Roma, 30 novembre 2025 – Continua l’allerta sull’influenza aviaria, un virus che ha acquisito negli ultimi anni una crescente capacità di minacciare anche l’uomo. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science, i virus dell’influenza aviaria, in particolare quelli contenenti il gene PB1, sono in grado di replicarsi anche a temperature superiori a quelle che normalmente il corpo umano raggiunge in caso di febbre, eludendo così uno dei principali meccanismi di difesa contro le infezioni.
La ricerca, condotta dai ricercatori della University of Cambridge e della University of Glasgow, ha dimostrato che alcuni ceppi aviari sono particolarmente resistenti al calore generato dalla febbre. Questo comportamento è dovuto alla struttura genetica del virus, che permette una replicazione efficiente anche a temperature che normalmente ridurrebbero l’attività virale, come avviene nei virus influenzali umani. In effetti, quando la temperatura corporea sale, il virus umano A (come il PR8) perde la capacità di replicarsi, riducendo la gravità dell’infezione. Tuttavia, i virus aviari, che infettano principalmente gli uccelli, prosperano in ambienti con temperature molto più elevate, come quelle che si registrano nell’intestino degli uccelli acquatici, dove raggiungono anche i 40-42°C.
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Questo studio ha messo in luce un potenziale pericolo: la possibilità che il virus aviario, grazie alla sua tolleranza al calore, possa adattarsi all’ambiente umano, causando danni gravi e difficili da contrastare. I ricercatori hanno osservato, infatti, che la replicazione virale persisteva anche quando la temperatura veniva innalzata di 2°C, condizione che avrebbe debellato il virus influenzale umano. Ciò suggerisce che i virus aviari, in particolare quelli che possiedono il gene PB1, possano diventare più facilmente letali per l’uomo se dovessero adattarsi attraverso il riassortimento genetico.
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Questa possibilità non è affatto remota. Durante le pandemie del 1957 e del 1968, un gene PB1 aviario fu trasferito ai virus influenzali umani, dando origine a ceppi in grado di diffondersi rapidamente e provocare malattie in forma severa. Oggi, il rischio che il trasferimento di segmenti genetici tra virus aviari e umani possa ripetersi rimane alto, come confermato dallo studio. L’attenzione, quindi, deve essere puntata sui ceppi aviari emergenti, in particolare quelli della linea H5N1, che in passato hanno causato tassi di mortalità umana superiori al 40%.
Nel frattempo, l’Europa sta vivendo una vera e propria impennata dei casi di influenza aviaria. Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), tra il 6 settembre e il 14 novembre 2025 sono stati segnalati 1.443 casi di influenza aviaria ad alta patogenicità (Hpai) A(H5) in 26 paesi, un aumento di quattro volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e il dato più alto dal 2016. L’infezione ha colpito soprattutto gli uccelli acquatici e gli uccelli selvatici, con un alto tasso di mortalità anche tra le gru comuni in Germania, Francia e Spagna. La maggior parte dei casi di infezione è stata causata dal ceppo A(H5N1), una variante che sta diventando sempre più diffusa, specialmente tra gli uccelli migratori.
Di fronte a questa allarmante situazione, l’Efsa ha sottolineato l’urgenza di rafforzare la sorveglianza e applicare misure di biosicurezza sempre più stringenti. La prevenzione, infatti, è fondamentale per evitare che l’Hpai entri negli allevamenti di pollame, dove la diffusione del virus potrebbe essere devastante. Come avvertono gli esperti, l’incrocio genetico tra virus aviari e umani potrebbe rappresentare una delle principali minacce per future pandemie, e il monitoraggio continuo dei ceppi in circolazione è più che mai necessario.
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