Emis Killa torna con Musica triste e lo fa senza compromessi. Zero lifting pop e nessun tentativo di sembrare quello che non è mai stato. Così il rapper di Vimercate riabbraccia l’hip hop che odora di strada, sudore e notti storte, e lo rimette al centro delle sue barre come fosse una autodifesa culturale. È un disco che non consola, in uscita venerdì 5 dicembre, ma mastica e sputa il presente, anche il suo. E soprattutto racconta di un uomo che ha smesso di recitare la parte del personaggio, preferendo mostrarsi con le cicatrici in vista. Dentro ci sono amicizie perse, amori che bruciano, lo sguardo feroce verso la discografia e una sincerità tanto violenta da risultare commovente. Più che un ritorno di Emis Killa, sembra la riaffermazione di un’identità. Uno statement che nel rap conta più di dieci Sanremo.

Il disco parte subito con un’invettiva in Luna storta: “Fuck the major, fuck the media / Odio l’ipocrisia, la polizia e i finti real di ’sta minchia”. Emis rimette in ordine le coordinate del suo universo prendendo le distanze dall’ambiente mainstream. Subito dopo rincara la dose: “Fra volevo ripulirmi e ho fallito / Ho solo amici in cella o sulla via di Carlito”. Fino a prendere di petto l’inchiesta Doppia curva, che coinvolge il mondo ultrà milanese e che lo vede indagato con l’accusa di associazione a delinquere. Un’esperienza che finisce tra le sue barre: “La giustizia che si attacca al campanello in piena notte”, oppure “È notte fonda e ho gli sbirri fuori dalla porta. Ma la faccio franca anche stavolta”. Una vicenda ancora aperta, fatta di perquisizioni, Daspo e la rinuncia allo scorso Festival: “Senza Sanremo, senza l’estivo / Pensa che merda”.

Come ha voluto sottolineare nell’incontro stampa di ieri, Emis Killa non rinnega le amicizie e non ha niente da farsi perdonare: «Nei miei testi non c’è mai una giustificazione o un incitamento rispetto ai problemi avuti dai miei amici, e di conseguenza da me. Ne parlo perché è successo e non è stato bello. Sono tutti bravi a fare quelli che vengono dalla strada, ma quando certe cose ti toccano non sono piacevoli. Ma ho la coscienza talmente pulita che non ho niente da nascondere. Emis Killa è anche questo, i miei dischi parlano della mia contemporaneità, quindi avrebbe fatto ridere non sentirmi dire una parola su una cosa del genere che mi è accaduta. Ma non rinnego le mie frequentazioni. Io non rispondo per gli altri e se uno dei miei amici commette degli errori verrà giudicato per quello che ha fatto. Per il momento, tutti i miei amici con me sono stati delle persone squisite, che hanno dato alla mia vita e non hanno mai tolto».

E ha chiarito perché ha scelto di non riprovarci con Sanremo: «Carlo Conti è stato un grande per come mi ha difeso e per le belle parole che ha speso. Non è vero che lui o la Rai non mi hanno voluto al Festival: ho deciso io, insieme al mio entourage, di non andarci. L’anno scorso mi sentivo di farlo come esperienza nuova, quest’anno no. Il disco ha preso una direzione molto più rap e avrebbe avuto poco senso salire sul palco con un pezzo più cantautorale per poi uscire con un album così duro. Se un giorno avrò una canzone più adatta, potrei riprovarci. Ma la scelta è stata solo mia».

Fra le 15 tracce di Musica triste non c’è voglia di piacere, ma anche una buona dose di nostalgia. Come in Phrate, quando Emis riavvolge il nastro “dai centri sociali con quei rappusi fino al top”, evocando gli amici in cella “che quando sarà uscito il pezzo / spero siano già usciti da un pezzo”. Una memoria spesso dolorosa, ma che riconosce come fondativa: «Il pezzo Musica triste nasce dopo aver letto un post del compositore Eric Christian: “Non sono triste, ma la mia musica lo è”. Mi ci sono rivisto. La mia musica è così, nostalgica ed emotiva. Mi è piaciuto come slogan, visto che la musica oggi ha perso valore». È anche per questo che attacca il “sistema” del quale lui stesso fa parte: «Esce tanta musica e l’attenzione cala. Era più bello quando compravi un disco e gli davi davvero il tuo tempo. Per la musica, come tante altre cose, c’è disaffezione. Il progresso ci ha portato a dare meno valore a tutto, anche ai dischi. Oggi tutto si consuma troppo in fretta ed è svilente per l’arte».

Foto: Adriano Alia

Nell’album c’è un continuo corpo a corpo tra passato e presente. In Fanculo con Baby Gang la radice è ancora tutta lì, nelle regole, spesso discutibili, di chi la strada non se la è mai tolta di dosso: “Se mi chiedono chi è stato, nessuno / fanculo, fa’ fanculo / Non quantifico il rispetto con gli anni di branda”. Attitudine che rivendica anche di persona: «Certi pezzi sono provocatori, ma io sono cresciuto con il rap di vent’anni fa, quando c’era più libertà di parola. “Fuck the major, fuck the media” non è contro la Sony, che mi supporta, ma contro chi vuole condizionare la musica da dentro con sollecitazioni esterne».

Gli resta anche la consapevolezza amara di chi la vetta l’ha toccata e ne ha visto l’inganno: «È come salire a una festa che sognavi all’ultimo piano di un grattacielo e, man mano che sali, cambia tutto: musica, persone, atmosfera. Quando arrivi non è più la festa che sognavi». Un disincanto che, però, non cancella il fuoco: «Nel rap mi sento sempre ventenne. La spocchia che piace ai fan la tengo viva. Reggerà ancora per un paio di dischi, poi dovrò cambiare». E ammette: «Sono invidioso di artisti come Jovanotti o Coez che hanno saputo reinventarsi restando se stessi. Non so se ne sarei capace. È come smettere di fumare: deve nascere da te». Intanto, coinvolge nei feat mezza scena rap, Salmo e Tedua, Tony Effe e Capo Plaza, Baby Gang, Papa V, Nerissima Serpe, Flaco G, Ele A e Promessa. 

Così non resta che guardare a un passato glorioso. Phrate spicca per la produzione di Don Joe, visto che il brano si basa sulla musica di Phra (Outro) dei Club Dogo: «In questi casi si chiede il permesso, anche se Jake mi ha sempre detto che con i suoi pezzi potevo fare quello che volevo, ma era giusto chiedere agli altri. Avevo già in testa il pezzo prima di andare da Joe e non è cambiato troppo, non mi piace stravolgere i pezzi di culto». Emis rivendica poi il ruolo delle donne nella sua scrittura, spiegando perché sono protagoniste nella cover: «La strada, l’amicizia, il mio io, tocco tante corde, ma le donne hanno sempre un ruolo importante nelle mie canzoni. È un tributo all’universo femminile che ha ispirato buona parte della mia carriera. E per la prima volta non ci sono io in copertina».

In Robb Stark arriva un altro affondo rivolto a chi amplifica certe vicende: “Resto in strada / non leggo le testate giornalistiche / Fra prenderei a testate i giornalisti come Spada”. E sembra rivendicare la libertà di raccontarsi senza edulcorare nulla. Una postura che Emis Killa difende apertamente, come ci ha tenuto a sottolineare: «La musica non salverà il mondo, non l’ha mai fatto. È una conseguenza della società, non il contrario. Io faccio quello che mi riesce meglio: intrattenere, anche quando sono nostalgico». In tutte le tracce è quindi sempre presente il tema dell’identità, che non può essere truccata né messa in discussione. Come in Serpe: “Io in stanza d’albergo / morirò in ’sto letto come Tenco”. A poco vale che il tutto sia condito dal successo: «Rimpiango l’inizio, quando volevamo essere i rapper più bravi, non comprare la Urus come Lazza», scherza. Così la domanda finale in Mare di notte (“Domani o tra dieci anni dove sarò?”) non suona retorica, ma come l’unica forma di onestà possibile.