Colpisce la scarsa attenzione (ma ci sono emergenze superiori) che viene dedicata al nuovo piano per la sicurezza economica dell’Unione europea, annunciato ieri. La svolta politica – o almeno che si intuisce potrebbe essere tale – è quella di usare meglio tutti gli strumenti per difendere il mercato unico dall’assalto di giganti extraeuropei, aiutati troppo dai rispettivi governi. 

Ci si aspetta, come è avvenuto per esempio per i prodotti cinesi a basso prezzo del tessile-abbigliamento non in regola con le norme ecologiche, un inasprimento dei controlli e degli oneri doganali. Le auto di Pechino che stanno invadendo il mercato europeo sono tutte in regola? Quanti aiuti ricevono dallo stato cinese? E, in parallelo, cresce la curiosità di sapere se la nuova «faccia feroce» di Bruxelles in tema di sicurezza economica verrà mostrata anche nei confronti delle Big Tech americane, penalizzando quel fantastico «paradiso fiscale» che è l’Irlanda. 



















































Ma nella comunicazione di ieri si è fatto riferimento soprattutto al piano europeo per essere più indipendenti nella disponibilità di materie prime rare. L’Unione ne ha individuate 37 considerate critiche, di cui 17 strategiche, come litio, cobalto e nichel. C’è un fondo di tre miliardi in un anno per favorire l’apertura di nuove miniere o il ripristino di quelle vecchie e abbandonate. L’obiettivo al 2030 è di estrare in Europa il 10 per cento del fabbisogno di materie prime rare, trasformare il 40 per cento e riciclare il 25

La dipendenza, soprattutto nei confronti della Cina, è cresciuta negli anni anche e soprattutto per l’impossibilità di trasformare e raffinare alcune di queste materie prime. Le tecniche si sono ovviamente evolute. Ma l’ostacolo maggiore resta ancorato ad alcuni interrogativi di non facile risposta: dove farlo e come farlo? E soprattutto come dirlo alle popolazioni interessate?

4 dicembre 2025