di
Giuseppe Sarcina
Il segretario della Nato: solo lui poteva rompere lo stallo sull’Ucraina. Tajani «stoppa» l’adesione dell’Italia al fondo Purl
Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ieri ha provato a tenere insieme «l’appoggio agli sforzi» degli americani e la risposta a Vladimir Putin. Terminato il vertice con i ministri degli Esteri dell’Alleanza, Rutte si è presentato in sala stampa e ha cominciato con il pezzo forte del suo repertorio: l’elogio di Donald Trump. «È un bene che il processo di pace sia in corso, solo gli Usa, sotto la guida del presidente Trump, potevano interrompere lo stallo. Ma se non ci saranno risultati è essenziale che le armi continuino a giungere in Ucraina… e che le sanzioni economiche imposte alla Russia continuino a mordere».
L’altro giorno, martedì 2 dicembre, fissando le telecamere, Putin aveva sibilato: «Noi non vogliamo la guerra con l’Europa; ma se l’Europa vuole la guerra con la Russia, allora si sappia che noi siamo pronti, anche subito». Marco Rubio, segretario di Stato Usa, non si è presentato al summit, suscitando diversi malumori tra gli altri ministri. Lo ha sostituito uno dei suoi vice, Christopher Landau. E allora è stato Rutte a replicare al presidente russo: «Non sto a commentare tutto quello che dice Putin. Lo abbiamo visto in divisa, vestito come un militare, ma ben lontano dal fronte». Poi con un argomento più politico: «Non andremo da nessuna parte, siamo qui per restare. Siamo pronti a fare tutto ciò che occorre per proteggere la nostra popolazione. Siamo qui per garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno per il futuro. E il nostro atteggiamento sta mettendo pressione ai russi, che perdono 20 mila soldati al mese nella guerra».
In realtà anche gli ucraini sono in seria difficoltà. Volodymyr Zelensky chiede con urgenza armi per puntellare la resistenza e scavallare l’inverno, visto che la trattativa con Putin non pare sbloccarsi. Già, le armi. È stato questo il passaggio cruciale del confronto tra i ministri.
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Trump ha trasformato il sostegno agli ucraini in un grande affare per le industrie americane: «Non regaliamo più niente, chi vuole le nostre armi ce le deve comprare». Così, nel luglio scorso, Rutte, d’intesa con il leader della Casa Bianca, ha istituito il «Purl» (Prioritised Ukraine Requirements List). È un fondo alimentato dai soci Nato per acquistare ordigni made in Usa, da girare poi all’Ucraina. Finora hanno aderito 16 Paesi, per un ammontare di 4 miliardi di dollari di contributi. L’obiettivo è toccare i 5 miliardi entro l’anno e aggiungerne altri 12 nel 2026. Il segretario generale Nato ha osservato che «solo una manciata di Paesi non si è ancora attivata».
Tra gli Stati rimasti fermi c’è l’Italia. In un primo momento il governo guidato da Giorgia Meloni si era impegnato a versare circa 140 milioni di dollari. Ma l’operazione si è bloccata.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, appena giunto a Bruxelles, ha spiegato: «È prematuro parlarne ora. Intanto abbiamo autorizzato il nostro dodicesimo pacchetto di aiuti, poi si vedrà per il successivo come muoverci. Valuteremo, parleremo, vedremo che cosa sarà conveniente per l’Ucraina. Speriamo che non servano più armi nei prossimi mesi. Se si arriva al cessate il fuoco, bisognerà fare altro».
Il ragionamento di Tajani, però, non convince gli alleati: un conto è attingere agli arsenali nazionali, come ha fatto l’Italia con i «pacchetti» già approvati; altro è mettere a disposizione liquidità per comprare dispositivi più sofisticati, come i missili Patriot per esempio. Nelle ultime settimane i partner avevano un po’ allentato la pressione, pensando che Meloni avrebbe dato il via libera al versamento dopo le elezioni regionali.
Ora, però, cresce l’insofferenza, come per altro ha dovuto ammettere pubblicamente lo stesso Rutte con queste parole: «Capisco che gli alleati del Nord e altri come i Paesi Bassi, il Canada o la Germania dicano: “Ehi ragazzi, qui bisogna distribuire equamente gli oneri”». L’Italia si trova in una posizione sempre più scomoda nella mappa geopolitica degli aiuti. I Paesi Bassi hanno già stanziato 500 milioni, così come il Canada. La Germania tocca i 750 milioni, compreso il nuovo pacchetto da 250 annunciato proprio ieri. Danimarca, Svezia, Finlandia hanno unito le forze, versando in totale oltre 300 milioni di dollari. La Norvegia, oltre a partecipare alla colletta con il blocco del Nord, ieri ha messo sul piatto altri 500 milioni di dollari. Mancano all’appello il Regno Unito, che preferisce rifornire direttamente l’Ucraina, e la Francia, contraria a dirottare risorse europee verso le industrie d’oltreoceano. Altri Paesi, a lungo riluttanti, come Spagna e Belgio hanno ufficialmente promesso 100 milioni di dollari ciascuno. Il Portogallo, 50 milioni.
4 dicembre 2025 ( modifica il 4 dicembre 2025 | 08:10)
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