di
Sara D’Ascenzo

Il rapporto della regista Cavalli e l’attrice Porcaroli, premiata come miglior interprete femminile a Venezia per il film «Il rapimento di Arabella» ora nelle sale. «Il legame di umanità è più forte quando nell’altro riconosci qualcosa di te»

Benedetta «guida e recita, cioè sa fare contemporaneamente due cose per le quali io sono negata». Carolina «sa scrivere e descrivere benissimo fragilità e sentimenti». Insieme Benedetta Porcaroli, attrice, e Carolina Cavalli, regista, formano una coppia professionale che ricorda certi legami che il cinema italiano ha saputo intrecciare negli anni più luminosi, fatti di risate e abbracci, tenerezze e sguardi disincantati posati su un mondo un po’ sghembo. Il loro superpotere è l’amicizia, nata sul set del film «Amanda» (2022), storia di un’adolescente con un rapporto problematico con la famiglia, letto in chiave ironica e surreale. Tre anni dopo rieccole di nuovo insieme per «Il rapimento di Arabella», il film di Cavalli che ha debuttato all’ultima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, dalla quale Benedetta è tornata stringendo tra le mani il premio per la miglior interpretazione femminile. Il film, da oggi al cinema, è di nuovo la storia di una giovane donna fragile che fatica a trovare il proprio posto nel mondo e che vede in una bambina, l’Arabella del titolo, il suo doppio e la possibilità di recuperare il proprio sfilacciato passato.

«È nato tutto ai provini per “Amanda” – racconta Cavalli – da lì abbiamo cominciato a lavorare insieme e per questo secondo film ho avuto da subito l’intuizione che sarebbe stata l’attrice giusta, anche se sono due personaggi molto diversi, ma hanno qualcosa di profondamente comune. È strano perché quando lavori con un’attrice per un ruolo da protagonista assoluta quale era Benedetta per Amanda, si instaura per forza di cose un rapporto di dialogo. All’inizio tra noi c’è sempre stata anche Amanda, poi piano piano ce la siamo lasciata alle spalle, anche se ci pensiamo spesso con nostalgia. Mi sono sentita subito capace di fidarmi di Benedetta, anche se non la conoscevo». «È stata un’amicizia che abbiamo costruito a lento rilascio – conferma Porcaroli – conoscendoci e poi stimandoci e poi volendoci bene, al punto che adesso mi fa anche uno strano effetto pensare che lei sia la mia regista. Oggi Carolina mi sembra una persona molto familiare, come se ci conoscessimo da sempre e siamo prima di tutto amiche, poi viene il lavoro. Credo che si diventi amico di un’altra persona anche perché si riconosce nell’altro qualcosa di sé. E così è andata per noi. Il cinema è stato un tramite per dare vita ai personaggi che Carolina aveva in mente: molto indipendenti, liberi. Insieme abbiamo girato due film molto personali e il fatto che io ci sia in entrambi ha fatto sì che tra me e lei si creasse un rapporto molto intimo, ombelicale». 



















































Due donne che lavorano insieme sono anche un telescopio che osserva quella galassia sfuggente che è la solidarietà femminile. «Io mi trovo benissimo a lavorare con le donne quando c’è la possibilità di farlo – dice Cavalli – mi rendo conto che anche per cultura, tra due ragazze ci sono dei tipi di contatto e connessione che sono specifici e io li sento in maniera precisa, perché ci sono tante donne che hanno ruoli importanti nella mia vita». «Se ho un problema  – dice Porcaroli – io oggi so che Carolina la voglio chiamare. Rispetto all’approccio sul lavoro non fa alcuna differenza se raccontiamo la storia di un ragazzo o una ragazza, perché quello che raccontiamo è la storia persone che banalmente sono sole e cercano qualcuno a cui volere bene. Però le donne vengono da una storia in comune, da qualcosa che hanno nel Dna e che conoscono; perciò quando lavoro con una donna e mi ci trovo bene, lo faccio in un modo un po’ più privato rispetto a un uomo perché è come se riuscissi a trasferire a quella persona tante cose che non avrei gli strumenti per spiegarle a parole. Purtroppo mi è capitato anche il contrario, non sempre trovi donne disposte ad agganciarsi a te, però quando succede è un valore aggiunto trovare una sorella e questo mi rassicura nel profondo». 

E la parola sorella, forse, non nasce a caso, se si pensa al «Rapimento di Arabella», e a quell’incontro tra la bambina e la ragazza: un incontro di mancanze che dischiude nuove possibilità. «Olly, il personaggio di Benedetta, deve accettare di essere chi è e di essere nel mondo. E questa è la conquista maggiore che ottiene nel corso della storia: l’abbandono dei propri sogni non è una rassegnazione, ma accettare sé stessi e rinunciare alle cose che non ti lasciano esserlo pienamente», dice Cavalli. «Penso che incarnare il presente sia qualcosa da cui cerchiamo inconsciamente tutti di fuggire – dice Porcaroli –. Ma la lezione che impara questa ragazza è che il passato non si cambia e che non esiste una versione migliore di noi da qualche altra parte. Non ci resta che vivere, anche se è la cosa che ci spaventa di più al mondo». E vivere al cinema è ancora più forte.

1 dicembre 2025