di
Elvira Serra

Il giornalista di Sky ha tre figli: «Sono loro che mi hanno chiesto di parlarne. Ho scoperto il tumore con un controllo casuale». La sorella morta cinque anni fa per la stessa malattia

La terra gli ha tremato sotto i piedi il 18 giugno. Era un mercoledì. Mentre veniva giù tutto, una sola domanda lo preoccupava davvero: vedrò crescere i miei figli? Quel giorno Carlo Vanzini, 54 anni, il Caressa della Formula 1, telecronista e responsabile del team Sky per i Gran Premi, ha scoperto di avere un tumore al pancreas. Avrebbe voluto sentirsi più preparato: della stessa malattia era mancata sua sorella Claudia, cinque anni prima. Lei se ne era accorta troppo tardi. Carlo no. Ed è uno dei motivi per i quali dice di essere un «malato fortunato». Gli altri sono la famiglia e il lavoro che ama

Ha già fatto dieci sedute di chemioterapia, ne manca una e a fine gennaio potrà operarsi. È questa lucina in fondo al tunnel che gli ha ridato coraggio. In mezzo, ha trovato un tempo nuovo. A riempirlo, ci sono la forza invincibile della moglie Cristina Fantoni (collega di La7), l’energia del primogenito Luca, 22 anni, gli abbracci del secondogenito Giacomo, 17, e la piccola Anita, undicenne, espressione luminosa del miracolo di amore che unisce un padre e una figlia.



















































Carlo, quando si è accorto di non stare bene?
«In realtà non me ne sono accorto. Il mio collega di Sky Davide Camicioli aveva pubblicato un post dal centro Formula Medicine di Viareggio, con il dottor Riccardo Ceccarelli. Io quest’anno pensavo di saltare il solito check up, ma quando l’ho visto l’ho chiamato per dirgli che se mi avesse avvisato sarei andato con lui. In sottofondo, sento il medico suggerirgli di presentarmi il mercoledì successivo».

Quel giorno com’è andata?
«Per prima cosa faccio una ecografia addominale. Lorenzo, l’ecografista, mi dice subito: dobbiamo parlare, c’è una lesione; si può prendere, ma devi correre. Chiamo subito mia moglie Cristina, che nonostante lo choc si attiva per prenotare una Tac e una visita con il chirurgo, a Verona».

Perché Verona?
«Perché mia sorella è morta al San Raffaele, per la stessa malattia. Psicologicamente, preferivo farmi vedere altrove. Il chirurgo mi ha fatto un disegnino su un foglio e mi ha parlato dell’operazione, dopo la chemio. Sapere di potermi operare mi ha fatto intravedere un po’ di luce».

E dove ha scelto di curarsi?
«La chemio potevo farla ovunque, e il San Raffaele è davvero a due minuti da casa. Martina, l’amica che mi ha fissato l’appuntamento, mi ha dato del deficiente perché avrei dovuto chiamarla subito. Così ho visto il professor Stefano Crippa, mi ha fatto lo stesso disegnino del collega di Verona e lì mi sono tranquillizzato: la strada era giusta».

Quando lo avete detto ai vostri figli?
«Alla fine di luglio, dopo una vacanza. Cristina, ancora una volta, è stata bravissima: è la colonna portante della famiglia, è una donna fortissima. Ha cominciato lei: “Papà si deve curare”. Ma io ho chiesto di comportarsi come sempre, di farmi arrabbiare, perché non avevo bisogno di infermieri».

Con i suoi genitori quando ne ha parlato?
«Ho aspettato settembre, volevo che trascorressero una bella estate. Mi ha addolorato vedere mia madre appassire come un fiore, mentre mi ascoltava, ma si è subito ripresa e ci siamo focalizzati sull’intervento: se si può fare, il tumore si può togliere».

Com’è cambiato il suo rapporto con il corpo? Lei è stato un atleta delle Fiamme Oro, ha vinto una storica Coppa Italia nello sci alpino.
«Sono anche maestro e allenatore federale di sci. In quegli anni mi sentivo indistruttibile. Ora ho imparato ad ascoltarmi, a sentire la stanchezza, le dita delle mani e dei piedi diverse dopo la chemio, le gambe che fanno giacomo giacomo. Però continuo a giocare a calcetto una volta alla settimana con gli amici di sempre: vabbè, ora sto in porta… Luca mi ha trascinato a giocare a tennis e a padel. Mi viene subito il fiatone, ma almeno ci provo. Esco con l’ebike. Un giovane pilota di Formula 1 e il medico che mi ha in cura mi hanno detto che è una questione di testa e io ce la sto mettendo tutta».

Ha paura?
«L’ho avuta quando l’oncologo mi ha parlato della radioterapia e ho temuto che l’operazione saltasse. Quella notte Cristina era a Roma per lavoro e nel lettone con me c’era Anita, che si era intrufolata. Lei è uno spettacolo, mi dà forza già solo guardarla. Da poco siamo andati insieme al concerto di Alfa ed è stato un momento bello, solo nostro».

Si è chiesto perché a lei?
«No. Mi toglierebbe solo energie. E a me servono per guarire».

Alle sue spalle c’è un bell’albero di Natale. È stato diverso, quest’anno, farlo?
«L’ho voluto comprare nuovo, bianco. Mentre con i ragazzi sistemavo le palline e i fili non ho pensato che potesse essere l’ultimo, ma certo avevo uno spirito diverso. È come se ora il mio tempo fosse più intenso, non mi va di farlo scivolare via».

Perché ha deciso di parlarne adesso?
«Perché qualcuno comincia a fare domande. Giorni fa sono entrato in tendenza su X, per il mio aspetto: sono gonfio per il cortisone, sono pelato, ho perso la barba… Alcuni conoscenti hanno creduto senza battere ciglio alla mia storia di un cambio di look. Altri hanno scritto sui social ai miei figli: è stato Luca a chiedermi di dirlo».

È entrato nel mondo della Formula 1 nel 1998, con Rtl 102,5. Ha conosciuto tutti.
«Compreso Senna, lui però quando ero poliziotto e facevo servizio d’ordine: venne a farsi una foto con noi e scherzando ci chiese se volevamo arrestarlo. Di Schumacher ho visto quanto tenesse al team. Sono stato molto amico, con il pudore che si deve a questa parola, di Jules Bianchi, che si è addormentato in Giappone per non svegliarsi più».

I suoi colleghi cosa le hanno detto?
«Il mio team l’ho avvisato durante il viaggio per il Gp in Olanda. Mi sono tolto il cappellino e gliel’ho detto di botto. Sono stati tutti fantastici».

La fede l’aiuta?
«Non credo in modo convenzionale, non vado in chiesa. Ci sono entrato per accendere qualche candela per mia sorella. Ma quando sono in montagna e scendo a valle dopo che se ne sono andati tutti, mi metto a parlare con Dio».

È ottimista?
«Sì, come lo canta Vecchioni, che pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire».

6 dicembre 2025 ( modifica il 6 dicembre 2025 | 07:17)