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Fabio De Luigi si mette a nudo nell’intervista rilasciata a Vanity Fair, dove racconta la sua “crisi di mezza età”, che lui stesso ribattezza «crisi di tre quarti», e lega per la prima volta il suo lavoro di comico a un episodio doloroso dell’infanzia.
Il (quasi) abbandono
Fabio De Luigi, nell’ultima lunga intervista concessa a Vanity Fair, racconta quell’episodio dell’infanzia che ancora oggi lo segna: il giorno in cui i genitori lo lasciarono da solo a Genova quando aveva otto anni. «Si dice che chi fa il nostro lavoro lo faccia perché, da piccolo, si è sentito poco visto», racconta. «Se è così, io faccio questo mestiere grazie a un piccolo incidente: i miei genitori mi hanno dimenticato a Genova quando avevo otto anni».
APPROFONDIMENTI
La scena
De Luigi ricorda la scena in modo quasi cinematografico. «Sono saliti in macchina e sono andati via, lasciandomi lì», confida, aggiungendo che «forse faccio il comico per questo motivo, per colmare».
Non è un racconto da seduta di analisi, precisa lui stesso: «Non ne ho parlato con la mia analista, l’ho portato direttamente sul palco, che è forse la migliore analisi che ci sia».
L’attore torna con la memoria a quel bambino di otto anni che vede l’auto allontanarsi: «La macchina diventava sempre più piccola e, d’impulso, ho provato a inseguirla come un cane abbandonato in autogrill». Poi, la scelta più razionale: «Con una maturità che non so dove avessi preso, ho deciso di tornare nel punto in cui era parcheggiata e aspettare che tornassero». Una ferita che oggi rielabora con ironia, ma che resta il simbolo del sentirsi “poco visto” e del bisogno di trasformare quel vuoto in risata condivisa.
Gli anni che passano
L’intervista tocca anche la cosiddetta “crisi di mezza età”, che De Luigi ribattezza con autoironia: «Più che una crisi di mezza età, è una crisi di tre quarti». A spaventarlo non è il cambiamento, ma l’eccessiva stabilità: «Sono un irrequieto, stare sempre nel mare calmo mi spaventa», ammette. «Ogni tanto ho bisogno di tirare un sasso nello stagno per vedere cosa succede». Per questo ha ricominciato ad allenarsi «in posti segreti, molto piccoli», per ritrovare il piacere dell’esibizione dal vivo senza troppa aspettativa.
I prossimi impegni lavorativi
Accanto al racconto personale, De Luigi parla anche dei prossimi impegni. A marzo tornerà al cinema come regista e protagonista con Un bel giorno, il suo quarto film dietro la macchina da presa, dove ritroverà Virginia Raffaele dopo il successo di Tre di troppo. «È stato bello ritrovarsi, credo che questo film non sia male, non vedo l’ora che gli altri lo vedano», dice, lasciando intendere quanta voglia abbia di rimettersi in gioco sul grande schermo.
Nel futuro prossimo c’è anche il teatro. «Mi chiedo cosa succederebbe se tornassi a misurarmi di nuovo con un palco e con la gente», confessa. L’idea è quella di preparare un nuovo spettacolo e tornare sul palco nel 2026: «Con la crisi di mezza età o ti compri la barca, o ti fai l’amante, o ti butti col paracadute, o decidi di tornare a fare teatro. Io ho scelto questo». Una scelta che lui stesso legge come un atto di coraggio: «Per anni mi sono dato del vigliacco, ma riguardando le cose che ho fatto penso di essere stato molto coraggioso».
Infine, il sogno nel cassetto: un festival dedicato interamente alla comicità, «due o tre giorni in un posto adatto, con palchi piccoli, medi e grandi dove i nomi più importanti e i più giovani possano mettersi alla prova». Nella sua testa lo chiama «una sorta di Woodstock della comicità», un luogo in cui chi fa ridere possa sperimentare senza paura. «Se trovo il coraggio, lo faccio», conclude. Ancora una volta, dietro la battuta, il desiderio di trasformare le fragilità di quel bambino “dimenticato a Genova” in una comunità che ride insieme.
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