Ha infilato le chiavi nella serratura e la porta si è aperta all’istante. Poi Lorenzo Vitali, 30 anni, ha fatto solo qualche passo prima di imbattersi nella nonna, Gabriella Armari, classe 1945. Erano da poco trascorse le 8.30 del mattino e in casa, ad Acilia, quartiere nell’entroterra di Ostia, c’era ancora quel vago odore della notte appena trascorsa senza che le finestre fossero state aperte. In cucina, sui fornelli, la macchinetta del caffè calda. I due si guardano e si parlano ma è questione di pochi secondi poi Vitali afferra un martello e colpisce a morte l’anziana. L’ha uccisa così e lei non ha avuto neanche il tempo per gridare, ma non è stato un omicidio d’impeto, convengono gli investigatori. E, tuttavia, il giovane si è accanito: ferite multiple su tutto il corpo senza che fosse risparmiata la testa né il viso. Poi il 30enne, con quel martello intriso di sangue, si dirige verso la camera da letto della madre, già uscita di casa per il turno in ospedale da infermiera, e si accanisce contro il suo compagno. L’uomo riesce a scappare e a salvarsi. A piedi nudi raggiunge un bar chiedendo aiuto.
LA CONFESSIONE
«Mi dispiace ma per anni mi hanno maltrattato», le poche parole che Vitali pronuncerà negli uffici della Squadra Mobile di Roma dopo l’arresto. Di fronte al magistrato e agli investigatori si è mostrato calmo ma decisamente poco lucido. Un uomo con degli evidenti gap emotivi e disturbi comportamentali anche se nessuna diagnosi psichiatrica sia stata mai redatta. Una condizione di «disagio familiare» che fa da cornice a un movente ancora da chiarire. Ma il delitto si risolve nel giro di poche ore: dopo l’omicidio della nonna e il tentato omicidio del compagno della madre, Vitali esce di casa e si porta il martello che farà poi ritrovare alla polizia abbandonato non lontano da quel complesso residenziale in cui era nato e cresciuto. Sale sul trenino per Roma ma viene subito geolocalizzato tramite il cellulare dagli agenti della Mobile che intanto erano arrivati in via Giuseppe Molteni 265 trovando il compagno e un appartamento modesto con i pavimenti sporchi di sangue e un cadavere che giaceva supino in una stanza. Arrivato alla fermata della metro San Paolo Vitali chiama il 112 e si costituisce: «venitemi a prendere», dirà e sul posto intervengono le Volanti. Il 30enne non oppone resistenza, ammetterà di aver ucciso la nonna materna e di aver poi aggredito anche il compagno della madre e racconterà, seppur con poche parole, di anni trascorsi nell’ombra e nella derisione.
LA CHIAMATA
Racconterà di abusi e maltrattamenti vissuti in quella casa fin da quando era un bambino, fin quando il padre biologico ancora viveva con loro prima di separarsi dalla madre. Ma il suo racconto non è suffragato da prove alcune: non ci sono denunce né interventi degli assistenti sociali, nulla che possa descrivere compiutamente quello che il 30enne, assistito dall’avvocato Massimo Rao Camemi, metterà a verbale negli uffici del secondo piano della Questura di Roma. Una vita la sua nell’ombra, forse nell’indifferenza, di certo trascorsa nell’odio. Nessuna occupazione stabile, una segnalazione alla Prefettura per essere stato trovato nel 2012 con un po’ di hashish in tasca e poi i viaggi verso la Svizzera da dove pare fosse tornato solo due giorni fa, prendendo una camera in un hotel vicino alla casa dove viveva la madre con il compagno e la nonna. Aveva ancora le chiavi di casa e con quelle ieri mattina è entrato, firmando la mattanza. «Ho una figlia e una compagna – ha detto poi Vitali – che vivono in Svizzera», la donna pare l’abbia conosciuta su internet fra social e videogiochi ma il suo nome esiste, nei prossimi giorni verrà ascoltata così come la madre, infermiera professionale. La donna ieri, terminato il turno di lavoro, è tornata a casa trovando molti agenti di polizia e la Scientifica che per ore ha svolto il sopralluogo. Non credeva, non pensava. Sotto choc è stata soccorsa perché ha avuto un mancamento. Anche lei sarà ascoltata nei prossimi giorni per cercare di far luce dietro un omicidio e un tentanto omicidio compiuti dal figlio. Il ragazzo, che non ha mai ultimato gli studi superiori, è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli, fra lunedì e martedì si svolgerà l’interrogatorio di garanzia. «Abbiamo sentito le urla di un uomo, poi il trambusto ma in quella casa non c’erano stati mai discussioni tale da attrarre l’attenzione di noi residenti», ha detto costernata una vicina. «Era una maschera di sangue», aggiungeranno i titolari del bar che soccorreranno il compagno della madre del 30enne. L’uomo, colpito al volto con un buco alla tempia, è stato ricoverato all’ospedale Sandro Grassi di Ostia, le sue condizioni sono stabili. «È entrato come una furia» dirà ai sanitari. Lorenzo, 30 anni, corporatura minuta, che nel pomeriggio, con le mani sulle ginocchia terrà lo sguardo fisso alle pareti bianche degli uffici della Mobile.
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