Signora mia, signora mia – sì sì, proprio lei!
Ho notato che sta per premere play sul nuovo La mano sulla culla su Disney+!
Guardi, se ha qualche minuto le mansplaino questo film di menare di donne che si contendono il focolare domestico, così magari non occupa le prossime due ore con la brutta versione di qualcosa che ha già visto, che ne dice?

Si è già chiesta, signora, perché qualche capoccia hollywoodiano abbia rimesso mano a uno di quei titoloni che ronza nella testa di tutti, ma per tutti i motivi sbagliati?
Certo, l’originale del 1992 fu un successone di sala e home video, forte di un high concept d’acciaio e di quell’irresistibile appeal unisex dei thriller domestico-eroticheggianti. Passi la nostalgia, passi che in trent’anni questo modello è stato rimasticato in mille boli diversi, passi che tutto ciò nel 2025 è già motivo sufficiente per mandare in produzione la qualsiasi, ma cosa può giustificare questo remake?
Signora mia, si segga pure che cerchiamo di venirne a capo.

La Maika sulla culla

Caitlin, avvocata losangelina idealista ma dal discreto portafoglio, dà alla luce la sua seconda bambina, mentre si divide tra un marito attento ma dedito all’inutilità e una primogenita che già brucia di un fuoco preadolescenziale. Ad un tratto arriva Polly, nanny squattrinata che Caitlin ri-incontra per “caso” dopo aver già assistito in passato: a colpi di osservazioni sull’olio di palma e microplastiche, Polly passa in pochi giorni da un babysitting occasionale a diventare la ragazza alla pari della famiglia. Al contrario del film originale, Polly non perde molto tempo in ciance: fa pressione sul clima di controllo che l’ansia di Caitlin ha già instaurato con marito e primogenita, lo avvelena tra seduzioni, tentazioni e psicofarmaci manomessi, fino a portarlo al punto di rottura. Il movente è la chiave di volta: Polly è in realtà un inaspettato ritorno dal passato di Caitlin, in cerca di vendetta vecchia scuola.

Lo stop di Checov (non potete immaginare quanto sia deludente questo setup).

Ogni mattina, a Hollywood, un creative executive si sveglia, si fa il giro di tutte le app di streaming e cerca il modo per non farsi licenziare nel prossimo giro di “ottimizzazione del personale”. Ogni giorno, quel creative executive va a caccia di un’occasione. Magari intuisce che, dopo Big Little Lies o Sharp Objects, c’è un bel vuoto da riempire nel filone “thriller suburbano in rosa con sottofondo paranoide e aroma di critica sociale”. Oppure, qualcuno gli spiffera di The Housemaid, in cui Paul Feig riprende The Hand that Rocks the Cradle ma senza figli e con un mega-cast (Sydney Sweeney e Amanda Seyfried). Nel panico, il nostro produttore chiama il produttore originale e cerca di salvare le apparenze a nome di tutto lo studio. Con un titolo così catchy, allusivo e goduriosamente anni 90, cosa può andare storto?

Mrs. Surefire

C’è un problema però, signora mia: l’originale. Prima di dedicarsi con successo a rilanciare simmie (L’alba del pianeta delle scimmie), dinosauri (Jurassic World) e umanoidi blu giganti (Avatar: The Way of Water), la sceneggiatrice Amanda Silver aveva debuttato nell’industria proprio con La mano sulla culla. Uno script strutturalmente levigatissimo – progetto di tesi passato tra oltre 30 stesure, una di quelle robe sicuramente  finite dritte dentro a ChatGPT per insegnargli a scrivere copioni inutili ma con tutte le cose al posto giusto. Ma è anche un campo minato di stereotipi e forzature, proprio per la sua incapacità/noncuranza nel gestire le complessità di un’idea molto accattivante, al di là dello spasso di genere.

Signora, si ricorderà benissimo le duecentomila cadute di stile del capostipite: il “sottile” victim-blaming con la protagonista, che, nel denunciare il viscido ginecologo, finisce per mettere in pericolo tutta la famiglia; l’isteria della “madre negata” in cerca di vendetta; lo stigma intrinseco del monito “non dovrai delegare il tuo essere madre, cara la mia mamma casalinga”; gli stereotipi razziali e le mille altre cose che meriterebbero una recensione a parte, e di cui ovviamente ci scandalizziamo ora perchè qui a Valverde ci piace “fare i woke”.

Elemento extra-dietetico (esterno alla dieta)

Come ci insegna The Studio, a Hollywood ogni problema è un’opportunità di fare peggio. Quindi: rilanciamo questo template al 2025, con più ansia social-sessuale e più estetica da thriller cruento all’occorrenza, scuola HBO + Netflix. Non potendo gender-swappare le protagoniste, il redivivo Ted Field, fondatore della Interscope dietro al successo dell’originale, lo fa con il team creativo: alla regia c’è Michelle Garza Cervera, in procinto di grandezza dopo l’horror Huesera (già incentrato sulla maternità), e alla scrittura Micah Bloomberg, in attesa di una chance dopo che il precedente Sanctuary aveva fatto girare la testa a qualche critico annoiato tre anni fa. Il testimone della diva dei 90s Rebecca De Mornay passa a una delle protagoniste più affascinanti dell’horror contemporaneo, Maika Monroe, a braccetto con un altro nome di un discreto peso come Mary Elizabeth Winstead.

Signora mia, i tempi cambiano e cambiano pure le metafore. Nel 2025, la mano sulla culla non è un male esterno che dissesta un idilliaco quadretto familiare: è un cancro che divora equilibri già fragili tra una donna, la sua famiglia e la società. Quando questo equilibrio salta, ad esplodere è la polveriera di ansie femminili, materne e “senso di colpa di classe”.
Ora arriva uno SPOILERONE, signora mia, prosegua con cautela – sa, mi serve per spiegare una cosa.

“Seguitemi, vi porto dallo spoiler”

Ancora di più: “la mano” non è solo la villain, Polly, che vuole strappare marito e figlie a Caitlin e impossessarsi della sua famiglia, ma soprattutto, come scopriamo nel twist dell’ultimo atto, il padre di Polly (il cui vero nome è Rebecca — wink wink). Lui ha abusato sia della figlia che di Caitlin in tenera età, ed è quest’ultima, provando a scappare dalle angherie dell’abusatore, ad averlo ucciso insieme, per sbaglio, a tutta la famigli. La culla, quindi, non è più “letteralmente” un neonato, ma è più astrattamente il fil rouge generazionale che intrappola le vittime di ieri e quelle di oggi nella stessa ragnatela di trauma e abuso.

“C’est fini lo spoileron”

Strette di mano, pacche sulle spalle. “Abbiamo risolto il 1992!”, dice il nostro creative executive del cuore sorseggiando champagne.
Non proprio, signora mia.

Non proprio, signora mia.

I temi bollenti e il succoso gioco di specchi del nuovo La mano sulla culla si perdono nelle pieghe di un film che passa più tempo ad ammiccare seguendo i binari del genere piuttosto che usare questa costruzione a beneficio del nostro e vostro divertimento, signora mia – che sia indicarci quanto sia virtuosa e paranoica Caitlin o quanto sia subdola e omertosa Polly.
È vero, al centro del film ci sono solo le due donne, ma il gioco di specchi tra Caitlin e Polly viene schiacciato in un range che va dall’ostentare virtù (la “sorellanza” delle due che si prestano vestiti e scambiano confidenze) al goffamente pruriginoso (la classica sequenzina della nostra mater familias che spia atti impuri in corso e viene sgamata). Il punto, per la maggior parte del film, sembra essere solo quanto Caitlin sia virtuosa e paranoica e quanto Polly sia subdola e omertosa. Persino la rivelazione di quel “peccato originale” è solo un prologo sbrigativo al necessario climax di sberle e violenza in cucina tra le protagoniste. L’elemento materno è funzionale agli snodi ma rimane solo un pretesto – più in generale, il film è tutto una serie di set-up lasciati a marinare con gli ingredienti sbagliati.

Il ruolo fondamentale dei bambini in questo film: una diapositiva.

Poi, signora, io lo so che a lei piace molto Mary Elizabeth Winstead, ma qui la sua proverbiale cazzimma si adagia comoda comoda su un personaggio di rara bidimensionalità, senza margini per contraddizioni o provocazioni. E Maika Monroe, per quanto incredibilmente convincente, finisce per collezionare una serie di faccette e primi piani allusivi che, scena dopo scena, azzerano ogni tentativo che la storia faccia per farcela simpatizzare – praticamente ogni sua apparizione si chiude con uno zoom sospetto o con un tema musicale asmatico che sembra ripetere ossessivamente “the worst the worst the worst”. Come se lei, signora, avesse bisogno di tutte queste chiavi di lettura.

Accidenti se è davvero proprio molto parecchio cattiva

Signora, come dice? È ancora interessata?
Guardi, io rispetto che lei non voglia cedere al primo mansplainatore che passa, si figuri – ma è proprio sicura sicura?
Cioè si ricorda tutta la storia del creative executive che si sveglia la mattina, trova un remake che non ha chiesto nessuno, fa l’opportunista e tutto il resto… Niente.
Ah, secondo lei “femwashare un film problematico e farne un po’ più morboso ma sostanzialmente innocuo va comunque bene, tanto ci divertiamo lo stesso”?
Ah… guardi… faccia lei, si figuri.

Signora, un’ultima cosa eh, mi scusi…
Ma non è che l’ha ordinato lei sto remake?

Disney Plus quote:

«Dalla padella al wok(e)»
Dredd Astaire, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

Dove guardare The Hand That Rocks The Cradle