Per anni, cambiare telefono Android è stata un’abitudine piuttosto fastidiosa. Mentre gli utenti iPhone potevano ricorrere a una transizione più comoda tra diversi dispositivi, chi utilizzava Android si trovava costretto a reinserire credenziali in decine di applicazioni, anche dopo aver completato la migrazione dei dati.

Ebbene, adesso grazie a un’innovazione introdotta da Google l’anno scorso, questa esperienza sta finalmente cambiando in meglio. E i risultati non sembrano essersi fatti attendere: Uber ha infatti annunciato di aver eliminato ben 4 milioni di login manuali all’anno per i suoi utenti.

Un problema di lunga data per Android

La questione di cui parliamo oggi non era certamente nuova e ha radicato una differenza profonda tra i due sistemi operativi. Di fatto, quando un utente iPhone passa a un nuovo dispositivo, iOS trasferisce non solo le applicazioni e i relativi dati, ma anche lo stato di autenticazione di ciascuna app. Il risultato è che, dopo la configurazione iniziale, l’utente può praticamente riprendere da dove aveva lasciato, con tutte le app già pronte all’uso e le notifiche che continuano ad arrivare senza interruzioni. Le uniche eccezioni riguardano tipicamente le applicazioni bancarie, dove per ragioni di sicurezza è richiesta una nuova autenticazione.

Android, invece, ha sempre gestito la migrazione in modo diverso. Sebbene il sistema operativo di Google trasferisca efficacemente le applicazioni e parte dei loro dati, le credenziali di accesso venivano sistematicamente perse nel processo. In altri termini, anche dopo aver completato con successo la migrazione verso un nuovo dispositivo di punta Android, molte applicazioni si comportavano come se fossero state appena installate per la prima volta. Gli utenti dovevano quindi aprire manualmente ogni singola app, effettuare nuovamente l’accesso e riconfigurare le impostazioni. Un processo che poteva richiedere ore, a seconda del numero di applicazioni utilizzate.

Ecco la soluzione: l’API Restore Credentials

Per affrontare questa problematica, Google ha introdotto l’API Restore Credentials all’interno di Android Credential Manager. L’API genera un token univoco sul vecchio dispositivo, che viene poi trasferito in modo silenzioso e automatico al nuovo telefono durante la configurazione iniziale. Quando l’utente ripristina i dati delle app, queste credenziali vengono recuperate senza richiedere alcun intervento manuale.

Ma non solo. Gli sviluppatori più intraprendenti possono infatti fare un ulteriore passo avanti, consentendo alle loro applicazioni di ripristinare lo stato di accesso completamente in background, durante la fase di configurazione del dispositivo. L’utente potrebbe dunque ritrovarsi con le notifiche già attive, senza nemmeno dover aprire l’app una prima volta. Un’esperienza che finalmente si avvicina a quella offerta da iOS.

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Cosa ci dicono i numeri forniti da Uber

I numeri forniti da Uber offrono una prospettiva utile sull’impatto di questa innovazione. Gli ingegneri dell’azienda hanno infatti sottolineato quanto possa essere negativa l’esperienza di un utente che, dopo aver configurato un nuovo telefono, apre l’app Uber per richiedere una corsa urgente, solo per scoprire di essere stato disconnesso proprio nel momento del bisogno. Una situazione che rischia di spingere l’utente verso servizi concorrenti o, comunque, di lasciare un’impressione negativa dell’esperienza complessiva.

Implementando l’API Restore Credentials, Uber ha cercato di migliorare questa esperienza. Al momento del lancio iniziale della funzionalità, l’azienda registrava circa diecimila utenti unici giornalieri che effettuavano l’accesso tramite il sistema di ripristino credenziali. Un numero già significativo, ma destinato a raddoppiare una volta che la funzione sarà estesa all’intera base utenti. Le proiezioni di Uber indicano che questa singola modifica eliminerà quattro milioni di login manuali ogni anno, un risparmio enorme in termini di tempo e frustrazione per gli utenti.

Va precisato che, nell’implementazione attuale di Uber, gli utenti devono comunque aprire l’applicazione una volta sul nuovo dispositivo per attivare il ripristino dello stato di accesso. Tuttavia, come già accennato, la tecnologia permette teoricamente un’esperienza ancora più fluida, con il ripristino che avviene completamente in background durante la configurazione del dispositivo, senza alcuna necessità di aprire manualmente l’app.

Le distanze con iOS sono destinate a rimanere

Nonostante il successo di Uber sia un esempio concreto per Google, c’è ancora molta strada da fare prima che Android possa competere pienamente con iOS sul fronte della continuità dell’esperienza utente.

Il problema principale risiede nel fatto che l’adozione di questa API dipende interamente dalla volontà e dall’iniziativa dei singoli sviluppatori. Insomma, a differenza di alcune funzionalità che possono essere imposte a livello di sistema operativo, il ripristino delle credenziali richiede che ogni team di sviluppo integri attivamente l’API nelle proprie applicazioni.

Pertanto, anche se la tecnologia è disponibile e funzionante, la maggior parte delle app Android continua a comportarsi come sempre, richiedendo login manuali dopo ogni cambio di dispositivo. Serve quindi uno sforzo più ampio da parte della comunità degli sviluppatori per abbracciare questa soluzione e offrire ai propri utenti un’esperienza migliore.

Ad ogni modo, l’esempio di Uber potrebbe essere la spinta necessaria per convincere altri sviluppatori a seguire l’esempio. I benefici sono evidenti non solo per gli utenti, ma anche per le aziende stesse, visto e considerato che un utente che trova la propria app già configurata e funzionante su un nuovo dispositivo è più soddisfatto, più propenso a continuare a utilizzare il servizio e meno tentato di esplorare alternative. In un mercato mobile sempre più competitivo, questi dettagli apparentemente minori possono fare la differenza tra mantenere o perdere un cliente.

Inoltre, l’implementazione dell’API non sembra comportare complessità tecniche proibitive. Google ha fornito documentazione e strumenti per facilitare l’integrazione, e il caso Uber dimostra che i risultati possono essere rapidamente misurabili e significativi.