di
Matteo Cruccu

Il cantante si racconta in vista dello spettacolo teatrale: «Percuotendo. In cadenza»: «L’eroina? Ha fatto strage della mia generazione, ma a me faceva paura. La reunion dei CSI? Si farà. Ho votato Meloni, oggi non lo farei»

DAL NOSTRO INVIATO
CERRETO ALPI (REGGIO EMILIA) – Per arrivare da lui bisogna oltrepassare dei tornanti infiniti, issarsi quasi fino al cielo, un cielo dimenticato tra l’Emilia e la Toscana, Cerreto Alpi, in cima all’Appennino reggiano. Per anni è stato la sede del volontario esilio tra cavalli e pietre di Giovanni Lindo Ferretti («I miei arresti domiciliari» li definisce), voce tormentata, polemica, bellissima innanzitutto dei CCCP, il filosovietismo applicato al punk, una delle band più importanti del rock italiano anni 80. E poi dei CSI, poi dei Pgr, poi di più nulla.  

Oggi, quest’antico rustico appartenuto per secoli alla sua famiglia, è invece una base per ripartire verso nuove avventure. Come l’ultima che seguirà la trionfale reunion dei CCCP, appena conclusa. Ovvero «Percuotendo. In cadenza», spettacolo teatrale (primi appuntamenti il 14 febbraio a Bologna, il 16 a Roma e il 23 a Vicenza) in cui il 72enne Ferretti ripercorrerà tutta la sua parabola umana e artistica, dalla devozione per la falce e martello a quella per Ratzinger fino ai suoi ultimi approdi. Prima però c’è stata «Emilia Paranoica» dei CCCP inno oscuro del 1985, the dark side dell’Emilia apparentemente tutta bonomia e comunismo.



















































Partiamo dal verso forse più significativo di quel brano «il roipnol mescolato all’alcol fa casino». Come nacque la canzone?
«I primi fan dei CCCP che venivano a sentire le prove erano figli di questa Emilia, sazia e disperata. Mescolavano gli psicofarmaci delle mamme con la grappa, io che avevo fatto l’operatore psichiatrico, ne avevo visti tanti: entrarono nel brano».

I CCCP erano nati poco prima a Berlino…
«Dall’incontro tra me e uno studente di medicina mancato di Reggio che faceva il pizzaiolo, Massimo Zamboni, in una disco ad Ovest, per caso. Nessuno dei due aveva mai studiato musica. Mettemmo in piedi un gruppo punk e decidemmo di tornare a casa».

Il roipnol e Berlino, lontanissimi da quest’Emilia remota in cui ci troviamo ora.
«Mio padre allevatore è morto prima che nascessi, sono stato qui fino alle elementari, in questo ambiente fatato, tra cavalli e pecore. Poi mia nonna decise che dovevo studiare e mi mandò in collegio dalle suore a Reggio».

Dove ebbe il suo primo battesimo, con un provino allo Zecchino d’Oro.
«Bocciato. Ero bravo, partecipavo ai cori, ma le suore mi avevano insegnato solo inni religiosi, l’Ave Maria: il Mago Zurli spiegò che quello era un festival di canzoni per bambini, non di musica sacra».

Flash successivo, l’operatore psichiatrico dunque: cosa le insegnò quel lavoro?
«Quegli adolescenti molto problematici con cui trattavo mi hanno trasmesso una certa strafottenza che poi avrei usato sul palco».

Torniamo al testo: «Un tossicomane, un prepolitico». Sono gli anni dell’eroina. Come l’ha vissuta? L’ha sfiorata?
«Ha fatto strage tra la mia generazione. Io però ne avevo paura, ho una dimensione sacrale del corpo, l’idea delle punture mi atterriva. Fumare sì, iniettarsi roba no».

Il brano continua: «Chiedi a 77 se non sai come si fa». Per molti citazione di quell’anno fatidico per il Movimento.
«In realtà io lavoravo in clinica e arrivavo tardi alle manifestazioni. “77” era invece il soprannome di un nostro amico disperato, un punk che in verità non sapeva nulla».

È vero che a Reggio qualche anno prima aveva conosciuto Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br?
«Era una figura mitologica, il più colto, il più austero. Ma quando passò alla lotta armata, il Pci fu bravo a spegnere ogni fuoco estremista con le sue capacità di mediazione».

Ecco cos’era il Pci per lei? Prima da militante di Lotta Continua, poi da filosovietico con i CCCP, quando Berlinguer aveva già sancito il distacco da Mosca.
«Noi non siamo mai stati politici. Ma raccontavamo un mondo che guardava a est e non a ovest. Non è che ti puoi svegliare una mattina e dire che ti piacciono Las Vegas e San Francisco».

Ma quindi quanto cantavate «voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia/ cerco un piano quinquennale la stabilità» ci credevate davvero?
«Era un sentimento, non era una rivendicazione di adesione politica. I nostri commercianti facevano affari là, alle feste dell’Unità c’era il ristorante bulgaro, non si mangiavano hamburger».

Quando poi il Patto si sgretolò nell’89, con la caduta del Muro, dov’eravate?
«Non ricordo la fine del Muro, ma ricordo l’atmosfera di decadenza, di fine impero, quando suonammo in Urss poco prima coi Litfiba. Di sicuro, c’erano molte liti e discussioni anche nei CCCP. Ci sciogliemmo in simultanea».

Per rinascere come CSI: anche qui il rimando pare ovvio.
«Sì, ma nulla di deciso a tavolino: i CSI sono stati un’esperienza molto più “musicale” dei CCCP, con l’arrivo degli ex Litfiba Marroccolo e Magnelli»

In quella stagione ha iniziato a maturare il suo distacco dal comunismo.
«Con la guerra in Jugoslavia ho cambiato il mio sguardo sul mondo: com’era possibile che in quella dimensione esibita di universalismo si fosse scatenata una guerra fratricida di cui avevamo sempre incolpato il capitalismo? Così ho recuperato la mia infanzia, la mia educazione cattolica».

I concerti a Mostar dei CSI nel 1998 contribuirono a questo distacco?
«Un disastro. Le Ong optarono per una scelta ideologica secondo cui si voleva che facessimo un concerto sulla linea del fronte, per la pace. Ma non era possibile. E dovemmo farne due, uno per la comunità croata e uno per quella musulmana».

Sempre in quegli anni, iniziaste a collaborare con uno apparentemente lontanissimo da voi, Jovanotti…
«Ci piacque l’idea di aprire i suoi concerti, di vedere come avrebbe reagito un pubblico completamente diverso dal nostro: dai CCCP i fan urlavano “chi non salta Jovanotti è». Andò bene e con lui nacque una simpatia. Corrisposta».

Invece, con gli altri grandi emiliani, Guccini, Dalla, Morandi che rapporto ha?
«Nessuno, non ho mai apprezzato la dimensione cantautorale. Ho sempre guardato all’estero, al rock, al punk, al jazz. Semmai stimo Zucchero, la sua vitalità».

Alla fine del millennio, sono finiti anche i CSI e si è ammalato di tumore ai polmoni.
«Non era la prima volta che rischiavo di morire. Mi era già successo da ragazzo e poi con la morte ho dovuto convivere appunto fin da bambino. Ho affrontato la malattia laicamente, in questo caso, e ho pensato che qualcosa comunque, nella vita, avevo fatto».

Ma, dopo la reunion dei CCCP, potrebbero tornare anche i CSI?
«Sono talmente stato bene con la prima che non vedo perché non dovrei fare la seconda, anche per chiudere un conto personale: la disponibilità degli altri c’è. È solo questione di quando farla».

Torniamo all’educazione cattolica. Alla (ri)conversione definitiva ha contribuito Ratzinger.
«Ancor prima che diventasse Papa, era lo spauracchio, l’oscurantismo, il Manifesto lo spernacchiava. E poiché mi è sempre piaciuto chi viene detestato da tutti, vedi Jovanotti, ho pensato dovesse esserci qualcosa di positivo. Come quando ho votato Giorgia Meloni, era al 2% allora».

La voterebbe anche oggi?
«No, questo governo mi fa schifo. Oggi non voto nessuno. Ero di sinistra e non lo sono più. Ma non sono mai stato di destra. Per un attimo li ho guardati con simpatia, perché volevo guardare con simpatia chi consideravo l’origine dei miei problemi, ma non sono la soluzione. E se ho amici di destra, come Buttafuoco, mi imbarazzava fossero definiti fascisti. Per me l’antifascismo rimane un valore fondante, in questa casa non è mai entrato un fascista».

Torniamo a Emilia Paranoica. «Bombardieri su Beirut»: non sembra cambiato nulla dal 1985.
«Ho sempre difeso Israele. Ma la risposta dopo il 7 ottobre è stata spropositata. E i coloni e quel ministro, Ben Gvir, fanno cose che non sono perdonabili agli occhi di Dio».

Che rapporto ha con la Chiesa oggi?
«Oggi sento un po’ di distacco dall’istituzione. Qui a Cerreto poi ci sono stati problemi con gli altri fedeli, non riesco a sentirmi comunità».

E con le donne che rapporto ha, Ferretti?

«Al momento non c’è niente. So stare bene da solo»

Concludendo con il brano, cerca ancora «un’emozione sempre più indefinibile»?
«No, 5 anni fa pensavo che tutto fosse finito. Oggi ringrazio Dio dei miei giorni».

4 dicembre 2025 ( modifica il 4 dicembre 2025 | 13:16)