di
Danilo Taino
Negli onori indiani alla Russia un messaggio anche per la Ue
Se un giorno gli americani chiederanno «chi ha perso l’India», Donald Trump saprà di essere stato lui. E se gli indiani domanderanno a Narendra Modi «chi ha perso l’America», il primo ministro dovrà fare un esame di coscienza. Non è detto che la relazione tra i due Paesi precipiti a breve ma la visita di Vladimir Putin — accolto in questi giorni a Delhi in pompa magna, tappeti rossi e sorrisi — segnala che il rapporto tra le due maggiori democrazie è finito nella sabbia: negli scorsi vent’anni era molto migliorato, oggi è bloccato, semmai arretra.
Modi vuole fare sapere di essere amico di Putin, così come a fine agosto aveva mostrato di avere ristabilito un rapporto con il rivale storico, la Cina di Xi Jinping. Mosca e Pechino sono soddisfatte, Washington guarda in televisione. Le responsabilità della Casa Bianca, in questo deterioramento, sono evidenti, a cominciare dall’imposizione di dazi del 50% alle esportazioni indiane verso gli Stati Uniti. Ma sono anche ovvie e conosciute. Più interessante è capire le scelte di Modi.
Per il primo ministro indiano, il 2025 è probabilmente stato l’anno più difficile in politica estera da quando è salito al potere, nel 2014. Il faro delle relazioni internazionali indiane è da sempre l’indipendenza da ogni altra potenza: si chiamava non allineamento durante la Guerra fredda, si chiama multi-allineamento oggi. In tempi normali, funziona: si fanno affari con l’America, la Russia, la Cina a seconda dell’interesse nazionale. Quando il gioco si fa duro, però, niente è perdonato. Modi l’ha capito nei fatti: se compra petrolio scontato da Mosca, Trump gli raddoppia i dazi del 25%.
E non fa passi indietro, almeno per ora. Il che chiarisce agli apprezzatissimi strateghi internazionali di Delhi che l’India non è così centrale nelle preoccupazioni di Washington. Mentre ad altri acquirenti dell’energia russa il presidente americano ha fatto sconti, con quella che è considerata una democrazia amica è stato duro.
Può darsi che, dopo la visita di Putin, cambi idea (lo fa spesso), ma nei mesi scorsi dalla Casa Bianca si è fatto sapere che l’India non ha molte alternative a un buon rapporto con gli Stati Uniti, viste le tensioni sui mari che la circondano: si adeguerà. E, inoltre, non è così centrale nella rete delle catene di fornitura globali.
Non che l’India non sia un Paese importante: lo è, dal punto di vista dell’economia, della brillante demografia e per il fatto di avere una grande influenza tra i Paesi del Sud globale, molti dei quali, anch’essi, multi-allineati. Ma a Trump non sembra un Paese indispensabile; a maggior ragione nella sua nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale che dà una notevole rilevanza all’emisfero occidentale.
Modi deve camminare su un sentiero stretto: gli Stati Uniti sono il maggiore mercato per le esportazioni indiane (aiutate al momento dalla debolezza della rupia), allo stesso tempo non può sembrare debole con Trump ma non si può nemmeno permettere di essere troppo stretto a Pechino, che nell’Oceano Indiano cerca una fastidiosa egemonia. Così ha scelto di ricevere Putin — non lo faceva dal 2021 — con tutti gli onori. Perché?
Perché crede che stia andando bene in Ucraina? Perché lo vede riabilitato da Trump? Perché da lui vuole un sostegno che non gli può venire né da Washington né da Pechino? Solo perché la relazione tra India e Russia è storica? Per garantirsi la possibilità di comprare da Mosca sistemi di difesa e caccia? Probabilmente, per tutte queste ragioni. Equilibrismo che in un mondo sottosopra non è facile nemmeno per l’India. Delhi e Bruxelles, per esempio, puntano a firmare un accordo commerciale entro l’anno: proprio nel mese in cui Modi stringe patti con la bestia nera della Ue? Perdere l’Europa?
5 dicembre 2025
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