Che ci fanno quei piatti di anguille sul tavola dell’Ultima Cena leonardiana? Il particolare non è stato mai notato, se non en passant da uno studioso americano pochi anni fa, ma Luigi Ballerini, italianista che ha insegnato in varie università americane, poeta e traduttore, si è finalmente, per così dire, posto il problema in Le anguille di Lonardo (Marsilio). Non è un problema così bizzarro, perché quelle anguille sono una rarità, anzi un unicum fra le innumerevoli ultime cene dipinte a partire dl ‘400. Non solo, ma dato che si tratta di una tavolata di ebrei osservanti, c’è anche il particolare curioso che sarebbero proibite. La legge mosaica consente infatti i crostacei ma non quel delizioso pesce, peraltro molto amato nel ‘400 e nei secoli successivi.

Leonardo poteva anche ignorare, come la gran parte dei suoi colleghi, i precetti alimentari dell’ebraismo (ma dato che ne parlano gli Atti degli apostoli non è affatto detto), però mettendolo in tavola ha compiuto comunque un gesto decisamente originale. Ballerini, curiosissimo di scoprire perché un artista così attento ai dettagli abbia compito una simile scelta, intraprende un lungo viaggio nella gastronomia del suo secolo, che crea una sorta di sottofondo, assai ricco, alla ricerca principale, e con un tono niente affatto accademico, persino umoristico. Proprio in quegli anni, dalla seconda metà del secolo, sulla tavole dell’ultima cena abbonda infatti il cibo, e per di più squisito: dalle ciliegie al grana padano, dai gamberi al cinghiale, persino la crostata di fragola e qualche volta, ovviamente, l’agnello. Oltre che il pane e il vino.

Quelle riunioni conviviali proprio nel momento culmine della narrazione evangelica testimoniano che nel frattempo sta tramontando in Europa l’ascetismo estremo, il disprezzo del corpo, soprattutto la considerazione della gola come vizio capitale. Lo spiega in sunto anche il titolo di un capitolo, «la gola smette di esser un peccato, e forse non lo era nemmeno prima». Si scatena la gioia di vivere, si parla apertamente di cibo, si pubblicano libri, i cuochi scrivono e dettano le regole. Il papa Martino V ad esempio ne ha uno di fiducia, Giovanni Bockenheim, che dopo la scomparsa del pontefice pubblica un libro di ricette con i piatti più consoni ai diversi mestieri e professioni, ivi compreso un latte di mandorla cotto in una spugna per le prostitute.

La Controriforma era a un passo, ma non avrebbe inciso sui fornelli. Né sulle anguillle. Erano e restarono molto amate, anche se medici a gastronomi avvertivano che potevano far male. Certo, dovevano piacere a Leonardo. Il motivo per cui le inserì nel suo capolavoro, unico fra tanti artisti, resta oscuro. Un messaggio cifrato? Un’ipotesi Ballerini la fa: potevano essere un omaggio a Ludovico il Moro, posto che il biscione milanese, vipera d’acqua e comunque animale più o meno immaginario, delle anguille poteva essere considerato parente stretto. Il giallo storico non è risolto (in fondo la conclusione non mostra una pistola fumante) ma intanto abbiamo imparato tutto sull’anguilla. Anche che Montale nella sua celebre poesie ad essa dedicata, le fa provenire dal Baltico «per giungere ai nostri mari», anziché dai Sargassi. Licenza poetica.