di
Vera Martinella
La scienziata, capo dell’Ematologia Sperimentale del San Raffaele di Milano, terrà la Ham-Wasserman Lecture riservata a chi ha fatto scoperte rilevanti: «Fondamentali i suoi studi nella terapia genica per i tumori del sangue»
Sarà affidata all’italiana Chiara Bonini la prestigiosa Ham-Wasserman Lecture, una delle sessioni più ambite del prossimo congresso americano di ematologia che inizierà sabato 6 dicembre a Orlando, in Florida.
La lettura è fra gli appuntamenti più attesi al convegno dell’Ash, l’American Society of Hematology, tradizionalmente tenuta da medici o ricercatori non statunitensi ed è riservata a scienziati che abbiano dato un contributo importante nel campo dell’ematologia.
La Ham-Wasserman Lecture è prevista in apertura dei lavori (il 6 dicembre alle 12.30 ora americana, le 18.30 italiane) e Chiara Bonini discuterà dei suoi contributi fondamentali alla terapia genica per i tumori del sangue: «Il suo laboratorio in Italia è stato il primo a utilizzare linfociti T (in pratica i globuli bianchi) geneticamente modificati per curare pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali – si legge nella nota ufficiale di Ash -: questo lavoro pionieristico ha portato all’approvazione della prima terapia genica cellulare per il cancro in Europa. È stata anche pioniera nell’editing genetico del recettore delle cellule T, una tecnica che riprogramma i linfociti T per riconoscere e attaccare le malattie, incluso il cancro».
Cosa sono immunoterapia e CAR-T
La professoressa Bonini ha iniziato le sue ricerche sulla terapia genica più di 30 anni fa, quando questo fronte era ancora agli inizi. Nel corso della sua carriera, il suo lavoro è stato fondamentale per il progresso di nuove terapie contro il cancro che hanno migliorato i risultati per i pazienti in tutto il mondo. Per capire il suo lavoro di ricerca e i suoi successi servono delle premesse: «L’immunoterapia mira a stimolare il sistema immunitario dei malati contro le cellule cancerose – spiega la scienziata -. In pratica le nostre naturali difese vengono potenziate attraverso anticorpi o vaccini (per lo più creati in laboratorio sulla base delle cellule cancerose estratte dal singolo paziente) che “insegnano” così all’organismo come aggredire le cellule malate. Una strategia che appare efficace contro diversi tumori del sangue».
I primi dati di efficacia sull’immunoterapia con linfociti T autologhi (ovvero prelevati dallo stesso paziente) sono stati ottenuti nei pazienti con melanoma cutaneo, già alla fine degli anni ‘80, ma l’anno di svolta è il 2011, quando con grande entusiasmo degli esperti durante il congresso annuale della Società americana di oncologia (Asco) sono stati annunciati i dati che hanno portato all’approvazione del primo farmaco.
Il 2013 è stato l’anno delle CAR-T, quando durante un congresso Ash, vennero presentati gli esiti del primo, strabiliante, test su un paziente, una bambina americana di 7 anni con leucemia linfoblastica acuta, curata con successo dai ricercatori dell’Università di Pennsylvania presso il Children Hospital di Philadelphia.
«La CAR-T therapy è una delle più grandi conquiste della ricerca scientifica e una delle maggiori “rivoluzioni” nella cura del cancro – dice Bonini –: ha cambiato nel giro di pochi anni le prospettive per malati con tumori del sangue per i quali “non c’era più nulla da fare” (non erano riusciti a ottenere risultati con tutte le altre cure disponibili) e che ora possono persino guarire e riprendersi a pieno la vita».
Editing genetico: il «taglia e cuci» del Dna
Il laboratorio di Chiara Bonini in Italia è stato il primo a utilizzare linfociti T per curare pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali: «I malati che effettuano un trapianto da donatore corrono il rischio di una sorta di “rigetto”, la temibile malattia del trapianto contro l’ospite (graft versus host disease o Gvhd) – spiega Bonini -. Bilanciare l’effetto benefico del trapianto con il rischio di Gvhd richiedeva creatività, così abbiamo elaborato strategie basate sul “gene suicida”, che consentivano di eliminare selettivamente le cellule T (i soldati del sistema immunitario) del donatore infuse in caso di tossicità. Questo ha reso la terapia con cellule T più sicura, ma ha anche insegnato come sfruttare le cellule che avevano maggiori probabilità di essere efficaci e persistenti».
Un passaggio determinante per arrivare a un altro settore di cui Bonini è stata pioniera: l’editing genetico, un sistema di taglia e cuci del Dna che ha permesso ai ricercatori non solo di aggiungere un nuovo gene (come avveniva prima, ad esempio nelle CAR-T o in altri farmaci immunoterapici per insegnare al sistema immunitario a individuare il «bersaglio» da colpire, cioè la cellula cancerosa), ma ha consentito anche di sostituire un gene con un altro. «In questo modo possiamo inserire ed eliminare i geni in modo tale che svolgano il lavoro che ci serve contro una determinata malattia – chiarisce Bonini -. Siamo così riusciti a costruire prodotti terapeutici più precisi, specifici ed efficaci. Nei nostri laboratori siamo arrivati alle fasi finali di sperimentazione su cavie e devono partire i primi test sull’uomo per tumori difficili come la leucemia mieloide acuta, l’adenocarcinoma pancreatico, i carcinoma di colon retto e ovaio».
Microambiente tumorale
L’editing genetico ha, infine, un altro campo di applicazione, il microambiente tumorale: un ambito tanto nuovo quanto determinante per i successi futuri contro il cancro. «I tumori cambiano nel tempo, si adattano all’ambiente che li circonda, si organizzano per resistere agli attacchi del sistema immunitrario e delle terapie, per aggirarne l’efficacia – conclude la scienziata -. Con editing genetico possiamo programmare le nuove terapie che costruiamo in modo tale che tengano conto di questo aspetto. Possiamo fare in modo di aggirare la resistenza del tumore e rendere le cure più efficaci».
Chi è Chiara Bonini
Laureata in medicina presso l’Università degli studi di Milano, specializzata in Ematologia a Pavia, con un’esperienza di post-dottorato negli Stati Uniti presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, dal 2000 Chiara Bonini è a capo dell’Unità di Ematologia Sperimentale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. È anche professoressa ordinaria di Ematologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Nel corso della sua carriera, Bonini si è focalizzata sull’immunoterapia, un tipo di trattamento che punta a rafforzare le capacità del sistema immunitario di difenderci dai tumori.
Prima di Bonini, altri due italiani avevano avuto l’onore di vedersi riconosciuta la Ham-Wasserman Lecture: Clara Camaschella nel 2013 per le sue scoperte relative all’importanza del ferro e Giampaolo Merlini, nel 2017 per il contributo dato sul fronte dell’amiloidosi, dai meccanismi molecolari alle terapie mirate.
6 dicembre 2025
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