di
Gianni Santucci
Grande Medaglia d’oro per i 50 anni del Fondo per l’ambiente italiano (Fai). Il presidente Magnifico: «Dolore per il Meazza. L’anima della città non interessa ai nuovi ricchi, la borghesia milanese, erede di una grande tradizione, si faccia vedere di più»
San Siro?
«Abbattimento doloroso».
Il Duomo?
«Troppo illuminato».
La Galleria?
«Rischia di diventare solo un posto da selfie».
Il Diurno di Porta Venezia?
«Abbandonato. Umidità, muffa. Un’altra ferita».
E la borghesia milanese?
«Batta un colpo. Si faccia vedere di più. È erede di una storia e di una tradizione. Parliamo dell’identità di Milano: non può finire in vendita».
La grande medaglia d’oro nel giorno degli Ambrogini è la massima onorificenza della città. Quest’anno è stata assegnata al Fondo per l’ambiente italiano, a 50 anni dalla «nascita». Mezzo secolo di storia che è un modello di milanesità: per missione, visione, organizzazione, come spiega il presidente Marco Magnifico.
Perché i milanesi amano il Fai?
«Perché capiscono che di Milano interpretiamo lo stile e l’anima: quella “catto-protestante”, borromaica, del cardinal Federico e non solo di san Carlo. Il vero cuore dell’anima milanese è all’Ambrosiana».
È in questa prospettiva che nascono le sue critiche?
«La grande medaglia d’oro è un premio alle decine di migliaia di iscritti e volontari. Milano è una città che funziona. Ben amministrata. Con tante eccellenze: dalla sanità, ai servizi pubblici. Qui il Fai è nato. Qui siamo amati e capiti. Con Casa Crespi in via Verga e Casa Livio in via Olivetani, due splendide dimore storiche che saranno aperte nel 2027, tre case-museo milanesi su sei saranno del Fai. A volte sono critico, è vero; lo faceva anche Giulia Maria Crespi, ma sempre con propositività e positività. Perché vorremmo fare di più. E avremmo potuto fare di più».
Si riferisce al Diurno Venezia di piazza Oberdan?
«Lo abbiamo riaperto e raccontato, tra 2014 e 2017, a 45 mila visitatori. Era intatto, una Pompei moderna. Un capolavoro dei primi anni Venti dell’architetto Portaluppi, che mentre progettava la villa per le sorelle Necchi, costruiva il Diurno per i poveri. Un simbolo potente: accoglieva chi arrivava a Milano, offriva un luogo per lavarsi e rendersi presentabili prima di affrontare la grande città. Avevamo un progetto approvato dalla Soprintendenza per tenere aperto e vivo il Diurno. Nel 2021 ci hanno tolto le chiavi. Ed è tornato in abbandono».
Perché?
«È arrivata la sirena del museo di arte digitale, un po’ una mania. Nei fatti, oggi quel luogo resta chiuso».
Per la palazzina Appiani è successa la stessa cosa?
«L’avevamo in concessione. Abbiamo investito mezzo milione, accolto 127 mila visitatori, fatto un restauro che parlava del contesto: Parco Sempione, capolavoro del paesaggismo; l’Arena di Luigi Canonica per Napoleone; la Palazzina come tribuna imperiale. Poi il Comune ci ha chiesto di restituire le chiavi, a gennaio scorso: ed è ancora chiusa. Bene che si pensi alle Olimpiadi, ma spero resti un luogo che racconta Milano».
Toccata l’Arena, non si può non chiederle una considerazione su San Siro.
«Premetto: non ho mai giocato a calcio e non sono tifoso. Ma San Siro è un simbolo della Milano del Novecento. È doloroso sapere che sarà abbattuto. Se Inter e Milan fossero ancora di Moratti e Berlusconi non accadrebbe. Oggi lo stadio lo acquista chi di Milano se ne infischia. Si salva una torre: perché? Per far vedere che resta qualcosa? Abbiano il coraggio di abbattere anche quella».
Teme l’avanzata della Milano dei nuovi ricchi?
«Che cosa interessa dell’anima di Milano a chi arriva con borse di dobloni per comprare case a prezzi stratosferici? I ricchi milanesi, che fossero l’aristocrazia o la grande borghesia, sentivano l’obbligo di restituire: Pirelli, Falck, Crespi… I padiglioni degli ospedali portavano i nomi dei benefattori. Oggi spesso leggiamo A-B-C-D: così si cancella memoria».
Quell’anima è scomparsa?
«Certo che no. Esiste ancora, Milano è ancora la capitale di un privato che, oltre a fare utili, si prende cura della comunità, pensiamo al Fai, al Vidas, all’Airc, alla Piccola casa del rifugio. Forse è il momento che quella grande anima borghese di Milano abbia meno timidezza nel farsi vedere, proporre, anche protestare».
Vede un conflitto su che anima dominerà la Milano del futuro?
«Le città cambiano. È segno di vitalità, e Milano è vitale. Ma non tutto può essere in vendita. Piazza Borromeo, già segnata da un parcheggio, ora è saturata dai tavolini. Ma non possiamo ribadire che è spazio pubblico? Pagano bene,. certo, ma non tutto è monetizzabile. Entravo in Duomo a dire un’Ave Maria: adesso è come entrare in uno stadio. Fari abbaglianti per far vedere il monumento ai turisti. Il Duomo è nato alto e oscuro perché il gotico nasce dal mistero verso l’aldilà, che chissà se c’è. Milano attrae molti più turisti e molti nuovi ricchi. D’accordo. Ma domando: tra accogliere e asservirsi, ci sarà un limite?».
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7 dicembre 2025
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