Fuori, il volto di Piero Angela occhieggia dalla facciata del Centro di Produzione Rai che oggi porta il suo nome. La mano alzata, fissata nell’istante del saluto, pare accompagnare chi entra al numero 14 di via Verdi. Dentro, nella sala riunioni al terzo piano, il figlio Alberto parla con la calma di chi ha imparato che le città, certe città, ti abitano mentre sei tu che credi di attraversarle. Sugli scaffali lì accanto ci sono ancora gli oggetti di Viaggio nel cosmo, la trasmissione firmata da entrambi sul finire degli Anni ’90. Quei pezzi sopravvissuti fino a oggi ricordano la stagione in cui padre e figlio esploravano insieme l’universo, imparando a misurare le distanze fra loro.
Ora Alberto è tornato per girare Stanotte a Torino, episodio della sua popolarissima trasmissione. Andrà in onda la sera di Natale. Per lui Torino resta questo: un punto fermo nella geografia personale, un luogo che restituisce più di quanto trattiene. Un invito a riconsiderare il proprio cammino ogni volta che ci ritorna. «Arrivare e vedere il grande murale di papà è un’emozione grande», sorride. «Ed è un’emozione pensare che lui e mamma si siano conosciuti a poche decine di metri da qui. Un luogo fatale, senza il quale oggi io non esisterei».
Cos’era rimasto a suo padre di Torino?
«Tutto. Si era dovuto trasferire per lavoro, ma a casa parlava sempre in piemontese. E a chi gli chiedeva informazioni sulla città, spiegava perfettamente dove andare, che via imboccare, dove svoltare. Pareva che non se ne fosse mai andato».
Da bambino ci veniva spesso?
«Sono nato a Parigi e ho vissuto a Roma, ma le mie origini sono qui. Ci tornavo per trovare i miei nonni, che abitavano in corso Vittorio Emanuele, vicino a Porta Nuova. Da quelle parti c’è un bar antico, molto austero, in cui il nonno prendeva sempre il cappuccino, portandomi con sé. Ricordo come fosse oggi quel grande bancone in marmo, troppo alto per me che avevo pochi anni. Pareva un muro, oltre il quale mi era impossibile sapere cosa si nascondeva».
L’ha mai scoperto?
«Solo da adulto, quando ci sono tornato durante le riprese di Passaggio a Nord Ovest. Tutto era così come l’avevo lasciato. Perché questo è il bello di Torino: la capacità di fermare il tempo dentro di sé. Si entra in un piccolo locale, una bottega e subito si viene proiettati indietro. Altre città questo non ce l’hanno, o se l’avevano l’hanno perduto».
I luoghi della città che ama di più?
«Tanti. I posti in cui mangiare, i viali da percorrere a passeggio, i bouquiniste sotto i portici di via Po. Lì trovo sempre libri interessanti da acquistare».
Il ritorno alle origini è anche professionale, Stanotte a… è iniziato proprio qui, 10 anni fa.
«La puntata era dedicata al nuovo allestimento dell’Egizio, appena inaugurato. Da archeologo, passare le notti nel più grande museo di egittologia al mondo dopo Il Cairo è stata un’esperienza indimenticabile».
Questa volta che cosa vedremo?
«Musei, piazze, edifici storici, sulle tracce dei Savoia. Non toccheremo solo la zona aulica, ci decentreremo anche un po’».
Sarà una Torino antica o contemporanea?
«Un mix di entrambe. Girerò su un’automobile del 1902, ma utilizzeremo anche splendide immagini riprese con i droni».
Com’è Torino by night?
«Unica. Di città ne ho girate tante per il programma, ma nessuna emerge così bene dopo il tramonto. Alcune sono buie, Torino scintilla in tutti i suoi angoli più belli. Invita a essere visitata, facendosi cullare dal suono dei propri passi».
Chi la girerà insieme a lei?
«Molti compagni di viaggio. Ne cito uno che è con noi da sempre: Giancarlo Giannini. Ci racconterà qualche spigolatura inedita sulla città. Anche da torinesi, vi prometto che scoprirete cose che ancora non sapete».
È dura lavorare di notte all’aperto?
«Molto. Adesso già fa freddo, ma dicono che la prossima settimana andremo sottozero. Come senti, ho avuto un calo di voce. Almeno non ha piovuto, sarebbe stato un problema. Per fortuna la Rai di Torino ci ha messo a disposizione un gruppo molto valido e di grande esperienza. Quando durante la notte abbiamo qualche pausa, mangiamo insieme cornetti e caffè per scaldarci».
Il suo rapporto con la Rai pare più saldo che mai.
«Sì, e non posso che ringraziarli. Siamo un servizio pubblico e i nostri programmi sono interamente prodotti dalla Rai, non da società esterne. Oggi quasi non capita più. Grande merito del successo di Stanotte a… va a loro. È come essere un astronauta, se riesci ad arrivare sulla Luna è perché la Nasa ti mette a disposizione le migliori professionalità».
In tutti i Saloni del Libro è facile individuarla: lei è quello che gira con un codazzo di decine di fans. Come ci si sente al centro di questo enorme successo?
«Mi ritengo un ricercatore prestato alla divulgazione. Per dieci anni ho fatto scavi e continuo ad avere la mentalità dello studioso. Non faccio questo mestiere per essere riconosciuto, anzi, quando capita mi mette persino un po’ in imbarazzo. Per me è importante soprattutto che le informazioni passino, a persone che magari non avrebbero altri modi per apprenderle. La conoscenza è come il pane, va condivisa».
Che rapporto ha con i dati d’ascolto?
«Sono importanti, ma a me la cosa che più interessa è portare a casa la qualità del prodotto. Se sono soddisfatto, non c’è Auditel che tenga».