di
Davide Frattini
Il premier di Israele è imputato per corruzione e ha chiesto la grazia al presidente Herzog. Secondo i leader dell’opposizione cerca l’immunità. E i famigliari degli ostaggi lo attaccano: «Vigliacco»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – L’amico Donald l’ha invocata tre volte, i suoi ministri (ufficialmente) almeno una, i suoi sodali hanno gridato la parola come uno slogan a ogni udienza del processo che va avanti da oltre 5 anni: grazia.
Adesso è «l’imputato numero uno» a chiederla al presidente Isaac Herzog con una lettera di 111 pagine redatta dai suoi legali ma che porta il suo stile macchinatore, rimarcato in un video diffuso sui social media. Spiega che «il suo interesse personale è stato e resta quello di arrivare alla fine del processo, fino alla piena assoluzione. La sicurezza del Paese, la situazione politica, l’interesse nazionale impongono un’altra strada. Mi prendo la responsabilità morale e pubblica per gli eventi che hanno accompagnato il procedimento». Non è chiaro se si riferisce alla campagna del suo governo per smantellare il sistema giudiziario, anche con gli attacchi personali ai giudici. Aggiunge: «È arrivato il momento di sanare le fratture e restaurare la fiducia nelle istituzioni dello Stato».
Gli investigatori e i magistrati che hanno raccolto le prove nei casi 1.000, 2.000 e 4.000 — come in una scalata in quota ai vertici del potere — sono convinti di aver messo insieme un’incriminazione solida: la «piena assoluzione» di cui parla Bibi non è in realtà così scontata.
Il premier è accusato tra l’altro di corruzione ed è il primo ministro nella Storia di Israele a trovarsi sotto processo mentre è in carica. Sono proprio gli impegni del ruolo che Netanyahu usa tra le motivazioni per l’amnistia: «Devo testimoniare tre volte alla settimane, è impossibile».
Così ne fa una questione più procedurale che di merito e infatti non ha intenzione di dichiararsi colpevole o di lasciare la politica. Gli esperti ricordano che solo una volta la grazia è stata concessa prima dell’eventuale condanna, a procedimento ancora in corso: nel passato del Paese c’è stato un solo caso di clemenza data prima della condanna, quando nel 1984 era stato proprio Chaim Herzog — presidente prima del figlio — a fermare la procedura contro gli agenti dei servizi segreti che avevano cercato di coprire l’uccisione di due terroristi palestinesi dopo l’arresto.
Yair Lapid, a capo dell’opposizione, vuole invece che Netanyahu «esprima pentimento e si ritiri dalla politica».
Anshel Pfeffer, corrispondente del settimanale britannico Economist, riassume: «Non chiede la grazia, pretende l’immunità».
I giuristi spiegano che l’appellarsi del premier agli «interessi del Paese» è poco convincente, le accuse contro il primo ministro sono legate alla sua condotta non a questioni di Stato: avrebbe accettato sigari cubani, casse di champagne rosé, gioielli per la moglie in cambio di favori che poteva elargire.
I famigliari degli israeliani massacrati o rapiti il 7 ottobre 2023 ancora aspettano che il premier si prenda la responsabilità politica dietro al disastro. Sono pronti a continuare le proteste in strada per bloccare la possibilità di perdono. «È un vigliaccio che vuole restare al potere», lo bolla Einav Zangauker, diventata il simbolo delle contestazioni organizzate dai parenti negli oltre due anni di guerra contro Hamas a Gaza, dove i palestinesi uccisi sono più di 70 mila.
30 novembre 2025 ( modifica il 30 novembre 2025 | 19:47)
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