di Jacopo Cavallini

C’era anche lui nella squadra che ha conquistato la terza Coppa Davis di fila poche settimane fa a Bologna.

Carlo Alberto Caniato ha fatto parte della spedizione azzurra capace di alzare al cielo la celebre insalatiera per il terzo anno consecutivo, pur senza due mostri sacri del tennis come Jannik Sinner e Lorenzo Musetti. Una convocazione in extremis, quella arrivata da parte del capitano Filippo Volandri, accolta dall’appena ventenne ferrarese come un premio per la grande stagione agonistica disputata e, chissà, un segnale di buon auspicio per il suo futuro.

Per celebrarlo, il circolo tennistico della Marfisa, presieduto dallo zio Umberto, lo ha nominato in questi giorni socio onorario. E’ lì dove Carlo Alberto ha impugnato per la prima volta la racchetta di tennis, e dove continua a concedersi un po’ di divertimento e relax quando gli impegni del circuito glielo consentono.

Nonostante la giovanissima età – 20 anni compiuti lo scorso 31 ottobre – il ragazzo è già parecchio inquadrato: un solo obiettivo in testa, quello di arrivare il più in alto possibile.

E in una stagione del tennis sempre più florida per il nostro paese, chissà che anche da Ferrara non possa sbocciare l’ennesimo talento di uno sport che negli ultimi anni è diventato popolarissimo.

Oggi a mezzogiorno, nell’ufficio del sindaco Alan Fabbri, il giovane tennista riceverà uno speciale riconoscimento a suggello di un’annata che difficilmente potrà dimenticare, e che con una lunga carriera davanti a sé pare esserne il trampolino di lancio definitivo.

Caniato, che esperienza è stata?

“Bellissima ed inaspettata, poter condividere il campo con alcuni tra i migliori giocatori del mondo e soprattutto far parte del team italiano mi ha fatto crescere molto. Ero ad un torneo in Portogallo quando hanno chiamato me ed il mio coach, sicuramente è un’esperienza che mi porterò dietro per tutta la vita”.

Se l’aspettava come poi l’ha vissuta?

“Ad essere sincero no, perché pensavo semplicemente di fare da sparring partner ai miei compagni, ed invece mi hanno fatto vivere un’esperienza a trecentosessanta gradi.

Fuori dal campo ero assieme a Matteo (Berrettini, ndr), Flavio (Cobolli, ndr) e tutti gli altri, facevo proprio parte del Team Italia in tutto e per tutto, dal pranzo fino alla cena”.

Cosa si porta a casa principalmente?

“Ho visto come i più grandi preparano le partite, il loro avvicinamento ai match.

Ho potuto imparare come si gestiscono tutti gli aspetti antecedenti allo scendere in campo, e quindi tutto ciò che circonda la partita in sé”.

Senza Sinner e Musetti, il team si è compattato ancora di più? “Non dico che nessuno si aspettasse la vittoria senza di loro, ma sicuramente c’era chi pensava che sarebbe stato difficile confermarsi.

Ho visto un grande attaccamento alla maglia e alla bandiera italiana, soprattutto da parte di Berrettini, che in Davis non ha mai perso. E anche Cobolli ha rimesso in piedi delle partite che sembravano indirizzate da un’altra parte, con la grinta e la forza dei nervi”.

Si sente un giocatore diverso dopo questa esperienza?

“Sicuramente il bagaglio è pieno di cose da portarsi via e conservarsi con cura da quella settimana. E’ un’esperienza che devo prendere come uno step importante nel mio percorso di crescita, sono convinto che possa darmi un’ulteriore spinta”.