Lo Squalo, re nel 2013 e 2016: “Avrei potuto vincerne almeno un terzo. Rispetto al Tour è più umano”


Ciro Scognamiglio

Giornalista

1 dicembre 2025 (modifica alle 07:39) – MILANO

Nessuno, nella storia recente, ha segnato il Giro d’Italia quanto lui. Perché Vincenzo Nibali, che l’ha corso 11 volte, non si è limitato a vincere due volte (2013 e 2016): ha chiuso sempre sul podio in 6 partecipazioni consecutive – 2 secondi posti, 2011 e 2019, e 2 terzi, 2010 e 2017 – e questo è un (non tanto) piccolo record. Oggi lo Squalo, che l’ultimo Giro l’ha corso nel 2022 terminando 4° nella stagione dell’addio, sarà a Roma e scoprirà dalla platea l’edizione 2026, la numero 109. Di parlare della corsa rosa non si stanca mai. 

Vincenzo, è corretto dire che il Giro è stata la corsa che ha caratterizzato e cambiato la sua vita, anche più del Tour?

“Se il riferimento sono i miei sogni di bimbo, sicuramente sì. Il Tour lo vedevo sempre come qualcosa di più lontano e, d’estate, lo seguivo con meno attenzione. Io sono nato nel 1984, qualche mese dopo la vittoria di Moser a Verona, e paradossalmente qualche anno più avanti quelle immagini del grande Francesco sono le prime che ho visto del Giro, assieme a mio padre Salvatore”. 

Quali altre imprese a sfondo rosa l’hanno colpita maggiormente? 

“Bugno e Chiappucci, innanzitutto, mi appassionavano. Fino ad arrivare a Pantani, chiaramente. Da italiano, il Giro non poteva che avere il posto per eccellenza nel mio cuore. Inoltre, dopo la vittoria di Marco nel 1998, al Tour ha dominato Armstrong che è stato un atleta “divisivo”. O piaceva, o non piaceva. E a me non entusiasmava”. 

I suoi numeri al Giro sono notevoli e… 

“La fermo. Io non ho mai badato troppo ai numeri. Ogni Giro d’Italia per me era una sfida, una continua conquista. Un’avventura. Veniva prima questo, dei risultati. Ho vinto e ho perso sempre con onore, ho regalato emozioni e di questo vado fiero. Poi, è vero che qualche successo l’ho buttato alle ortiche. Un terzo Giro in bacheca ci sarebbe stato benissimo”. 

Fa riferimento al 2019, quella della lite in corsa con Roglic che lanciò in rosa Carapaz? 

“Io andrei più indietro. Nel 2010, se non fossi caduto sullo sterrato mentre ero in testa alla classifica, chissà. È vero che tra me e Roglic quell’anno ci fu una rivalità esasperata, venne fuori il mio carattere di uomo del Sud, fa parte del gioco. Comunque con Primoz ora siamo amici, ma in realtà lo eravamo pure allora. Nella maggior parte dei casi il ciclismo è così, i contrasti sono ‘solo’ in bici”. 

Veniamo al Giro che sarà: lei, uno dei 7 corridori della storia che ha conquistato Giro, Tour e Vuelta, consiglierebbe a Jonas Vingegaard di debuttare nel 2026 per tentare di diventare l’ottavo a completare questa tripletta? 

“Sì, senz’altro. Ha appena firmato la Vuelta e si darebbe subito un altro grande obiettivo. Entrerebbe in un club davvero esclusivo. Da quello che ho letto, ha voglia di esserci e mi auguro che sarà effettivamente così. Nel caso, gli consiglio di ritornare alla Tirreno-Adriatico, che ha già vinto, per riprendere confidenza con le strade italiane. Sono curioso di vedere pure se un giovane fortissimo come Del Toro ci riproverà, dopo il secondo posto di quest’anno. Che cosa farà Simon Yates. E…”. 

“Io vedrei bene al Giro anche il ritorno di Remco Evenepoel. Il ciclismo non si identifica solo con il Tour de France, che può sfiancarti mentalmente e fisicamente. Pure il Giro è duro, anzi durissimo, ma ha una dimensione più umana e riesce comunque ad appagarti”. 

In chiave italiana, come vede Giulio Pellizzari, che ripartirà dal sesto posto del 2025? 

“Ha appena compiuto 22 anni, è in una grande squadra come la Red Bull, e se fossi in lui tornerei al Giro. È il nostro riferimento per i grandi giri del futuro, ha margini di crescita, e ha già ottenuti risultati importanti. Io non mi dimenticherei, comunque, di Antonio Tiberi. Non so che programma farà, ha avuto una stagione difficile, ma ogni anno non è mai uguale a quello precedente. Si merita delle prove d’appello”. 

Chiudiamo con Giulio Ciccone, che tornerà al Giro nel 2026 e ha detto di non puntare più alla generale. Scelta giusta?

“Ha fatto bene. Un po’ lo conosco ed è una scelta che si addice di più al suo carattere. Fare classifica può essere bello, fantastico, ma si può rivelare anche terribilmente complicato. Giulio ha tutte le capacità per dare spettacolo in salita, vincendo tre-quattro tappe e lasciando il segno”.