, riportando con sé il calore straordinariamente integro di un rapporto umano. Anche l’assenza di restauri offre un raro accesso alla materia originale: l’olio puro, la superficie intatta, le pennellate morbide che appartengono all’ultima fase della vita del pittore.

La vendita parigina ha definitivamente consegnato l’opera al circuito internazionale del collezionismo, mentre la sua storia ricompone il ritratto di una famiglia, di una bambinaia determinante e dell’infanzia di un futuro cineasta che, nei suoi film, avrebbe fatto dell’osservazione dei rapporti umani la propria cifra stilistica. L’incontro fra questi elementi rende “L’enfant et ses jouets” più di un dipinto riemerso: è un documento della quotidianità più autentica di casa Renoir, preservata a lungo da silenziose fedeltà.

I due protagonisti. Biografie in breve

Gabrielle Renard nacque nel 1878 a Clichy, in Francia. Cugina della moglie di Renoir, Aline Charigot, entrò nella famiglia come bambinaia e divenne una figura di riferimento per i figli del pittore, soprattutto per Jean.

Gabrielle non era solo una custode: fu una compagna di giochi, una modella e una confidente, immortalata in numerosi dipinti e studi tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX. La sua presenza stabile permise a Renoir di lavorare con serenità, anche negli anni in cui le sue condizioni fisiche si aggravavano a causa dell’artrite. Era nota per la sua pazienza, la discrezione e un sorriso spesso catturato sulla tela del maestro. Negli anni successivi seguì Jean nei suoi primi passi nel cinema, incoraggiandolo e sostenendone la curiosità artistica.

Jean Renoir nacque a Parigi nel 1894, figlio di Pierre-Auguste Renoir e Aline Charigot.

Crebbe in un ambiente permeato dall’arte e dalla pittura, osservando fin dall’infanzia i processi creativi del padre. Studiò arte e musica, ma la sua vocazione si spostò rapidamente verso il cinema. Durante la Prima Guerra Mondiale servì brevemente nell’esercito francese, prima di dedicarsi completamente al cinema negli anni ’20. Diventò uno dei registi più acclamati del Novecento, autore di opere come La regola del gioco e La grande illusione, combinando la sensibilità pittorica ereditata dal padre con una capacità narrativa unica. Morì nel 1979, lasciando un’eredità culturale che collega l’arte visiva alla cinematografia, in modo diretto e personale.