Roma, 30 novembre 2025 – “Ora stanno a morì tutti. Tutti. E io ogni tanto penso ‘adesso che ho capito tutto…’”.
Presidente, l’ha detto Ornella Vanoni che se n’è appena andata a 91 anni. Era bella, vero?
“Bella come persona, l’ho conosciuta a Buenos Aires quando giravamo El Gaucho”.
Via Monti Parioli, Roma bene. Pini e platani, strade ariose, la selva oscura di Termini è lontana. Attico e superattico ‘cinematografico’ che affacciano su San Pietro, camuffato da una foschia ghiaccia che rende la capitale metafisica. Vecchi volumi, i dvd di “Amici Miei” con la polvere sopra, la statuetta dell’Oscar del Postino che fa capolino ma ha la lampadina incaricata di farla luccicare che è fulminata. E poi foto dei genitori ovunque. Del babbo Mario (“Guardate, qui mi tiene per mano da bambino, mi commuove sempre”) e della mamma Valeria.
Vittorio Cecchi Gori, 83 anni – gli occhi vivaci di un uomo che delle discese ardite e delle risalite ha fatto, spesso suo malgrado, una filosofia di vita – accetta di parlare con La Nazione. Seduto in poltrona, un mega schermo davanti, la stufa che macina calore e decibel soffusi, una bombola per l’ossigeno, un bicchier d’acqua e una fetta di panettone (“Costa dieci euro ma va comprato prima di Natale perché è più buono”).
“Eh sì, La Nazione. Il giornale della mia Firenze, ci scriveva anche il mio amico Montanelli”. Manca da tre anni. Vorrebbe tornare. “Non dico in balaustra come una volta, ma a dare una mano anche sì. Con Antognoni”. Memorie, ricordi, la vita che scivola via, gli amori tanti, disgraziati. “E’ stata la Buccella il grande amore della mia vita. Ci sentiamo ancora, siamo amici”.

Vittorio Cecchi Gori con Rita Rusic alla prima italiana del film “Evita” al cinema Etoile di Roma il 20 dicembre 1996 (Ansa)
Ma come, amici?
“Alla mia età… (ride sornione ndr) A me piacciono tanto le donne. Prendevo un sacco di cottarelle quando ero giovane”.
Questa era la casa dei suoi genitori.
“Fu comprata con i guadagni de Il Sorpasso, nel 1962”.
Quando fu realizzato immaginavate che quel film sarebbe stato il più grande capolavoro del cinema italiano?
“E sennò il babbo mica lo avrebbe prodotto… Lì però nacque un gran casino. Perché il protagonista lo voleva fare Sordi. Ma quel ruolo era sputato per Gassman. E il babbo tenne duro”.
Ricordi dei genitori?
“Erano giovanissimi. Eccezionali. Mio padre poi, è cresciuto con due signore. Era orfano. Io sono figlio del dopoguerra. No, che dico? Della guerra: sono del ’42”.
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Come si erano conosciuti?
“A un Fiorentina-Juventus. Erano entrambi tifosi. Ma quando abbiamo preso la società, nel 1990, il mio babbo ha iniziato a star male. Poi è morto. Proprio nell’anno della serie B”.
Ve la vendette Pontello.
“Venne qui a Roma. Il babbo gli disse ’Io più di dieci miliardi non te li do’. Lui insisteva per undici. Lo convinsi io, mio padre, a metterci il miliardo in più”.
Qualche volta si è risentito il coro al Franchi “Cecchi Gori alè alè“.
“Firenze nel 2002 non capì. Loro ce l’avevamo con me e mi attaccarono proprio sulla Fiorentina. La città non mi difese”.

Vittorio Cecchi Gori al Franchi insieme a Gabriel Omar Batistuta
Cosa intende per ’loro’? Lei ha sempre parlato di complotto…
“I poteri forti che mi volevano colpire. Mi hanno attaccato sul calcio e non sul cinema perché come fai con uno che ha vinto due Oscar?”.
I ‘poteri forti’ in genere hanno un nome e un cognome.
“Ormai ho le idee chiarissime, so chi mi ha buttato giù. Vedo la vita in retrospettiva: io davo fastidio perché ero troppo bravo. E i rami che toccavo purtroppo erano al centro di un’evoluzione. Cinema, calcio, politica: avevo conquistato i mercati. Ho dato fastidio. In Italia chi ha successo dà sempre fastidio. In America chi ha successo diventa un santo. Qui stai sul c…o a tutti e cercano di buttarti giù. Se sei corazzato per resistere ce la fai. E io ero un creativo. Ma non ero corazzato”.
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Doveva essere più cinico.
“Credevo nei valori. Nel 2000 avevo conosciuto Bill Gates e Rupert Murdoch. Avevo capito dove si andava a parare: l’arrivo di internet e della piattaforma. Però delle volte se sei troppo in anticipo non ti capiscono”.
Suo padre le disse di non inimicarsi mai Berlusconi, è vero?
“Eh, sì… A Berlusconi avevo proposto di fare una piattaforma insieme quando nessuno sapeva cosa fosse. Lui disse di sì, avevamo fatto l’accordo. Ma qualcuno poi ci ha messo la bocca, glielo dissi: ‘Tu puoi avere tanta gente vicina, ma la vuoi fedele, non leale. Ma la gente leale è più importante’”.
Ha ancora guai giudiziari?
“L’Italia è il posto dove le cose non finiscono mai”.
A Berlusconi avevo proposto di fare una piattaforma insieme. Lui disse di sì, avevamo l’accordo. Ma qualcuno ci ha messo la bocca
Ma la Fiorentina la segue?
“Quanto mi fa incazzare. La Fiorentina mi è stata rubata. Ogni tanto la guardo ma non mi faccio coinvolgere perché questa non è la Fiorentina mia e non è manco quella dei fiorentini”.
Rubata, dice. Ci spieghi meglio.
“Le squadre avevano l’Irpef sui soldi che davano ai giocatori. Per abitudine l’accordo era che via via si pagasse a rate. Io sono stato colpito: soldi subito! E i magistrati dichiararono il fallimento della Fiorentina. Subito dopo fu fatto il ’salva-debiti’…”.
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Perché nessuno la ascoltò?
“A Firenze ci fu il silenzio di tutta la città. Mi hanno mandato addosso due pm (omissis). Io sono stato arrestato per la Fiorentina”.
L’attuale patron Rocco Commisso voleva uno stadio di proprietà, lei che ne pensa?
“Tutti vogliono fare lo stadio per fare speculazione edilizia. Ma lo stadio si fa solo perché ami la tua squadra. Comunque andava fatto, magari dove c’è l’aeroporto e così facevano un’altra pista a Peretola. E poi… si sono vantati tanto del centro sportivo (il Viola Park ndr), ma quei terreni a Bagno a Ripoli li avevo comprati già io. Solo che quando c’è stato il fallimento si sono portati via tutto…”.

Vittorio Cecchi Gori insieme a Brad Pitt
Parliamo dei suoi campioni. È Batistuta il giocatore a cui ha voluto più bene?
“Ho voluto bene anche a Rui Costa, a Toldo. Ma lui mi è rimasto nel cuore. Certo, fu un colpo da maestro prenderlo. Ero a Los Angeles e vidi una partita della Coppa Libertadores dalla piscina del Beverly Hills Hotel. Giocava lui. Dissi: “È un sudamericano-europeo, è perfetto“. Chiamai l’avvocato che si occupava dei nostri acquisti. Gli dissi ‘Voglio Batistuta, degli altri che mi ha detto non voglio nessuno’”.
Poi lo vendette alla Roma.
“Aveva già 33 anni. Io ero amico di Sensi e gli dissi: ‘A Firenze lo scudetto non me lo faranno vincere mai, compralo te e avrai il tricolore ma te lo devo far pagare caro e ti dura 1-2 stagioni al massimo’. Così andò”.
Presidente ma lei la formazione l’ha mai fatta?
(Sghignazza ndr). “A un Fiorentina-Juventus con un amico straordinario come Ranieri che aveva messo in panchina Rui Costa perché aveva uno stiramento. Gli dissi: ’Claudio scusami, vatti a bere un’aranciata, me la prendo io la responsabilità. Ma Rui Costa gioca’”.
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E la politica nella sua storia?
“Colpa del clientelismo della Dc. Colpa di La Pira”.
Ma che c’entra La Pira?
“C’entra. Sono dovuto scendere in politica perché Firenze non perdesse il suo collegio. A Firenze votano tutti a sinistra perché sono ’contestatori’ non perché sono di sinistra davvero. E mi dicevano ‘in Senato il collegio non lo possiamo perdere’. Ma io la politica non la volevo fare”.
Chi le disse di candidarsi?
“Mi mandarono Mino Martinazzoli. Tenga conto che mio padre aveva fatto la lotta partigiana nel Partito d’Azione. A Firenze in via Cavour al 90 avevano fatto l’armeria nella cantina. Quando è finita la guerra giocavo con la mitragliatrice. Era scarica. C’era pure una pistola, quella invece funzionava”.
Sì, diceva però della politica…
“Mio padre era appena morto. Ero nel mondo dell’entertainment. Avevo la squadra, facevo cinema, televisione. La politica è stata una conseguenza”.
Troppe cose.
“Sì, troppe. Bisognava scegliere. Questo è un mio difetto e mi ha nuociuto. Ma ero bravo, ero un fiume in piena”.
Rimpianti?
“Che non mi doveva succedere quello che è successo. Per quanto gli altri sono stati cattivi, qualche difetto ce l’ho anche io. Ho voluto mangiare dieci paste tutte insieme. Anche se sei bravo devi rinunciare a qualcuna”.

Vittorio Cecchi Gori alla “balaustra” del Franchi
E Firenze le manca?
“La mia Firenze tanto, la mia bella casa sui Lungarni, tutto portato via per due lire…. Tutto”.
Di errori ne ha commessi?
“La moglie sbagliata, colpa di Troisi (ride ndr) che mi diceva ’Cosa vai cercando, ha due cosce come due autostrade’. E così fu. Ma sa qual è il detto?”
Moglie e buoi dei paesi tuoi.
“Sì. Le persone slave hanno una mentalità diversa. Ma c’è anche un’altra ragione: voi mi vedete qui, a casa di babbo e mamma. Perché io sono rimasto il figlio, non sono mai diventato padre. Dei 20 anni di matrimonio non ricordo quasi niente. Degli anni di Firenze con loro tutto. La casa di via Cavour, quando si attraversava l’Arno alla Rari Nantes”.
Diceva di Rita Rusic…
“Tutti mi hanno detto che sbagliavo. Ma avevo 40 anni, i miei amici erano tutti sposati. Era una bella fi… L’ho fatto per superficialità”.
Sono nati due figli.
“Mario è uno splendore e Vittoria (fa una pausa, ndr). Bah, Vittoria sta in America. Ora dice che torna ma non la vedo da 13 anni. Mario lo vedo di più perché vive a Roma. Mi è stato più vicino”.
Il periodo più bello della sua vita?
“Gli anni ’80 e ’90. Tutto girava a meraviglia. Avevo conosciuto tutti. Avevo fatto amicizia anche con Trump”.
Il presidente degli Stati Uniti?
“Mi aveva venduto la più bella casa di New York”.
All’epoca lui faceva l’immobiliarista…
“Gli feci un assegno da 12 milioni di dollari e mi disse: ‘Mi fanno proprio comodo che mi sto separando dall’Ivana’. Ho sempre pensato che fosse un uomo semplice e che proprio per questo ha fatto strada nella politica. Quell’appartamento è stato rivenduto a 150 milioni di dollari. Entravi lì e galleggiavi nel cielo. Ma io stavo spesso a Los Angeles e allora lui una volta mi telefonò”.
E che le disse?
“’Hai comprato la più bella casa di New York e non ci vieni mai’. Ma io avevo case ovunque. Roma, Londra, Miami. A New York mi rompevo ma Trump diceva ‘lascia perdere l’Italia’. Aveva ragione, se solo fossi rimasto là…”.
Ho sempre pensato che Trump fosse un uomo semplice e che proprio per questo ha fatto strada in politica. Quell’appartamento è stato rivenduto a 150 milioni di dollari
Oggi le manca più il cinema, il calcio o la politica?
“La politica un po’ la disprezzo. Quelli che hanno l’età mia pensano che quelli che vengono dopo sono sempre peggiori”.
I film li guarda?
“Mi piacciono quelli di una volta. In Italia, con la caduta mia, è crollato anche il cinema. Da giovane uscivo la sera con Troisi e Benigni: era come essere al cinema. Verdone e Pieraccioni li vedo spesso”.
Adesso come sta?
“Bene, ma cammino male. Perché ho fatto troppo sport, mi sono rotto tutto e mi sono anche ingrassato”.
Lei pensa mai alla morte?
“Beh ma bisogna cercare di vivere come se la vita fosse eterna ma gli anni sono quelli. Qui cade uno, poi un altro. Io sono un pezzo della storia di questo Paese. Anche se hanno cercato di buttarmi giù, i miei film ancora parlano”.


