di
Massimo Franco

De Chirico lo dipinse nel 1963, quando il politico suo amico era un quarantenne in ascesa. Andreotti raccontò che, durante le cinque sedute col Maestro, più di una volta si era appisolato

C’è un ritratto di Giulio Andreotti che pochissimi hanno visto. Perché prima era nello studiolo dell’appartamento di famiglia in Corso Vittorio Emanuele, a Roma, tra una libreria in miniatura di Ettore Sobrero, quattro piccoli modellini in legno di velieri, e le fotografie del matrimonio con Livia, la moglie. 

Dopo la sua morte è arrivato nella casa di un altro Giulio Andreotti, suo nipote, figlio di Stefano, nel quartiere romano della Balduina. È un ritratto a olio fattogli nel 1963 da Giorgio De Chirico, suo amico, capofila della pittura metafisica. E forse ci voleva proprio un genio del surrealismo per cogliere la complessità della figura di Andreotti.



















































Il ritratto di De Chirico

Perché è un quadro strano. Andreotti appare, lui che nelle vignette è stato raffigurato per decenni come una tartaruga ritratta nel suo guscio, o un gobbo, con un sorprendente collo slanciato e lunghissimo. Non porta camicia e cravatta. Indossa una veste da camera e una camicia aperta. E il volto somigliava vagamente a quello di un giovane attore di allora, Marcello Mastroianni. 

Ma soprattutto, le dita intrecciate e colte in un movimento quasi febbrile, incontrollato, segnalano come un’inquietudine, un nervosismo che contraddice la calma trasmessa dal resto della figura; e l’immagine impassibile trasmessa come uomo politico.

Non a caso quel ritratto non piaceva molto alla signora Livia. Quando me lo mostrò, disse che De Chirico aveva disegnato male le mani del marito. «Quelle non sono le mani di Giulio», protestava. «Giulio ha le dita diritte, lunghe, affusolate». Era vero, ma De Chirico aveva guardato oltre la fisicità andreottiana, e individuato qualcosa di metafisico, appunto: quasi un richiamo all’indole segreta dell’uomo di governo, alla sua impazienza sempre tenuta nascosta.

Fondali di preti, suore e papi

De Chirico sembrava avere raffigurato un’altra persona: un Andreotti metafisico e surreale, rispetto all’immagine anche mentale che l’Italia se n’era fatta. Era surreale anche lo sfondo bucolico dal quale spuntava quella figura. Andreotti solitamente era associato a fondali di preti, suore, papi, bandiere ministeriali, comizi e, negli ultimi anni di vita, aule di tribunali. 

Lo stesso Andreotti aveva raccontato con un filo di ironia quell’esperienza da «modello» del grande pittore. «Entro il mese spero che finisca anche se un’ora di immobilità e di silenzio giova alla formazione del carattere. Venerdì sarò a cena da lui. Non ho potuto esimermi».

Allora era un quarantenne in ascesa, e ricordava le cinque sedute dal «Maestro» come un esercizio di pazienza ai quali si era presentato incuriosito e lievemente teso. In realtà, confessava che dopo un po’ tendeva ad appisolarsi: gli veniva sonno. Nei suoi «Diari degli Anni di Piombo», alla data del 20 novembre 1978 scrisse: «È morto il grande De Chirico, un pittore che “resta”, ma che in vita è stato snobbato e peggio. Qualche anno fa volle farmi il ritratto, era d’estate, di primo pomeriggio, e avevamo ambedue un po’ sonno (e forse si vede)».

Voleva che mi vestissi da paggio

Con la sua vena ironica, Andreotti raccontava che «all’inizio il Maestro voleva che mi vestissi da paggio. Gli piacevano certi stili e sfondi raffaelleschi. Ma mi sono rifiutato. Ricordo che, mentre dipingeva, un assistente accanto a lui faceva lo stesso: quadri che non so se lui, poi, firmasse. Gli piacevano molto le ragazze. E per sfuggire alla moglie Isabella, che era una donna dominante, faceva piccoli quadri che si nascondeva sotto il cappotto prima di uscire. De Chirico andava al Caffè Greco in via Condotti e credo li vendesse per pagare il caffè, immagino solo quello, a queste giovani donne di cui si invaghiva».

Ironie a parte, Andreotti lo stimava molto. Su sollecitazione di Renato Guttuso, anche lui suo amico, cercò di rivalutare e farlo ricordare dopo la morte. Nel suo libro Cara Liviuccia, che raccoglie le lettere alla moglie Livia, Andreotti ricordava le mostre del Maestro, e le cene a casa sua con l’ambasciatore sovietico di allora. Nel 1961 aveva anche inaugurato una sua mostra a Montecatini. Una mostra di De Chirico assai bella, anche per le miniature e le gioiellerie, ma carissima. Sono curioso di vedere quanto vende. Il Maestro è qui in albergo e pontifica alquanto…».

Eppure lo ammirava. Forse perché aveva il sospetto che quel ritratto metafisico che gli aveva fatto nell’agosto del 1963 svelasse il vero Andreotti, quello segreto che nemmeno la moglie era riuscita a decifrare fino in fondo.

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6 dicembre 2025 ( modifica il 6 dicembre 2025 | 13:33)