«Tutto si riduce a questo: o libereremo questi territori con la forza, oppure le truppe ucraine lasciano questi territori e smettono di combattervi». Nell’intervista a India Today, Vladimir Putin parla come se fosse il 1945 e i russi fossero alle porte di Berlino, come se la vittoria fosse una questione di ore e la resa dell’Ucraina inevitabile. Finora l’unica vera guerra vinta dal Cremlino è quella della propaganda. La geografia racconta un’altra storia.
A partire dall’autunno del 2022, dopo il ritiro dalla riva destra del Dnepr nella regione di Kherson e la perdita di migliaia di chilometri quadrati nella controffensiva ucraina nell’area orientale dell’oblast di Kharkiv, la Russia ha smesso di ottenere guadagni significativi. Ogni villaggio conquistato richiede settimane di combattimenti e un consumo di artiglieria che ricorda la guerra d’attrito del secolo scorso.
La Russia aveva un controllo di circa il 18 per cento del territorio ucraino e ora un 19, forse 19,3 per cento nelle stime più ottimistiche. Una variazione minima ottenuta al costo di una strategia di logoramento che richiede perdite altissime e un impiego continuo di uomini e munizioni, senza portare Mosca più vicina ai suoi obiettivi strategici massimi. Per capirci: è come se l’Austria avesse conquistato in poche settimane tutto il Friuli Venezia Giulia e tutto l’Alto Adige, e poi dopo tre anni fosse riuscita ad aggiungere solo il Trentino e una piccola porzione del Veneto senza mai riuscire a spingersi oltre. Milano e Venezia, gli obiettivi dichiarati, resterebbero lontanissime.
Le analisi più solide, da quelle del Center for strategic and international studies ai report periodici di Russia Matters e dell’Institute for the Study of War, convergono su un dato essenziale: tra gennaio 2024 e dicembre 2025 la Russia ha conquistato complessivamente tra i 9 e i 10 mila chilometri quadrati, meno del due per cento della superficie dell’Ucraina. Sono avanzate reali, ma piccole e distribuite su un fronte di oltre mille chilometri, prive della profondità operativa necessaria per trasformarsi in un cambiamento strategico della guerra. Tradotto: i russi non riescono a tagliare le linee di rifornimento ucraine, non costringono Kyjiv a ridisegnare il fronte e soprattutto non mettono in crisi i principali nodi logistici che reggono la difesa del Paese.
Molti blogger russi speravano che la conquista di Avdiivka, città a poco più di dieci chilometri a nord-ovest di Donetsk, facesse collassare ampiamente le linee ucraine. Aprendo un corridoio verso Ocheretyne e poi in direzione di Pokrovsk, i russi avrebbero rotto il sistema continuo di trincee e fortificazioni che l’Ucraina ha costruito nel Donbas occidentale. Non è successo, nonostante la conquista di Avdiivka nel febbraio 2024. Una vittoria simbolica che ha aperto un varco, ma non una prateria. Nei mesi successivi la Russia ha avanzato verso nord-ovest con un ritmo medio limitato. In alcuni settori del fronte, gli avanzamenti si misurano in centinaia di metri al mese; in altri la linea resta praticamente immobile nonostante attacchi ripetuti.
Il quadro non cambia molto osservando i progressi nel nord, nell’area di Kupiansk nell’est dell’oblast di Kharkiv e di Svatove nella parte nord-occidentale dell’oblast di Luhansk, dove le linee ucraine si attestano lungo l’asse che segue il fiume Oskil, o nel sud, nel fronte meridionale dell’oblast di Zaporizhzhia lungo l’area di Robotyne, tra Orikhiv e Tokmak, dove le linee ucraine hanno retto pur con crescenti difficoltà. Nel 2025 la Russia ha aumentato leggermente il ritmo delle operazioni, approfittando degli enormi problemi strutturali delle forze ucraine, dalle carenze di munizioni ai ritardi negli aiuti occidentali. Ma anche nei mesi considerati più favorevoli, come ottobre e novembre, quando Mosca ha rivendicato alcuni dei guadagni più significativi dell’anno, ma non modifica la proporzione complessiva del territorio sotto occupazione.
Non bisogna però cadere nell’errore opposto: è vero, la linea del fronte nel 2025 somiglia in larga parte a quella della fine del 2022, ma l’avanzata russa non è inesistente. Solo che è troppo lenta e frammentata per sostenere la narrazione del trionfo inevitabile.
Noi, a casa, rimaniamo ancora più confusi leggendo le agenzie che nelle ultime tre settimane hanno parlato della conquista di Pokrovsk, della sua liberazione, della riconquista, e riliberazione. Ma è una dinamica normale per questo tipo di guerra. L’uso massiccio dei droni, la densità delle fortificazioni, la difficoltà logistica di muovere grandi formazioni corazzate, la frammentazione delle operazioni tattiche e l’assenza di superiorità aerea rendono sempre più arduo ottenere avanzamenti rapidi. È per questo motivo che molte mappe mostrano ormai vaste zone grigie, territori contesi in cui nessuna delle due parti riesce a stabilizzare un controllo duraturo.
La Russia ha scelto di puntare su una strategia di pressione continua, convinta che la capacità industriale e demografica a lungo termine compenserà la lentezza dell’avanzata, anche se la sua economia è sempre più fragile. Ma nonostante l’enorme costo umano e materiale, quella strategia produce soprattutto erosione, non conquiste. Non è poco, ma non giustifica l’arroganza e la sicurezza mostrata da Putin nei negoziati con l’Ucraina e gli Stati Uniti. Resta da capire quanto a lungo questa dinamica potrà continuare. La Russia avanza, ma avanza poco. Kyjiv resiste, ma con risorse sempre più limitate.