di
Fabrizio Caccia
Cavo Dragone? «Non sta pensando mica a operazioni militari sul campo, si preoccupa del rischio cyber»
Il generale in pensione Vincenzo Camporini, 79 anni, capo di stato maggiore della Difesa dal 2008 al 2011, si meraviglia: «Dopo le parole di Cavo Dragone al Financial Times ho letto che l’ammiraglio avrebbe messo in imbarazzo il governo italiano, che così si rischia l’escalation».
Cavo Dragone, generale, ha ammesso che «essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando». Ed è parso a tutti che si riferisse alla Russia.
«Ma lui ormai ha un ruolo internazionale, non più nazionale, oggi presiede il comitato militare Nato, esprime cioè la posizione dell’Alleanza atlantica, perciò il governo italiano non può essere chiamato a risponderne. Eppoi non sta pensando mica a operazioni militari sul campo, si preoccupa del rischio cyber».
La guerra ibrida.
«Centinaia di migliaia di attacchi hacker e mi pare difficilmente negabile che una gran parte arrivi da fonti russe. Per la dottrina vigente, però, dobbiamo limitarci a proteggere con degli scudi antivirus i sistemi informatici di banche, acquedotti, centrali. E allora la Nato, da anni, sta pensando di andare oltre».
L’attacco ibrido preventivo di cui parla Cavo Dragone.
«Prima identifichiamo la sorgente — l’attribution è complicata — poi le lanciamo contro i “nostri” virus. Resta pur sempre un’azione difensiva».
Servirà assoldare softwaristi, hacker…
«In questa guerra mica ci vogliono i soldatini, ma tecnici ed esperti, basta pagarli! Ci vedo una coerenza con l’idea di Guido Crosetto: creare una riserva fatta di personale specializzato, professionisti del cyber. È un cambio di strategia. Si può ragionare forse sull’opportunità di farli uscire, ma i ragionamenti di Cavo Dragone sono ormai necessari, i governi non possono chiudere gli occhi di fronte al leone che ci sta mangiando».
La guerra ibrida si basa pure sulle fake news.
«La settimana scorsa sono stato a un seminario Luiss a cui partecipava Michael McGrath, il commissario europeo che si occupa anche del contrasto alle fake news. E in sala si ragionava proprio su questo: perché non rispondere con una campagna di influenza sull’opinione pubblica russa? Durante la Guerra fredda ci fu la grande epopea di Radio Free Europe che trasmetteva oltre la “cortina di ferro” l’immagine magnificata della società occidentale. Oggi si potrebbe tentare di nuovo, non in Siberia ma là dove c’è ancora una certa vivacità intellettuale, a Mosca, San Pietroburgo».
E contro i droni?
«Americani, inglesi, israeliani, ritengo anche italiani, stanno già lavorando alacremente su sistemi a energia diretta per attrezzarsi contro i droni sospetti. Stiamo parlando di raggi laser di alta potenza, schiacci un bottone e parte il raggio che danneggia il drone. Sistema più economico: per produrre un missile ci vogliono anni e soldi. Un raggio ti costa 5-10 euro. Ma c’è un problema giuridico».
Quale?
«Se il drone che abbatti poi cade su un’auto, chi paga? E si può giustificare questo tipo di attività in tempo di pace? Serviranno nuove norme».
Putin ha detto che non vuole attaccare l’Europa.
«Aveva pure detto che non avrebbe invaso l’Ucraina e io gli avevo creduto. Piuttosto c’è un’altra sua frase che mi preoccupa: “Voglio riprendermi quello che era mio”. Per me sta pensando ai Paesi Baltici e alla Moldavia. Se fossi Gerasimov (Valerij Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze armate russe, ndr) pianificherei già il blocco della striscia di Suwalki — l’ultimo confine tra i Baltici e la Polonia — che collega la Bielorussia con l’exclave russa di Kaliningrad, la sede dei missili Iskander. Il blocco impedirebbe l’afflusso via terra dei rinforzi Nato in Lituania in caso di attacco».
Scenario da brividi.
«Tutto va sempre considerato, anche lo scenario peggiore».
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3 dicembre 2025
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