di
Monica Colombo e Monica Scozzafava

Il figlio di Billy Costacurta e Martina Colombari: «Sette tso, le comunità e le fughe. Ho perso amici per la droga, io sono arrivato a un passo dalla morte»

Achille, da quanto tempo non fa più uso di sostanze?
«Da quando ho preso consapevolezza della necessità di iniziare un percorso per guardare avanti. La mia rinascita risale a maggio del 2024: è avvenuta nella clinica Santa Croce, in Svizzera, dove ho incontrato medici che mi hanno aperto gli occhi su tante cose. Psichiatri che definirei “giganti”».

In che senso?
«Hanno conquistato la mia fiducia e hanno diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l’Adhd di cui soffro. Ero già stato in quella struttura in passato, dovevo affrontare il depot ma ero depresso e dovevo essere pulito. Poi quando sono tornato da un viaggio in Colombia invece di curarmi in ospedale sono andato in Svizzera».



















































Achille Costacurta ha 21 anni, due genitori universalmente riconosciuti come modelli di riferimento e il vissuto di chi ha combattuto a lungo con i demoni interiori. Ora, dopo un’adolescenza contrassegnata da comunità e psicofarmaci, esibisce un tono di voce allegro, convinto: è sulla strada della rinascita.

Guardi indietro, di cosa si pente?
«Forse di niente. Perché se non avessi commesso quegli errori non avrei capito tante cose, anzi per certi versi penso “meno male che mi è successo tutto questo a 20 anni e non a 50 quando avrò moglie e figli”. Vale anche per la mia famiglia: se fossi stato il principino della situazione, i miei genitori non sarebbero oggi così forti nel fronteggiare situazioni anche spiacevoli che la vita a tutti riserva».

Che bambino è stato?
«Facevo fatica a stare seduto, mi annoiavo, attiravo l’attenzione».

Quando ha iniziato a fare uso di sostanze?
«Al primo anno di liceo, fumavo hashish tutti i giorni».

Il confronto continuo con la leggenda del calcio Costacurta e la bellissima Martina Colombari è stato faticoso?
«Da piccolo poteva essere stimolante, col tempo è diventato pesante. Ero un ragazzino con tanta gente attorno, molti ragazzi — e lo capisci dopo — si avvicinavano perché ero nato in quel contesto. Oggi, mi rendo conto che quel mondo non era normale. E meno male che non ho fatto il calciatore altrimenti il paragone sarebbe stato ancora più schiacciante».

Soltanto di recente le è stato diagnosticato l’Adhd. Aveva idea di cosa fosse?
«Ho incontrato tanti psichiatri nel corso degli anni. Qualcuno ipotizzava questo disturbo, poi un altro ci diceva che non era così. E intanto io continuavo la mia vita sopra le righe fino al ricovero nella clinica in Svizzera. Lì ho visto la luce».

Ne ha fatte tante: ha subito sette Tso.
«Ho 21 anni ma è come se avessi vissuto tre vite: non ricordo più quante volte sono finito in comunità, quanti tentativi di scappare. Non mi rendevo conto che quando cerchi di fuggire poi gli infermieri ti prendono sempre. Ma è il passato e per me ora è chiuso come un ricordo in una scatoletta. Ciò che è successo non si può più cambiare. Ciò che abbiamo davanti dipende da noi».

I suoi genitori hanno sofferto molto.
«Tante volte erano spaventati. Ricordo una volta in autostrada con papà, ho iniziato a giocare con le macchinine sul cruscotto dell’auto. Gli chiedevo di correre, di non rispettare precedenze e semafori. Poi mi sono aggrappato al finestrino, urlando. Lui è stato costretto a fermarsi. Sono salito in piedi sul cofano».

Ha tentato il suicidio.
«Ho preso sette boccette di metadone, non so come non sia morto. Volevo farla finita, era un gesto disperato: l’unico modo per far capire che volevo uscire dalla comunità a Parma. Di questo mi pento».

Ha avuto amici che non si sono fermati in tempo?
«Jonis, 55 anni, uomo di famiglia benestante, che però aveva scelto di vivere da barbone e aveva fatto anche rapine in Germania, era con me a Parma. Mi ha insegnato le regole. Ho saputo che il giorno prima di uscire è morto: abuso di sostanze alla sua festa di compleanno. Ma anche Tatiana, la fidanzata di un mio amico in Svizzera, non c’è più. Aveva ricominciato col crack. Io che in passato ho assunto dosi cento volte superiori sono vivo».

A che punto è del suo percorso?
«Non lo so. Ogni volta è come se chiudessi un cerchio. Fumo ancora sigarette e dovrò smettere prima o poi. Il percorso finisce quando finisce il tempo, quando muori».

Dove vive?
«Tra Riccione, dove ho nonna e bisnonna, Milano e poi in giro».

Quante volte sente i suoi genitori?
«Con papà una volta ogni due giorni, con mamma ora che è a Roma per Ballando con le Stelle anche meno».

Li ha mai visti piangere?
«Papà una o due volte, lui sa contenersi. Mamma, di più. Non sarebbe andata a Ballando fino a qualche tempo fa. Ci sta invece, anche su suggerimento di papà. Le dice che deve pensare più a sé e non a me, sempre».

A lei cosa dice?
«Che nella vita non bisogna mai dipendere da qualcosa o qualcuno».

E se un giorno suo figlio facesse uso di droghe?
«Gli parlerei dei lati negativi di ogni sostanza, che sono tanti».

Da grande cosa farà?
«Sono iscritto all’ultimo anno di liceo per la maturità, poi sogno di aprire un centro per ragazzi disabili».

Dove vivrebbe?
«In Australia, lavorare lì quattro cinque mesi all’anno nei campi e frequentare l’università. Ti pagano sa? Cinquemila euro al mese».

4 dicembre 2025 ( modifica il 4 dicembre 2025 | 07:10)