di
Pasquale Elia

Il cantautore a Milano festeggia il celebre album con un concerto. E invita il pubblico a ballare

Cinquant’anni di misteri, di stravaganti interpretazioni. Cinquant’anni ad arrovellarsi il cervello per capire il significato di quei testi sospesi tra sogno e realtà, per poi accorgersi che bastava solo ascoltare e lasciarsi sedurre da quel flusso di coscienza senza cercare una spiegazione a tutti i costi. Perché Quattro cani restano quattro cani dai caratteri diversi che si possono incontrare nelle strade di qualsiasi città; perché Piano bar è solo il «racconto» su un pianista «che suonerà finché lo vuoi sentire». Per il resto, non c’è niente da capire. Francesco De Gregori, invece, aveva capito, o forse solo sperato, che polverizzare la classica canzone d’autore gli avrebbe permesso di disegnare storie, sì dall’aspetto dadaista, ma comunque legate a suggestioni della vita di tutti i giorni. Nel 1975 questa intuizione finì in un disco, Rimmel, che ancora oggi, a distanza di mezzo secolo («ma non sa di tappo», dice) si presenta con un «vestito» dai colori ancora accesi. Ed è per questo che ieri, in un Forum stracolmo di gente e di affetto per quel tipo alto, magro e con il cappello, che diverse generazioni si sono unite per cori e applausi senza età. Annunciando il tour-omaggio per l’anniversario dell’album, De Gregori aveva detto: «Dobbiamo rispetto a questo vecchietto e perciò lo suoneremo tutto e il più possibile identico all’originale». Promessa mantenuta, per la gioia del pubblico abituato (o rassegnato?) agli imprevedibili cambi di direzione di Francesco durante i live. Però, non è che si possa pretendere più di tanto da un Principe. Ed allora ecco spuntare all’inizio del concerto un brano (Cercando un altro Egitto) con i versi finali di tutte le strofe tagliati via. Probabilmente qualcuno in platea avrà pensato: ci risiamo, addio alle versioni autentiche delle canzoni.

Ipotesi sbagliata, perché di fatto è l’unica «libertà» che si concede il cantautore durante tutto lo show che mette in fila (come promesso) tutti i pezzi di quel disco-rivelazione, figlio anche di quella tecnica narrativa cara a Fellini e che incantò Francesco. D’altronde, molte delle sue canzoni, non assomigliano forse alla trasposizione in musica di una sequenza cinematografica giocata tra zoom e piani lunghi? La serata fila via liscia lasciando nel blocco centrale i brani di Rimmel (Pezzi di vetro, Il signor Hood, Pablo) anticipati e seguiti da altre hit (Compagni di viaggio, La leva calcistica della classe ’68, Generale, Sempre e per sempre), ma pure da nevergreen tipo Il panorama di Betlemme del 2005 (chiaro riferimento alla questione palestinese) o anche I matti del 1987.



















































La band non sbaglia un colpo consentendo alla voce di De Gregori di viaggiare precisa e sicura, di sfoderare una sapienza in più e una pastosità che ha il sapore della padronanza. Lui, Principe dei cantautori, è consapevole di dovere tanto a Dylan e perciò apre il concerto con Via della povertà, traduzione di Desolation Row, e lo chiude con Fiorellino # 12&35, citazione di Rainy Day Women #12&35, un blues da banda di ottoni per un omaggio al Premio Nobel da parte di una artista dylaniano e dilaniato. Ma che, dopo anni di avventure dal vivo, sa come divertire e divertirsi. Ad esempio, invitando il pubblico a ballare un valzer per mezzo secolo di Rimmel.

6 dicembre 2025 ( modifica il 6 dicembre 2025 | 23:12)