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Sonia Delesalle-Stolper e Veronika Dorman

«L’Ucraina continua a vivere, l’arte esiste ancora, è questa la nostra resistenza. Ma le opinioni pubbliche europee sembrano stanche». L’intervista esclusiva a Libération in versione integrale

Mentre Volodymyr Zelensky incontrava Emmanuel Macron all’Eliseo, per la decima volta dall’inizio della guerra, allo scopo di riaffermare non solo l’amicizia tra i due popoli, ma anche il sostegno europeo a Kiev, la First Lady dell’Ucraina, Olena Zelenska, si dedicava a un altro genere di intervento diplomatico. Sotto le dorature del Quai d’Orsay, al fianco di Brigitte Macron e del ministro degli affari esteri ed europei, Jean-Noël Barrot, nell’ambito dell’inaugurazione del Festival dell’Ucraina in Francia (una serie di eventi culturali a cui partecipa la testata Libération), la moglie del presidente Zelensky rivolgeva i riflettori su un progetto che le sta molto a cuore: “Riportare a casa i bambini”. 

Un programma per identificare e rimpatriare le migliaia di minori ucraini deportati dai russi in questi ultimi tre anni. Prima di dirigersi al municipio della città per firmare i memorandum sulla cooperazione culturale tra Francia e Ucraina, Olena Zelenska, che di rado si esprime in pubblico, ci ha concesso un’intervista esclusiva. 



















































Molto riservata e cauta sulle prime, rigirando la fede nuziale con le dita sottili, la First Lady non ha tentato di nascondere l’emozione nel ricordare le prime vittime innocenti della guerra, i bambini, che restano al centro del suo impegno personale sin dall’inizio dell’invasione del suo paese ad opera delle forze russe, il 24 febbraio 2022. 

Lei è venuta in Francia in occasione del festival culturale dell’Ucraina. Perché questa serie di eventi, che si protrarrà per quattro mesi fino al 31 marzo 2026, riveste una particolare importanza per lei?

«Innanzitutto, è importantissima sul piano emotivo. Rappresenta la manifestazione della nostra cultura sulla scena mondiale. La nostra è una cultura ricca e forte che sfortunatamente è stata a lungo eclissata dall’impero russo prima, e dall’Unione sovietica successivamente. E ancora oggi, siamo impegnati a far uscire i nostri numerosi artisti da questa zona d’ombra per ricordare al mondo che si tratta effettivamente di artisti ucraini. La cultura del nostro paese oggi lotta per la sopravvivenza. Come tutti i cittadini ucraini, d’altronde. I nostri teatri e le nostre biblioteche sono stati distrutti, ma il paese continua a vivere e l’arte continua a esistere e svilupparsi. E così pure la nostra resistenza. E di questo noi vogliamo parlare. Per gli artisti, è altrettanto importante poter condividere le loro opere, creazioni, dipinti, canti e spettacoli. È un processo importante per il mondo intero, che ci permette di conoscerci meglio reciprocamente, al fine di sgombrare il campo da malintesi, pregiudizi e conflitti». 

Tra le sue priorità personali c’è il benessere dei minori ucraini. E tutti i giovani sono al cuore della sua fondazione, creata nel settembre 2022. Vuole illustrarci quali sono questi progetti?

«Non posso restare indifferente davanti ai bambini, e non solo perché sono anch’io madre. Al suo esordio, la Fondazione Olena Zelenska è stata creata per fornire aiuti umanitari alle vittime della guerra, ma tornavamo sempre a interessarci ai minori e ai loro problemi. Alla fine, abbiamo deciso di concentrarci esclusivamente sui progetti a loro destinati. Tra gli obiettivi principali ricordo il sostegno alle famiglie affidatarie, che crescono questi bambini, compresi quelli che hanno perso i genitori nella guerra. Ci occupiamo inoltre di riparare e rafforzare i rifugi antiaerei nelle scuole, come pure nelle mense e nelle cucine scolastiche, perché vogliamo che tutti i bambini possano tornare all’insegnamento in presenza. Questo progetto si chiama “Scuole sicure”, perché quando il bambino trascorre l’intera giornata a scuola, oltre alla sicurezza fisica, ha bisogno di pasti caldi per favorire il suo sviluppo. I genitori si sentono tranquillizzati, e questo contribuisce ad aiutare l’intera famiglia. Un altro progetto si chiama “La scuola dei supereroi”. Si tratta di spazi educativi speciali allestiti negli ospedali, affinché i bambini sottoposti a lunghi trattamenti medici non accumulino ritardi scolastici. Dodici centri sono stati creati in due anni e altri sei verranno inaugurati l’anno prossimo. Nel mio ruolo di First Lady, sono impegnata nello sviluppo di un programma nazionale di salute mentale, in quanto l’Ucraina è carente di servizi specializzati rivolti agli adolescenti. Come tutti i ragazzi di questa età, in ogni angolo del mondo, si tratta di individui molto sensibili costretti a confrontarsi con realtà drammatiche, e molti di loro soffrono di disturbi dell’ansia e di depressione. Purtroppo il numero dei suicidi aumenta proprio in questa fascia d’età. E per di più, in Ucraina a tutto questo bisogna sommare la tragedia del guerra. Stiamo allestendo spazi speciali per i giovani, chiamati “12-21”, e rivolti a un pubblico dai 12 ai 21 anni. Tre di questi apriranno già a dicembre e altri due subito dopo». 

Come fate a pensare alla ricostruzione dell’Ucraina con le bombe che cadono ancora tutti i giorni sul vostro paese? 

«Se si pensa solo alle bombe, la vita si ferma. Ma nessuno in Ucraina, tra coloro che hanno scelto di restarvi, può permettersi di pensare esclusivamente al pericolo. Ogni mattina, dopo i bombardamenti notturni, noi ci alziamo e andiamo a lavorare. Ed è proprio grazie a questo spirito che le scuole e gli ospedali continuano a funzionare, l’economia continua a girare e il paese non ha mai smesso di vivere. Ed è per questo che è importante ricostruire subito dopo la distruzione, se possibile. La gente ha bisogno di una casa e di un lavoro. Ma se qualcosa resta in rovina per troppo tempo, ecco che le macerie cominciano ad allargarsi tutt’attorno. La ricostruzione dà un senso alla nostra resistenza. Per fortuna, i nostri partner ci aiutano in questo impegno. Visito spesso le città di Bucha e Borodyanka, che hanno molto sofferto durante i primi mesi dell’invasione. È straordinario vederle ricostruite e abbellite, vedere la vita che ricomincia e la comunità che rinasce. Le persone hanno bisogno di energia per vivere, di aspirazioni e di motivi di gioia. La ricostruzione esterna aiuta a ricostruirsi internamente. Abbiamo un proverbio, “Restaura l’uomo e tutto sarà restaurato.” Si tratta di processi interdipendenti». 

Non dimentichiamo i minori che sono stati costretti a lasciare l’Ucraina e che vivono all’estero ormai da tre anni e mezzo. Come conservare un legame in questo esilio forzato, come possono continuare a sentirsi ucraini? 

«Innanzitutto vorrei ringraziare la Francia per l’accoglienza che ha offerto ai nostri piccoli. Ho visitato a più riprese le scuole parigine dove studiano i ragazzi ucraini e ho rivisto questi stessi minori un anno dopo il nostro primo incontro. I loro progressi, soprattutto in francese, sono ammirevoli. L’accoglienza calorosa, il clima di serenità, la tranquillità delle loro madri, tutto contribuisce a offrir loro la possibilità di vivere la loro infanzia e di svilupparsi senza perdere il contatto con la lingua ucraina. Ringrazio il ministro francese dell’istruzione, come pure Brigitte Macron, che ci assicurano il loro sostegno in questo ambito. Oggi ci sono svariate possibilità per continuare lo studio della lingua ucraina e dal mese di settembre l’ucraino è stato introdotto come progetto pilota di lingua straniera in molte regioni francesi. È un gesto importante per noi, perché non vogliamo che i nostri figli perdano il legame con l’Ucraina. Certo, il nostro paese fa tutto il necessario affinchè i nostri profughi che sono stati costretti a rifugiarsi all’estero non si sentano abbandonati, rassicurandoli sul nostro interessamento. Tra i miei progetti non manca “La biblioteca ucraina”, che si propone di diffondere la letteratura ucraina nelle biblioteche del mondo intero, per far sì che i nostri compatrioti possano continuare a leggere in ucraino e non solo, ma anche per far scoprire l’Ucraina ai nostri amici stranieri». 

Lei ha vissuto da First Lady più in tempo di guerra che di pace. Come reagisce, nel suo ruolo di madre e moglie? 

«È vero, non ci avevo mai pensato. Mi chiedono spesso “come vanno le cose?” e ogni volta mi riprometto di rifletterci più tardi, prima di dare una risposta, perché in realtà noi non ci pensiamo mai realmente. E non soltanto io, ma nessuno di noi può permettersi di pensare al suo ruolo in questo momento, con una guerra in corso. E qual è il suo ruolo? In che cosa la sua vita si distingue da quella di coloro che non vivono l’esperienza della guerra? A mio avviso il ruolo di una First Lady in tempo di guerra è identico a quello di un’insegnante: continuiamo a svolgere il nostro lavoro, ad adempiere alle nostre responsabilità, ma affrontando allo stesso tempo sfide ben più grandi. Dobbiamo essere più flessibili negli orari, operare cambiamenti rapidi, riorganizzare in fretta i nostri progetti ed essere più proattivi. Avvertiamo costantemente questo senso di urgenza, l’impressione di dover fare più del previsto. In seguito, quando avremo occasione di riflettere a tutto ciò, forse arriverò a una conclusione. Ma al momento, non saprei dire. Questi ultimi giorni sono stati drammatici per l’Ucraina. Bombardamenti costanti e una grave crisi interna, mentre sono in atto dei negoziati difficili. Lei crede che il suo paese stia attraversando il momento più critico dall’inizio dell’invasione? Abbiamo già attraversato un’infinità di momenti difficili, e ogni volta ci sembrava che l’ultimo fosse il momento più critico. Sì, quello attuale è un momento difficile, pesantissimo, le trattative sono molto intense. Tutto cambia molto velocemente, ma noi sappiamo cogliere uno spiraglio di speranza. Stiamo lavorando intensamente e ci aspettiamo risultati concreti. A mio avviso, il peggio è la stagnazione, quando non accade nulla e tutto il mondo resta in attesa. Perciò le turbolenze e le prove rappresentano l’ennesima tappa da superare. Vorrei farvi una confidenza: abbiamo vissuto talmente tante esperienze nel corso di questi ultimi anni, cose terribili e tristissime, abbiamo versato tante lacrime. Ma un momento che mi ha colpito come nessun altro fino ad ora, e mi ha segnato per la vita, è capitato di recente, dopo il raid aereo su Ternopil, nell’ovest dell’Ucraina, quando un palazzo è stato sventrato da un’esplosione. Ci sono state numerose vittime, tra le quali molti bambini. E quando ho visto le immagini di un padre al cimitero, che cullava tra le braccia la piccola bara bianca del suo bambino… è stato insopportabile, orribile. Me ne ricorderò finchè vivo. È un dolore che condividiamo tutti, ma il solo fatto di restare uniti in questo dramma ci aiuta a resistere». 

Teme la stanchezza dei media occidentali davanti a questa guerra? 

«Mi auguro davvero che l’Europa, e la Francia in particolare, non si abitui ad assistere alla nostra tragedia. Sfortunatamente, vediamo che l’opinione pubblica mondiale si è stancata, non vuole più ascoltare le notizie provenienti dall’Ucraina, quasi si chiedesse “ma quando finirà?” Noi, però, non abbiamo altra scelta. Mi dispiace, ma o noi saremo tutti sterminati laggiù, o continueremo a inviare notizie. Il mio appello a tutti voi è questo, per favore, non dimenticateci!»
(Traduzione di Rita Baldassarre)

3 dicembre 2025