di
Marco Imarisio

Cepa, primo vicepresidente della Commissione Esteri della Duma: l’Occidente deve ascoltare le nostre ragioni

«Quella di Vladimir Putin non era una minaccia all’Europa, ma una richiesta: affrontiamo i nostri problemi, analizziamoli insieme». Ne ha viste e vissute tante nei suoi 70 anni appena compiuti, Aleksej Cepa, primo vicepresidente della Commissione Esteri della Duma, parlamentare dal 2008, ex viceministro, all’inizio considerato parte della cosiddetta «opposizione di sistema», ora putiniano non di stretta osservanza. Naturalmente non può permettersi di riconoscere le cause e le colpe principali di questa guerra. E parla per sé. Ma non ha un approccio da falco all’insegna del «bruciamo tutto», e le sue tesi vengono esposte con un tono accorato, oseremmo dire anche sincero.

È sicuro di averlo ascoltato bene, il discorso del presidente?
«Sono le stesse cose che disse a Monaco nel 2007, e da allora le ha ripetute ogni anno, compreso nel 2021 quando è stata sollevata la questione della sicurezza della Russia. Siamo tutti seduti su un’enorme polveriera, noi, l’Ucraina e l’Europa, e invece ci guardiamo soltanto i piedi. C’è una generale mancanza di percezione. Voi non desiderate ascoltare le nostre ragioni, non lo avete fatto neppure prima del conflitto, e noi reagiamo con rabbia crescente».



















































Come ha riconosciuto il consigliere Ushakov, l’incontro al Cremlino non ha prodotto nulla. Sull’Ucraina esiste un compromesso accettabile per la Russia?
«Lei si riferisce alla bozza di accordo che è stata esaminata? Un compromesso è tale quando le parti gradualmente convengono a una decisione comune. Mentre per ora le visioni sono diametralmente opposte. Mica solo tra noi e l’Ucraina. Anche tra Trump e von der Leyen la distanza è notevole».

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Un ritiro sia ucraino che russo dal Donbass e la creazione di una zona demilitarizzata può essere un punto di caduta accettabile?
«Tutto è possibile, ma ci dev’essere una soluzione complessiva delle questioni. E una chiarezza di fondo. Non si può parlare dei singoli punti e allo stesso tempo avanzare l’ipotesi di fornire missili Tomahawk in Ucraina. Sono cose incompatibili».

Quando arriverà la pace?
«Quando i dirigenti di alcuni Paesi europei capiranno che una continuazione della guerra non serve. Perché si propongono condizioni in partenza inattuabili, che non possono essere rispettate? Lo fate esclusivamente per poi accusare Mosca di rifiutare le proposte avanzate dai Paesi europei».

Non le sembra piuttosto che il Cremlino voglia una «pace russa» senza alcuna concessione?
«La pace dev’essere stabile e di lunga durata. Le cause fondamentali che hanno condotto a questo conflitto, se non vengono considerate, renderanno precario qualunque accordo. Questo per noi è l’essenziale».

La Russia desidera davvero una soluzione negoziale della guerra con l’Ucraina?
«Abbiamo tutti un sacco di parenti da questa e da quella parte. È un conflitto fratricida, da cui ormai traggono vantaggio solo alcuni Paesi europei che mirano a un annientamento dell’economia della Russia, alla sua lacerazione. Queste sono le vere cause della guerra».

Ma non si trattava di arrivare a Kiev per «denazificare» e basta?
«Se l’Europa e i Paesi Nato desiderano far avanzare il blocco a Est, siamo costretti a rispondere in modo analogo per mantenere un equilibrio. Qualsiasi militare lo capisce, mentre alcuni politici sono tanto stupidi da non comprendere che se qualcuno dispiega missili sulla frontiera con la Russia, noi dobbiamo dislocarne una quantità uguale. Significa corsa agli armamenti. La Russia da sola non può contrastare tutti i Paesi della Nato, e allora si finisce in questo vicolo cieco».

Perché allora solo i vostri leader evocano la minaccia nucleare?
«A chi verrebbe mai in mente di usare certe armi? È una scemenza incredibile. La Russia non ha bisogno di questi conflitti, nessuno intende aggredirvi, non ne abbiamo alcun bisogno e non sappiamo più come dirvelo».

Perché gli Usa non dovrebbero tenere conto del parere dell’Ucraina e dei suoi alleati?
«L’amministrazione Trump non è al servizio degli interessi russi, né di quelli ucraini, ma solo dei suoi. Fa i propri affari, puramente economici, anche nell’area europea, tramite questo conflitto».

È più importante la questione territoriale o quella delle reciproche garanzie di sicurezza?
«Sono strettamente legate tra loro. Diciamo che le garanzie di sicurezza devono essere concesse ad ambo le parti. Ma non con l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, altrimenti si ricomincia da capo».

Una eventuale vittoria russa sul campo non lascerebbe conseguenze difficili da gestire, sul campo e con l’Occidente?
«Certamente. E l’Occidente deve capire che non servono a nessuno, queste tensioni permanenti, questi rapporti stentati. Chi ci guadagna se voi vi armate e noi agiamo di conseguenza, perché non possiamo fare a meno di rispondere? Più si va avanti di questo passo, peggio è. Torniamo a parlarci, sforziamoci di capire le ragioni di ognuno. Prima che sia troppo tardi».

4 dicembre 2025 ( modifica il 4 dicembre 2025 | 08:12)