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«Ora si, credo di essere pronta. Per dirigere un film di fiction». A parlare è l’attrice Juliette Binoche, ospite del Torino Film Festival per ritirare il Premio Stella della Mole, e per presentare (in anteprima italiana, e in concorso) il documentario In-I in Motion, che racconta lo spettacolo portato in scena un centinaio di volte, nel 2007, con il danzatore Akram Khan.


APPROFONDIMENTI

«Le riprese erano state fatte da mia sorella, e subito parzialmente montate, ma c’è voluto molto tempo per convincermi di trasformarle in un film: un po’ perchè ero presa su altri progetti, un po’ perchè dovevo sentirmi pronta per fare la regista.

Il film mi ha fatto prendere coscienza di esserlo, anche per un futuro lavoro di fiction: con tutti i set che ho fatto, come attrice, sono certa che potrei lavorare bene con gli attori». Insomma, come a dire: cari sceneggiatori, fatemi leggere dei copioni, e cari produttori, proponetemi dei progetti.Le scene intime

In effetti, proprio in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, la Binoche ha evidenziato quanto il #meetoo abbia creato dei problemi, ai registi, quando devono girare delle scene d’amore: «È evidente che ci sia la paura, da parte degli uomini, di andare oltre, il che ha tolto un po’ di spontaneità alla recitazione». Certo, ci sono i contratti che fissano dei paletti, ma secondo la Binoche bisognerebbe consentire alle attrici di vedere quelle scene prima che finiscano in sala di montaggio, lasciando loro il potere di veto. «Non c’è però bisogno del sesso per parlare d’amore, in un film: lo stesso atto del recitare, per me, continua a essere un grande dono, quindi un grande atto d’amore. Chi te lo farebbe fare, di attraversare dei tunnel bui che non ti appartengono, se entrare dentro un personaggio non fosse un modo per far si che lo spettatore, uscendo dalla sala, sia diverso da prima, in quanto trasformato dalla visione di quel film? Diversamente il cinema sarebbe solo una gran perdita di tempo».

Il femminismo

La donna che per tre volte ha detto di no a Steven Spielberg, fra Jurassic park e Schindler’s list, e pure a Martin Scorsese, perché il loro cinema non darebbe importanza ai personaggi femminili, nella vita privata, però, si autodenuncia: «Mia madre era una femminista, eppure anche lei mi ha cresciuta col mito dell’uomo protettivo: io l’ho cercato tutta la vita, senza mai trovarlo. È per questo che, ora che i miei due figli se ne sono andati di casa, e mi è pure morto il gatto, mi sento pronta per aprirmi ancora di più al mondo. Facendo dei viaggi, e dirigendo un film di finzione, appunto». In effetti, ha confessato, all’inizio c’è voluto il coraggio di un uomo per farle pensare alla possibilità di fare In-I in Motion: «Al termine di uno spettacolo, è giunto nei camerini un signore che mi ha presa per un braccio e trascinata in uno stanzino. Mi sarei spaventata, ma quel tipo aveva iniziato a complimentarsi, dicendo che avrei assolutamente dovuto fare un film, da quello spettacolo. Quell’uomo si chiamava Robert Redford».


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