Definita un capolavoro moderno al debutto nel 1934, «Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk» fu poi stroncata dalla «Pravda» e vittima della censura staliniana. L’esperto Paolo Nori spiega l’eterno, difficile rapporto tra arte e regimi

Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakovič, è un’opera che si porta dietro un passato, e un destino, drammatici. Considerata un capolavoro moderno al suo debutto nel 1934, fece poi i conti con la censura staliniana. Nel 1936, il dittatore la vide e il giorno dopo una recensione anonima su la Pravda la stroncò. Fu quindi ritirata. Il suo autore ne scrisse una versione edulcorata -drammaticità, erotismo e violenza vennero smussati- con il nuovo titolo di Katerina Ismailova, nel 1963. Ne parliamo con lo scrittore, finalista al Premio Strega 2025, ed esperto di cultura russa Paolo Nori. 
Ha definito l’opera di Šostakovič splendida. Cosa ama di questa Lady Macbeth? 
«Conosco un po’ la letteratura, quella russa in particolare, e molto poco la musica, ma ci sono tre opere, il Faust di Gounod, il Boris Godunov di Musorgskij e la Lady Macbeth di Šostakovič alle quali sono affezionato, non saprei dire perché. La novella di Leskov dalla quale viene l’opera è, contemporaneamente, una novella antica e moderna, e si può paragonare a Anna Karenina. La protagonista del romanzo di Tolstoj, pubblicato nel 1877, tradisce il marito e, per questo, si sente in colpa, si interroga, si tormenta, fino a togliersi la vita; la protagonista della novella di Leskov, pubblicata nel 1865, tradisce il marito, uccide il suocero, uccide il marito, il nipote, l’amante del proprio amante, e non si sente per niente in colpa: sembra quasi che pensi che sia un suo diritto». 
Non era in alcun modo un’opera di regime. Secondo lei: fu un rischio calcolato? 
«L’opera di Šostakovič debutta nel gennaio del 1934 e ha un grande successo; la rivista Arte sovietica ne parla come di “Un trionfo del teatro musicale”. Due anni dopo, nel gennaio del ’36, dopo una rappresentazione al Bol’šoj alla presenza di Stalin, esce l’articolo sulla Pravda che parla di “Caos invece di musica”. Non sono uno specialista ma mi vien da pensare che Šostakovič, con la sua opera, fosse in sintonia con il suo pubblico e non avesse intenzioni provocatorie». 
Gli intellettuali russi, a quel tempo, avevano più potere? 
«In Russia, sia con gli zar che con i sovietici che dopo, la cultura è la principale nemica del potere. Dostoevskij è stato condannato a morte, nel 1849, e nel Novecento un ex funzionario del Kgb ha proposto di rendere la sede del Kgb di Pietroburgo monumento letterario; quando gli hanno chiesto “Ma perché?” lui ha risposto “Come perché? Son passati tutti di qui”». 
Ritiene che sia importante che la Scala abbia deciso di aprire con Lady Macbeth? Sembrano lontanissimi i tempi in cui le sue lezioni su Dostoevskij, vennero cancellate dal programma dell’Università di Milano-Bicocca per «evitare qualsiasi forma di polemica»
«Per chi come me ha un forte legame con la cultura russa, l’atteggiamento del Teatro alla Scala nei confronti della cultura russa è una benedizione». Nessuno meglio di lei può chiarirci quale sia la posizione di Vladimir Putin verso la cultura interna. Il Putin di oggi, facendo un parallelo con il ritiro dell’opera di Šostakovič, lo possiamo paragonare allo Stalin del 1936? 
«Non sono uno specialista né di opere liriche, né di Stalin, né di Putin, non è il mio campo. Mi piace però ricordare che l’Unione Sovietica, guidata da Stalin, ha sconfitto la Germania nazista, ha liberato Berlino e i campi di sterminio. Io, devo confessare, sono contento, che abbiano vinto loro e non gli altri». 
Com’è la situazione culturale in Russia, oggi? Gli intellettuali sono tutti contro Putin? Oppure c’è qualcuno di loro che, invece che una spina nel fianco, gli è anche utile? 
«Molti artisti russi sono contro l’operazione speciale e la politica del Cremlino, tra gli scrittori ricordo Boris Akunin, Dmtrij Bykov e Vladimir Sorokin. Ci sono anche artisti russi che sostengono la politica del Cremlino, i primi che mi vengono in mente sono Nikita Michalkov e lo scrittore Zachar Prilepin, al quale, per questo, probabilmente, nel 2023, hanno fatto saltare per aria la macchina (il suo autista è morto, lui si è salvato). Non mi sento però di giudicare, da qui, quel che succede là. La prima volta che sono andato in Russia dopo l’inizio della guerra ho trovato su un portone del centro di Pietroburgo uno slogan antimilitarista: “Net vojne” (No alla guerra), e l’ho fotografato, l’ho messo sui social, una signora italiana ha commentato “Com’è scritto in piccolo”, “Vieni tu” le ho risposto “a scriverlo in grande”. “Hai ragione”, ha scritto lei alla fine».



















































6 dicembre 2025