I tagli alla ricerca e le politiche anti-scientifiche dell’amministrazione statunitense non stanno danneggiando solo la comunità accademica. Anche l’industria farmaceutica americana accusa duramente il colpo, tanto da ritenere a rischio l’avvento di quella che è ritenuta la prossima rivoluzione biomedica: le terapie basate su farmaci a RNA.

Poco più di due mesi dopo che in Italia era scattato il lockdown, il 15 maggio 2020 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che pure aveva parlato di Sars-CoV-2 in termini di «virus cinese», sminuendone al contempo la pericolosità, annuncia l’operazione Warp Speed, un massiccio investimento pubblico-privato per supportare lo sviluppo in tempi record di vaccini. A fine di quell’anno verrà raggiunta la cifra di 18 miliardi di dollari.

Come spesso accade nel mondo della ricerca, si sa da dove si inizia ma non si può dire con certezza dove e quando si finisce.

Diverse aziende puntano su diversi tipi di vaccini, ma a tagliare per prime il traguardo, annunciando un’efficacia superiore al 90 per cento, sono due aziende statunitensi, Moderna e Pfizer (la seconda in partnership con la tedesca BioNTech) che hanno messo le loro fiches su un approccio innovativo, mai tentato prima: i vaccini a mRNA, o RNA messaggero.

Invece di somministrare al sistema immunitario piccole quantità di virus, come si fa con i vaccini tradizionali, quelli a mRNA inseriscono un codice molecolare, preparato in laboratorio, che istruisce le cellule del paziente a costruire proteine in grado di innescare una risposta immunitaria, ovvero la produzione di anticorpi necessari a contrastare una futura infezione virale.

I nuovi vaccini vengono somministrati a miliardi di persone in tutto il mondo e nel 2023 la biotecnologia viene premiata con il Nobel per la medicina, assegnato ai pionieri che intuendone il potenziale dirompente l’avevano messa a punto diversi anni prima: Katalin Karikó e Drew Weissman.

Il sentimento anti-RNA

La pandemia è stato uno straordinario acceleratore di fenomeni, nel bene e nel male, incluso il rapporto tra scienza, politica e mercato. Si può discutere di come sia stata gestita l’accettabilità sociale delle campagne vaccinali, delle disuguaglianze globali nell’accesso alla vaccinazione, del prezzo dei vaccini, ma non della sicurezza e dell’efficacia nel prevenire l’insorgenza del Covid (di quelli ad mRNA nella fattispecie), confermate oltre ogni ragionevole dubbio, dai trial clinici prima e dai dati delle somministrazioni poi.

Negli Stati Uniti però il sentimento anti-RNA è montato negli ultimi cinque anni. È partito prima come contestazioni alla regolarità delle procedure di approvazione dei vaccini, per poi evolvere in teorie cospirazioniste su alterazioni del DNA e sul conseguente controllo delle masse, fino ad arrivare a declinarsi in vere e proprie proposte di legge in alcuni stati federali per proibirne l’utilizzo (nessuna delle quali finora è passata).

Robert Kennedy jr, messo da Trump a capo del dipartimento della salute, ha costruito la sua fortuna e la sua immagine politica cavalcando lo scetticismo contro i vaccini e, complice l’efficientamento della spesa pubblica targato Musk, ha tagliato fondi a una serie di progetti finalizzati al contrasto delle malattie infettive, inclusi molti sull’mRNA.

La voce degli scienziati 

«Indebolire il supporto alle biotecnologie basate sull’mRNA potrebbe creare un effetto domino, andando a minare la leadership scientifica americana, diminuendo la competitività in ambito della bioeconomia e andando a compromettere la sicurezza nazionale e la preparazione pandemica».

Recita così un comunicato pubblicato lo scorso 8 maggio dalla Alliance for mRNA medicine (AMM), un gruppo che rappresenta 75 tra aziende e centri di ricerca, che sviluppa e produce farmaci, basati sull’mRNA, che potrebbero rappresentare un balzo in avanti nella lotta a un ampio spettro di malattie.

«I tagli alla ricerca biomedica e le minacce delle politiche anti-mRNA rischiano di ritardare progressi terapeutici per combattere il cancro, malattie rare e altre patologie».

L’RNA infatti fa parte di quell’insieme di trattamenti che rientrano sotto l’ombrello di terapia genica e medicina personalizzata. Lo stesso principio adottato dai nuovi vaccini contro Covid-19 può essere sfruttato per istruire il sistema immunitario a combattere altre condizioni, inclusi i tumori: da un po’ di anni infatti si parla letteralmente di sviluppare vaccini contro il cancro, che in questo caso però servirebbero a curarlo, non a prevenirlo.

«I farmaci a RNA possono combattere il cancro silenziando i geni che ne promuovono la proliferazione o inducendo una reazione naturale del sistema immunitario», si legge sul sito del Centro di Ricerca Nazionale per lo sviluppo di Terapia Genica e Farmaci a RNA, la cui nascita nel novembre del 2022 è stata finanziata con circa 320 milioni di euro dai fondi Pnrr.

«I farmaci basati sull’RNA rappresentano il futuro della medicina personalizzata in quanto possono essere progettati per rispondere al percorso individuale di una malattia, ad esempio un sottotipo di cancro o una variante di un virus».

La fuga industriale 

Forti dell’abbrivio che avevano preso dopo la pandemia, le aziende statunitensi avevano investito convintamente sulle biotecnologie a RNA, ma ora gli industriali del settore, in un sondaggio della AMM che ne ha coinvolti più di un centinaio, hanno espresso forte preoccupazione per la piega che hanno preso gli Stati Uniti: sono già in corso «ridimensionamenti di progetti avviati, tagli di budget, ritardi negli investimenti, chiusura di partnership, perdita di posti di lavoro, congelamento di nuove assunzioni».

Così come sta avvenendo una fuga di cervelli in ambito accademico, l’AMM parla di un analogo pericolo di fuga industriale: ad oggi circa due terzi delle aziende al mondo che lavora con l’RNA ha sede negli Stati Uniti, ma alcune di queste stanno già pianificando di spostare le proprie operazioni in Europa o in Asia.

Questione di fiducia 

È come se l’RNA, acronimo scientifico di acido ribonucleico di per sé asettico, sia diventato un marchio che ha subito un danno di reputazione ormai irrimediabile, in un paese dove i politici fanno leva sul sentimento di pancia, invece di attenuarlo, e capitalizzano alle urne.

Anche in altri stati l’esitazione sui vaccini a RNA si è trasformata in disinformazione: in G iappon e addirittura ha portato a paragonare i loro effetti a quelli di una terza bomba atomica. In questo caso però una classe politica più responsabile ha continuato a sostenerne l’adozione.

Per decenni l’industria del tabacco si è spesa in campagne di lobbying e di comunicazione per convincere il pubblico e i politici che la correlazione tra fumo e cancro ai polmoni non fosse così solida come la scienza sosteneva.

Le aziende di combustibili fossili hanno copiato queste strategie per disinnescare l’allarme climatico. Anche Big Pharma a partire dagli anni Novanta ha taciuto gli effetti collaterali di farmaci antidolorifici e antidepressivi, favorendone un abuso che oggi è responsabile di una vera e propria epidemia da oppiodi.

Ora le aziende farmaceutiche si trovano a dover promuovere un’informazione il più possibile corretta per garantire la sopravvivenza su suolo statunitense della filiera di farmaci e terapie a RNA. Per far comprendere i loro benefici a politici e cittadini e per ribaltare lo stigma reputazionale, l’industria dovrà impegnarsi in campagne di lobbying, di influenza e di comunicazione, ma per una giusta causa.

© Riproduzione riservata