di Valeria Vignale
L’attore e modello turco: «Ho origini kosovare e turche. Facevo l’avvocato, mi hanno “scoperto” durante una festa di matrimonio a Mosca»
La sua stessa storia ha qualcosa di fiabesco. Can Yaman è un giovane avvocato quando viene notato al matrimonio di un amico attore, celebrato a Mosca una dozzina di anni fa. Gli viene proposta una piccola parte in tv e l’avventura sarebbe finita lì se lui, consulente alla Price Waterhouse Coopers di Istanbul dopo una laurea in Giurisprudenza e una carriera da studente modello, non fosse stato infelice di passare le giornate al computer.
A 24 anni decide la svolta che lo porterà fino a Sandokan, la serie-evento di cui è protagonista dall’1 dicembre su RaiUno. Inizia a recitare in soap turche trasmesse da Canale 5 nel 2019 e 2020 (Bittersweet – Ingredienti d’amore, Day Dreamer – Le ali del sogno). A qualcuno il suo fascino ricorda quello di Kabir Bedi, attore indiano della saga tv nata dall’opera di Emilio Salgari e trasmessa nel 1976. Le folle di fan ricordano invece il pirata dei Caraibi, Johnny Depp.
E così a 50 anni di distanza dal primo kolossal, Can – si pronuncia Jean, alla francese – viene chiamato a interpretare la Tigre della Malesia in otto episodi prodotti da Lux Vide (Gruppo Fremantle) e Rai Fiction, con la regia di Jan Michelini e Nicola Abbatangelo. Produzione e cast internazionali: Alessandro Preziosi è l’amico Yanez De Gomera, Alanah Bloor la Perla di Labuan, John Hannah ed Ed Westwick il sergente Murray e Lord Brooke.
Siamo nel Borneo del 1841, tra popoli in lotta per la libertà e potenze coloniali che li opprimono. «Questa serie svela il passato di Sandokan, pirata con un cuore alla Robin Hood e una spiritualità forte. È un combattente con il sorriso» dice Yaman. «Ho avuto tempo per prepararmi, visto che le riprese erano state rimandate per la pandemia».
Camicia un po’ sbottonata, look seducente, il 36enne attore turco è serissimo quando parla del suo mestiere, e guai a valutarlo solo per il sex appeal. Da quando si è trasferito in Italia, nel 2021, ha visto crescere la sua popolarità, e vista la quantità di ammiratrici si è mostrato in pubblico solo qualche mese fa accanto a una compagna (Sara Bluma, deejay di origini algerine).
Aveva letto la saga di Sandokan?
«In Turchia non è conosciuta, ho iniziato a leggere Salgari nel 2021 per Sandokan. Ero impaziente di andare sul set ma l’attesa, in fondo, mi ha aiutato a prepararmi: sono dimagrito di dieci chili, ho praticato equitazione, ho studiato il copione in inglese (nella versione italiana è doppiato da Adriano Giannini, ndr)».
Nel frattempo si è anche ambientato in Italia.
«E ho lavorato ad altre fiction che mi hanno permesso di crescere come attore (Viola come il mare, Il Turco, ndr). Il progetto di Sandokan mi metteva ansia. Inizialmente temevo le scene d’azione ma ho dovuto concentrarmi soprattutto sull’evoluzione emotiva. Mi ha insegnato a mantenere la positività anche in momenti difficili. E ho scoperto una strategia: pensare solo al presente».
Parlava già la nostra lingua. Come mai da ragazzo aveva scelto il liceo italiano?
«Mia madre ci teneva moltissimo alla mia educazione. Voleva iscrivermi nelle scuole migliori e crescermi cittadino del mondo. Fino a 14 anni ho studiato in un istituto dove si parlava inglese e, per imparare un’altra lingua, ho scelto il liceo italiano, più elitario di altri: selezionavano 80 studenti, ho studiato alcune materie in italiano e altre, come la storia, in turco».
È vero che parla anche tedesco, francese e spagnolo?
«Ho delle basi scolastiche ma non le ho mai praticate ma sto imparando lo spagnolo per girare una serie a Madrid, di cui non posso dire nulla. Ho una disciplina ferrea, siamo abituati così in Turchia: lavoriamo 16 ore al giorno, finché i registi ci mandano a casa. È una mentalità che stupisce gli italiani: chiedo moltissimo anche ai miei collaboratori, per me dieci ore sono poche».
Com’era la sua vita a Istanbul, da ragazzino?
«Sono cresciuto a Suadiye, un quartiere residenziale nella parte asiatica della metropoli, con campi da calcio e basket per i ragazzi. È un’area abitata da immigrati di seconda e terza generazione, arrivati in Turchia decenni fa come i miei nonni, di origine kosovara e albanese, fuggiti durante la guerra. Tra loro parlavano albanese».
Un’altra delle lingue che parla?
«No, mio padre è nato in Turchia e io sono cresciuto come un ragazzo di Istanbul. Anche se in mezzo a gente di ogni dove. A noi la diversità non sorprende, fa parte della storia dell’Impero ottomano e ci sono moltissimi migranti. Del resto abbiamo una posizione strategica tra l’Oriente, l’Europa e il Nord Africa. Da adulto puoi decidere se essere più occidentale o orientale».
Ha scelto di vivere in Italia. Cosa rappresenta il nostro Paese per lei?
«Una cultura che ho iniziato a conoscere frequentando il liceo italiano. A 14 anni ho passato l’estate da una famiglia di Livorno. Sono tornato a 16 ed ero già bravo. Ogni anno la scuola premiava i migliori e io ho vinto sempre, una volta un laptop, un’altra una somma di denaro. Quando dissi alla preside che volevo studiare Giurisprudenza mi consigliò di usare quei soldi per visitare città universitarie come Padova, Siena e Bologna».
Invece si è laureato in Turchia.
«Per questione di tempi. In Italia sarebbero stati cinque anni e due di stage ma se fossi tornato in Turchia avrei dovuto aggiungere altri due anni. Meglio fare tutto a Istanbul».
Davvero il suo sogno era diventare avvocato?
«Un mestiere dovevo pur sceglierlo. Mi piaceva leggere, imparare le lingue, e mio padre mi disse: “Potresti fare l’avvocato internazionale”. Sa essere molto convincente e l’idea di lavorare con l’estero mi piaceva. Difatti alla laurea mi hanno assunto alla Price Waterhouse Coopers e, grazie a un professionista diventato mio mentore e amico, ho pure iniziato a scrivere per alcune riviste specializzate in finanza e questioni legali».
I suoi genitori come hanno preso il passaggio alla carriera di attore?
«Forse all’inizio non capivano ma l’hanno accettato: hanno sempre avuto una grande fiducia in me».
Sarà stato strano per loro vederla diventare un sex symbol anziché un legale internazionale.
«Non ha cambiato i rapporti fra noi. Mio padre continua a fare la sua vita a Bodrum. Mia madre è andata in pensione ed è diventata istruttrice di tango, la sento poco perché è impegnatissima, fa l’artista come me. Sono stato fortunato perché, pur essendo figlio unico, mi hanno permesso di essere libero nelle mie scelte. Invece vedo famiglie molto unite che trasformano quel legame in un vincolo per i figli, tarpando le ali a quelli che vorrebbero fare esperienze altrove. Cosa che può portarti a una routine più comoda ma anche impedirti di crescere come vorresti».
La bellezza è sicuramente stata un atout nella sua carriera: è anche un peso?
«Non è stato facile gestire il successo e vedere tutto questo amore femminile nei miei confronti. Ti chiedi cosa susciti l’interesse delle fan, quali siano le loro fantasie. Impari a fare attenzione a come ti esprimi, a cosa dici. E questo condiziona non solo te ma anche chi ti è vicino».
Per questo ha aspettato tanto a mostrarsi in pubblico con la sua compagna?
«Anche lei può ritrovarsi sopraffatta dalle attenzioni, dai commenti sui social. Se all’inizio della carriera volevo piacere a tutti, ora che ho 36 anni sento di dover pensare alle mie esigenze: non posso trascurarle per non dispiacere alle fan».
Ha dichiarato di voler girare una commedia con un protagonista imbranato con le donne. Un modo per staccarsi dal cliché?
«Vorrei soprattutto mettermi alla prova. Perché è difficile che mi propongano ruoli diversi dal figo che ha successo con le donne, preferisco l’imbranato che non ci sa fare proprio. Qualcosa che non ho mai fatto prima ma sono pronto a correre il rischio».
1 dicembre 2025
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