Le preoccupazioni di fondo che animano la presa di posizione di una novantina di autori contro la presenza di un editore di estremissima destra alla manifestazione «Più libri, più liberi», sono condivisibili. Specie in un periodo che vede il rigurgito dell’antisemitismo, ormai non più distinto dall’antisionismo e il crescere di apologie sfacciatamente aperte per i peggiori totalitarismi.
Ma crediamo che non sia giusto, e nemmeno opportuno, proibire la partecipazione di una casa editrice. Qualunque essa sia. Anche se il catalogo non ci piace. O meglio ci fa orrore. E, come scrive Paolo Conti sul Corriere, spazia dal nazista Léon Degrelle a Corneliu Zelea Codreanu, fondatore di uno dei movimenti più violenti e
antisemiti degli anni Trenta.
Ha ragione il presidente dell’Associazione italiana editori (Aie) Innocenzo Cipolletta quando dice, insieme alla curatrice della rassegna, Chiara Valerio, che non si può rinunciare a due capisaldi della democrazia: il diritto d’autore e la libertà d’edizione. Perché allora si finirebbe per assomigliare alle dittature che i libri scomodi non li pubblicano o li bruciano, gli autori ribelli li perseguitano quando non li uccidono. In Rete poi si trova di tutto e di peggio. In una grande manifestazione culturale come «Più libri e più liberi», il lettore sarà meno solo e non rischierà di naufragare come tanti navigatori del web. La censura poi è, in questo caso, la forma più efficace, pur involontaria, di pubblicità. Infliggerla a quella casa editrice è il miglior regalo che le si possa fare. Una vera e propria campagna, immeritata, di marketing. Scelga il lettore, liberamente. Se cominciamo a dubitare delle sue capacità di scelta, allora siamo messi molto male.
3 dicembre 2025
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