di
Andrea Pasqualetto

Era stato condannato per maltrattamenti ed era tornato in libertà a patto che seguisse un percorso per maltrattanti. La procuratrice: «Non lo ha mai iniziato perché purtroppo la struttura non aveva posti»

Ossessionato dal pensiero del tradimento, in aprile aveva sfondato con un’ascia la porta della camera da letto trovando però solo la moglie. «Questa sera ti ammazzo», l’aveva minacciata frantumandole il cellulare perché non potesse chiedere aiuto. Era quindi andato a casa del presunto amante e sempre con l’ascia aveva distrutto il portone d’ingresso sbagliando però appartamento. Poi era tornato da lei, che nel frattempo era riuscita a scappare dai vicini.

I precedenti

Davanti ai carabinieri, la donna, Sadjide Muslija, operaia quarantanovenne di origini macedoni, aveva quindi raccontato le violenze subite da un anno ricordando di aver denunciato il marito in gennaio. Lui era stato quindi arrestato e poi condannato a un anno e dieci mesi per maltrattamenti ma era rimasto in libertà.
Ieri, la tragica scoperta: Sadjide senza vita sul letto di casa, a Pianello Vallesina, fra le colline anconetane di Monte Roberto. Sul corpo aveva i segni evidenti di un pestaggio e il primo sospettato è naturalmente lui: il cinquantenne Nazif Muslija, suo connazionale e coniuge da una vita. Anche perché l’uomo, operaio in una ditta della zona, non si è presentato al lavoro e risulta irreperibile. «Chiaro che tutto porta al marito», dicono gli inquirenti.



















































«Si erano riconciliati»

 E mentre i carabinieri sul campo gli danno la caccia, in ufficio si cerca di capire come si fosse evoluto in questi mesi il rapporto fra marito e moglie. «La signora aveva rimesso la querela, la separazione è rientrata e si erano riconciliati. Diceva che lui aveva compreso l’errore, comunque lei l’aveva riaccolto in casa», spiega l’avvocato Antonio Gagliardi che ha difeso Nazif nel processo chiuso in luglio. Domanda: perché l’uomo era in libertà? «Qui tocchiamo un tasto dolente — aggiunge Gagliardi —. Il giudice del patteggiamento ha posto la condizione dalla quale non ci si può più esimere per questo tipo di reati: il percorso di cura previsto per gli uomini maltrattanti». E qui l’avvocato apre una polemica: «Questo percorso, che per come la vedo io avrebbe dovuto iniziare il giorno dopo il patteggiamento, non è mai partito». Il motivo? «L’Uepe, l’ufficio esecuzione penale esterna di Ancona, l’aveva programmato per la prossima primavera. Troppo tardi. L’uomo andava curato subito, non dopo un anno».

Il legale: «Avevo una brutta sensazione»

Il legale aveva la sensazione che qyalcosa di brutto potesse accadere . «Il rischio era chiaro e io lo percepivo. Tanto che gli ho consigliato di andare da uno psichiatra per una terapia privata, in attesa di iniziare quella imposta per legge dal tribunale. Per me questa è una falla del sistema. I tempi sono troppo lunghi, troppo, e la riprova è in quello che è accaduto».
La falla sarebbe nella mancata esecuzione di quanto è previsto dal codice penale sugli obblighi del condannato per reati di «codice rosso», maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale: «Articolo 165, comma 5: la sospensione condizionale della pena può essere concessa solo se il condannato partecipa e completa con esito favorevole un percorso di recupero, percorsi organizzati da enti o associazioni».

La procuratrice: «C’è una criticità nel sistema»

E a confermare che qualcosa non ha funzionato nel sistema di recupero previsto dalla legge è la stessa procuratrice di Ancona, Monica Garulli, che ha aperto un fascicolo sul femminicidio di Sadjide: «Il problema è che il percorso non è iniziato perché la struttura individuata non aveva disponibilità. Se il soggetto fosse stato preso in carico forse qualcosa sarebbe cambiato. Questa purtroppo è una criticità sulla quale bisogna riflettere. Che però, sia chiaro, nulla toglie alle sue eventuali responsabilità».

3 dicembre 2025 ( modifica il 3 dicembre 2025 | 21:32)