Con un recente messaggio, l’Inps chiarisce che i lavoratori non devono più restituire le indennità di disoccupazione già percepite se l’errore è dovuto a dichiarazioni inesatte del datore di lavoro.

L’ambito definito dal messaggio Inps n. 2425 riguarda l’errore dovuto a una riclassificazione aziendale tra settore agricolo e non agricolo.

Disoccupazione e riclassificazione del datore di lavoro

L’oggetto del messaggio Inps: “Gestione delle domande di disoccupazione risultate indebite a seguito della riclassificazione dell’impresa, e/o dei rapporti di lavoro, dal settore agricolo ad altro settore e viceversa”.

La novità modifica parzialmente le indicazioni contenute nella circolare 56 del 23 aprile 2020 e introduce una tutela rafforzata per i lavoratori, escludendoli da qualsiasi effetto economico negativo derivante da errori imputabili ad altri e non a loro.

L’Inps può riclassificare l’attività economica di un’azienda qualora riscontri dichiarazioni inesatte o non conformi alla reale attività svolta.

Tale riclassificazione comporta il passaggio della contribuzione dall’ambito agricolo a quello ordinario dei dipendenti non agricoli (o il percorso inverso). In questi casi, alcune prestazioni di disoccupazione erogate in precedenza possono risultare formalmente indebite, poiché la gestione contributiva di riferimento sarebbe cambiata in modo retroattivo.

Fino a oggi, questa situazione esponeva i lavoratori al rischio di ricevere richieste di restituzione delle somme già percepite a titolo di indennità di disoccupazione, pur non avendo alcuna responsabilità nelle dichiarazioni errate che avevano portato alla riclassificazione.

Nessuna penalizzazione per i lavoratori

Secondo l’indicazione contenuta nel messaggio 2425, l’Inps (in accordo con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) ha stabilito che gli effetti della riclassificazione non devono ricadere sui lavoratori.

Il principio si fonda sull’articolo 38 della Costituzione, che tutela il diritto dei lavoratori a mezzi di sostentamento adeguati in caso di disoccupazione involontaria.

In sostanza:

  • se la riclassificazione è conseguenza di dichiarazioni inesatte del datore di lavoro, il dipendente mantiene il diritto alle somme percepite;
  • la restituzione non è dovuta, salvo i casi di dolo da parte del lavoratore.
  • l’efficacia retroattiva del provvedimento amministrativo serve solo a correggere l’inquadramento contributivo dell’azienda e a incentivare la collaborazione dei datori di lavoro con l’INPS, non a danneggiare il dipendente.

Modalità operative e scadenze

Il messaggio distingue due situazioni.

Una riguarda i termini per la nuova domanda già scaduti: se al momento della riclassificazione non è più possibile presentare una nuova domanda di disoccupazione per il settore corretto (agricolo o non agricolo), le indennità già percepite non vengono restituite. In tal caso, eventuali richieste di rimborso già avanzate non devono essere notificate o, se già notificate, vanno annullate.

La seconda situazione riguarda il caso dei termini ancora aperti per la nuova domanda: in tale caso, il lavoratore può presentare una nuova domanda di NASpI o di disoccupazione agricola in base al nuovo inquadramento. Le somme già percepite possono essere compensate con la nuova prestazione riconosciuta, entro il limite degli importi spettanti, senza creare debiti residui.

Viene poi chiarito come gestire i ricorsi pendenti: i ricorsi amministrativi relativi a indebiti già contestati ma non definiti devono essere riesaminati alla luce delle nuove disposizioni e chiusi in autotutela.

La ratio alla base del provvedimento è quella di contrastare eventuali comportamenti elusivi da parte delle aziende, che attraverso dichiarazioni inesatte potrebbero beneficiare di un inquadramento previdenziale non corretto. Tuttavia l’Ente, lo ribadiamo, specifica che la responsabilità di tali errori o scappatoie ricadono solo ed esclusivamente sul datore di lavoro, mentre il lavoratore (la cui buona fede non viene messa in discussione) viene tutelato integralmente sul piano delle prestazioni già incassate.

L’effetto retroattivo della riclassificazione resta valido ai fini contributivi e sanzionatori nei confronti dell’impresa, ma non può intaccare diritti già maturati dai dipendenti in buona fede.