Nelle vite dei giovani atleti la figura dell’allenatore è un riferimento fondamentale: a volte però, per migliorare, è necessario tagliare con la figura del maestro, come ha fatto Sinner con Riccardo Piatti


Arianna Ravelli

Giornalista

2 agosto – 12:08 – MILANO

Questione di feeling. Di intesa, di equilibrio, di parole e silenzi, di bastoni/carote, pacche sulla spalla, lacrime, consigli, comprensione. È materiale incandescente, è nitroglicerina, è il rapporto tra atleta e coach che si regge sempre su un filo. A volte è d’acciaio: ci sono campioni che non lo spezzano mai, cordone ombelicale ed elemento essenziale perché tutto funzioni. David Popovici, re dei 100 e dei 200 stile libero ai Mondiali di nuoto a Singapore, resiste alle mille sirene dei college Usa per restare ad allenarsi a Bucarest, con il suo coach di sempre che gli ha insegnato i filosofi stoici, e nel centro dove lavora anche il padre. E chissà se funzionerebbe altrettanto bene fuori da lì. 

rottura necessaria—  

Nelle vite dei giovani atleti la figura dell’allenatore è il primo riferimento dopo i genitori che entra nelle loro vite, ne accompagna la trasformazione e la crescita. Konrad Lorenz, il famoso etologo, li chiamava i “datori di tradizione”, coloro che trasmettono quell’insieme di valori, abitudini, conoscenze: per crescere è necessario sostituirli, trovarne di nuovi, rinnegarli in qualche modo, imporre (imporsi) una rottura. È quindi del tutto naturale che un atleta in evoluzione a un certo punto decida di tagliare con la figura del maestro, come Jannik Sinner ha fatto con Riccardo Piatti, il primo ad accoglierlo fuori dal maso di Sesto Pusteria. 

cambi vincenti—  

Non è strano che a un certo punto si senta l’esigenza di cambiare, per cercare nuovi stimoli, per rompere la noia di esercizi sempre uguali, per volare da soli: dopo i Giochi di Parigi vinti, Thomas Ceccon si è spostato più lontano possibile, in Australia e, almeno per un po’, ha cambiato tutto; Tete Martinenghi si è trasferito a Verona da Matteo Giunta dopo la rottura con lo storico allenatore Pedoja che lo seguiva sin da bambino. Lo stesso ha fatto Simona Quadarella che invece doveva superare una delusione, passando da Christian Menotti (uno di cui sapeva interpretare anche gli sguardi) a Gianluca Belfiore. Dai risultati dei Mondiali sembra che sia andata bene. Anche Sofia Raffaeli, la nostra regina della ritmica, ha ricominciato a vincere dopo aver cambiato, non solo allenatrice, ma proprio ambiente: per la prima volta fuori dal guscio di Fabriano, ha tratto beneficio dallo spostarsi a Desio e allenarsi con l’altra individualista Tara Dragas. 

il caso del tennis—  

Crescere è un susseguirsi di scosse di assestamento, però: c’è chi trova un nuovo equilibro subito e chi procede per strappi. E chi non trova pace nel tentativo di raddrizzare annate storte. I tennisti sono anime inquiete e forse non è sorprendente, Djokovic cerca l’elisir di lunga vita passando da un partner all’altro (e con Murray è durata poco). Stefanos Tsitsipas, dopo la rottura con il padre, è stata un’anima in pena, avvitato in una crisi in apparenza senza fine, si è rivolto a Goran Ivanisevic ma è stato il trionfo dell’incomunicabilità: il greco ha parlato di ‘dittatore’, il secondo di ‘generazioni a cui non si può dire niente’. Conclusione: ritorno con il padre. Jasmine Paolini dopo 10 anni con Furlan, pochi mesi con Marc Lopez e delusioni nei singolari, ha cambiato ancora e (per ora) si appoggia a Federico Gaio. Intanto ha perso i suoi riferimenti, sembra in confusione: cerca un’identità, qualcuno che la capisca come Sara Errani quando vincono in doppio. Ecco, a volte è il feeling con il compagno a fare la differenza (chi non vorrebbe essere guardato come Matteo Santoro guarda Chiara Pellacani o viceversa? Quel mix di intesa, protezione, comprensione, complicità dei due tuffatori che non sono fidanzati, ma amici da sempre. Con uno/a così al tuo fianco non serve altro).