La cultura si sveste e fa apparire la guerra, è il sottotitolo del secondo capitolo di Push The Limit, in corso fino al 1° febbraio 2026. Partendo dal pensiero di Mario Merz, le porte della fondazione torinese si aprono con una collettiva di 19 artiste. La maggior parte di loro lavora da anni sull’urgenza dei conflitti, sui diritti umani violati, condividendo la propria visione attraverso il potere indipendente dell’arte e la sua capacità di varcare con naturalezza i limiti dell’ordinario. Ogni progetto presentato nella mostra Push The Limits 2 è un condensato di saperi, vissuti, storie e memorie che si manifestano come un nuovo linguaggio capace di stimolare il pensiero critico, strumento indispensabile per agire consapevolmente. La prima edizione di Push the limits è stata inaugurata nel 2021 durante la pandemia, con l’intento di spingere i confini, attraverso l’arte, in un delicato momento storico che ha accomunato tutto il mondo. In questa nuova edizione, viene chiesto di fare lo stesso con i conflitti armati globali e le lotte socio-politiche che stanno caratterizzando il nostro tempo. Come possiamo pensare che le guerre in atto non ci riguardino?

merzVeduta della mostra (Rossella Biscotti, Le Teste in Oggetto, 2015, Monica Bonvicini, And Rose (gold), 2024; And Rose (black), 2024, Latifa Echakhch, Untitled (Tears Fall), 2025). Courtesy Fondazione Merz. Foto Andrea Guermani

Maja BajaeviC (Sarajevo, 1967), che vive e lavora a Parigi, riporta alla memoria tre importanti canzoni rivoluzionarie, attivando il piano del subconscio. L’audio non è riprodotto nella forma originale, ma destrutturato e manipolato con una tecnica compositiva che fonde gli stili, i registri e le lingue delle canzoni, camuffandole. «O le ricordi, o non le ricordi», afferma l’artista, rivelando i titoli delle canzoni scelte, Les temps des cerises della comune di Parigi, L’internazionale e Bella Ciao, trasformate in un codice comprensibile sono per coloro che sono sintonizzati sul canale giusto.

merzMona Hatoum, Hot Spot (stand), 2018, stainless steel and neon tube, 172 x 83 x 80 cm © Mona Hatoum. Photo © White Cube (Photo: Ollie Hammick)

L’installazione sonora accompagna l’opera ambientale Sous le pavés, les jeux (Under the cobblestones, games), (2022-2025) allestita nello spazio esterno della fondazione. La musica riporta indietro nel ‘68, durante le rivoluzioni di Parigi e il progetto si ispira ad un motto dell’epoca: Sous les pavés la plage, riferendosi ai tipici san pietrini della pavimentazione della capitale francese che simboleggiavano il vecchio ordine. La sabbia, nascosta nel secondo strato della pavimentazione, rimanda alle strade trasformate in barricate durante i moti di quegli anni. Nella sua installazione, le biglie luccicano al sole e sotto di esse, uno strato di sabbia.

Zineb Sedira , Disclaimers, 2023. Courtesy Fondazione Merz. Foto Andrea Guermani

All’interno dello spazio espositivo, Katerina Kovaleva (Mosca, 1966) prepara un tavolo per 40 soldati, sobrio ma elegante, in un rigoroso ordine. Per ogni invitato un piatto, un pezzo di pane di granito appoggiato sul bicchiere e all’interno delle ciotole degli specchi. Come una metafora, dai piatti riflettono le figure allegoriche angeliche di Tiepolo, frammenti dei suoi quadri disegnati dall’artista russa su un grande paracadute militare sospeso al di sopra della tavola. Nessuno si siede su quel desco, si percepisce assenza e preoccupazione. Dove sono i soldati? Il paracadute è per l’artista un simbolo di speranza e gli angeli dipinti sorvegliano sulla memoria delle vittime di guerra. Se le immagini della violenza si impongono nelle nostre vite, il bagliore degli specchi di Memory table (2025) vuole rimandare alla fiducia della luce eterna.

Veduta della mostra (Helina Metaferia, Headdress 77 e Headdress 78, 2025 e Katerina Kovaleva, Memory table, 2025). Courtesy Fondazione Merz. Foto Andrea Guermani

Rossella Biscotti (Molfetta 1979) scava nel passato e riporta alla luce alcune teste del duce italiano che ha segnato in maniera indelebile la storia della penisola. Il lavoro di Biscotti, iniziato nel 2006, ha preso l’avvio con una ricerca sull’architettura fascista, indagando cosa dell’ideologia venisse mantenuto e cosa venisse messo in discussione. In un magazzino dell’Eur spa di Roma, ha trovato i calchi impolverati di due grandi teste scultoree di Mussolini. La loro monumentalità viene interrogata dall’artista, osservata da una prospettiva diversa. Da queste sculture ricava però dei calchi, tecnicamente pronti per essere riprodotti, decostruendo la loro funzione e presentandoli da una prospettiva differente. L’artista si è opposta alla musealizzazione dei bronzi originali, accettando di esporli solo attraverso i calchi azzurri. Da queste grandi teste ne ritrae una serie di cinque fotografie in bianco e nero sviluppate appositamente per la mostra. Portando avanti un discorso sul ritratto, ne studia l’immagine stereotipata di forza e invincibilità.

Mirna Bamieh, Sour Things: the Pantry, 2024
Courtesy Fondazione Merz
Foto Andrea Guermani

Poco più in là, due amache in acciaio cromato tagliano lo spazio della fondazione, appese con moschettoni a sgancio rapido. Con le opere della serie Chainswing, Monica Bonvicini (Venezia, 1965), si appropria di un’estetica industriale in un moto di vulnerabilità e di resistenza, tra la spensieratezza dell’altalena e la natura consistente del materiale utilizzato. Le amache, realizzate con intrecci di catene, sono per l’artista “esercizi erotici di piacere” e sono proposte come sculture da guardare, riferite solo a loro stesse.

Un’opera è strettamente correlata alla guerra palestinese, quella realizzata da Mirna Bamieh (Jerusalem, 1983). Dopo l’inizio dei bombardamenti a Gaza, l’artista ha lasciato la sua casa a Ramallah, città palestinese della Cisgiordania, e prima di andarsene ha svuotato la dispensa. Questo gesto, come un rituale consapevole di abbandono e transizione, è diventato il punto di partenza di una riflessione sulla sopravvivenza. I barattoli della sua cucina, creati con pazienza e cura per poter servire con parsimonia, non sono durati nel tempo. L’artista trasferisce in questi barattoli il sentimento di resistenza contro la morte, contro la distruzione che ha spazzato via ogni certezza. Il sale della sua dispensa assume quindi un valore di atto politico, e Mirna Bamieh conserva e custodisce lo stesso amore e la stessa dedizione utilizzata per la cura delle sue riserve nella realizzazione di Sour things: the Pantry (2024), un’installazione con ceramiche, barattoli, disegni, wallpaper, in un collage domestico vivace e colorato che trasforma la tristezza in un atto creativo, di rinascita.

Veduta della mostra, (Mona Hatoum, Hot Spot (stand), 2018 e Helina Metaferia, Headdress 77 e Headdress 78, 2025). Courtesy Fondazione Merz. Foto Andrea Guermani

Nel piano seminterrato della fondazione è proiettato Pranayama Organ, (2021), un film di Fiona Banner aka The Vanity Press. Al centro della sala due grandi divani a forma di ali di areoplano, Wing, Fin, Flap (2022), invitano a sedersi. Sullo schermo è proiettata una danza teatrale, intima e poetica di due aerei gonfiabili, un Typhoon e un Falcon, accompagnati da un sottofondo musicale suggestivo. Una performance del conflitto, in cui i due aerei giocattolo evocano la distruzione e allo stesso tempo implorano una richiesta di pace. La traccia sonora mantiene alta l’attenzione, accompagnata dal suono di un organo, in un climax drammatico in cui il vento e gli areoplani si incontrano e si allontanano come forze della natura, e l’audio scandisce il respiro come in un esercizio meditativo.

Tutte le artiste in mostra per questa seconda edizione di Push the Limits sono: Heba Y. Amin, Maja BajeviC, Mirna Bamieh, Fiona Banner aka The Vanity Press, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Latifa Echakhch, Yasmine Eid-Sabbagh/Rozenn Quéré, Cécile B. Evans, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Emily Jacir, Jasleen Kaur, Katerina Kovaleva, Teresa Margolles, Helina Metaferia, Janis Rafa, Zineb Sedira, Nora Turato.

Latifa Echakhch, Untitled (Tears Fall), 2025, glass beads and nylon thread, 700 x 700 x 50 cm. Courtesy of the artist and Pace Gallery and kaufmann repetto Milano/NewYork. Photo: Sebastiano Pellion di Persano