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Il cinema è lo strumento di immedesimazione per eccellenza. Per questo proponiamo cinque film per capire meglio la cosiddetta “legge sul consenso”, in discussione al Senato. Perché, mai come in questo caso, è opportuno immedesimarsi nel punto di vista altrui per riuscire a farsi un’opinione consapevole. Dopo il rinvio della scorsa settimana, infatti, la commissione Giustizia è al lavoro per definire la proposta di legge che modificherà l’articolo 609-bis del codice penale, includendo per la prima volta il concetto di “consenso libero e attuale” in materia di violenza sessuale. In attesa che i lavori riprendano, a inizio 2026, ecco alcuni film attinenti al tema. Perché qualsiasi cambiamento sociale è prima di tutto culturale, oltre che giuridico.
Legge sul “consenso”: cosa cambia, il significato e che succede ora (dopo il rinvio in Senato)“Anatomia di uno scandalo”: se un politico viene accusato di violenza (dalla sua ex amante)
Prima posizione in classifica per “Anatomia di uno scandalo”, miniserie britannica disponibile su Netflix dal 2022. Più di tutti, infatti, questa serie drammatica affronta in modo mirato il tema del consenso: secondo la critica il risultato è altalenante, ma vale la pena guardarla e farsi una propria idea.
In questo caso seguiamo passo dopo passo il processo che vede contrapposti James Whitehouse, ministro inglese (Rupert Friend), e Olivia Lytton (Naomi Scott), assistente parlamentare nonché sua ex amante. Lei accusa l’uomo di violenza in occasione di un episodio specifico, pur ammettendo la relazione avuta in passato; lui si difende, negando l’accusa di violenza, non certo la relazione. La telecamera ci porta dentro le aule di tribunale: una parte contro l’altra, noi spettatori trasformati in giuria popolare. “Lei ha mai detto no?”, chiede la difesa, basando la sua strategia sulla relazione pregressa, mentre l’accusa porta le prove della violenza subita.
La narrazione esplora così le zone grigie della legge sul consenso, soprattutto quando è presente un rapporto pregresso tra le parti, indagando il tema dell’ “attualità” del consenso. Affronta, inoltre, il concetto di “freezing”, ovvero il congelamento fisico che alcune vittime vivono durante la violenza, spesso scambiato per consenso.
Al legal drama si aggiungono poi ulteriori filoni, come il circo mediatico in sé che segue l’accusa al politico: la curiosità morbosa della società, il rimestare della stampa scandalistica nel passato di James, le strategie di pubblica difesa. E ancora il dramma umano di una coppia, in particolare di Sophie, moglie tradita di James, interpretata da una fantastica Sienna Miller, pronta a difendere il marito a ogni costo. Una mini serie che si lascia guardare tutto d’un fiato, seppure il tema in sé del consenso si sarebbe prestato a ulteriore approfondimento. È un’ottima idea di maratona per il prossimo weekend: gli episodi durano in totale 4 ore e mezza.
Rupert Friend e Sienna Miller in “Anatomia di uno scandalo”“How to have sex”, o di come fare sesso
“How to have sex”, letteralmente “Come fare sesso”, è un film drammatico del 2023, vincitore di premi a Cannes e ai Bafta. Siamo calati appieno nel mondo dell’adolescenza ma, anche se siete più grandi, sarà interessante immergervi in quello che succede nei grandi resort del divertimento sfrenato a mo’ di Ibiza o Mykonos. Se poi avete figli in quell’età, lo consigliamo a voi e a loro stessi.
Il film comincia nell’euforia di un volo pieno di sedicenni che atterrano a Malia, località di vacanza in Grecia. Un po’ ancora bambini, un po’ già adolescenti, i ragazzi assaggiano le prime libertà lontani dai genitori, cercando la trasgressione tra grandi caraffe di alcool e locali. Arrivati in hotel, le stanze vengono in base a chi ha più prospettive sessuali. L’obiettivo della vacanza è, infatti, “fare sesso e bere”. Dietro la gestualità della sigaretta che comunica un’apparente sicurezza ma nasconde fragilità, c’è però Tara, la più insicura del gruppo, la più confusa sul futuro, la bravissima attrice Mia McKenna-Bruce. “Se non faccio sesso in questa vacanza non lo farò mai”, dice, stretta tra la sua timidezza e la pressione delle amiche che la additano per non aver ancora avuto alcun approccio al sesso. Alla fine si apparterà al mare con un ragazzo, ma è proprio lì che si paleserà la distanza tra ciò che vuole davvero e ciò che il contesto la induce a fare.
Quello della regista Molly Manning Walker è uno studio comportamentale che, pur privilegiando lo sguardo femminile, invita alla riflessione: il film interroga uomini e donne a riconoscere lo stato d’animo proprio e altrui. Lo sguardo fresco di Walker – classe 1993 – è, inoltre, molto ben calato nel presente: la “perdizione” della compagnia è evocata in modo quasi sensoriale. Tra i meriti del prodotto, anche la breve durata: un’ora e mezza è assolutamente sufficiente a regalare l’incisività che serve al tema. “How to have sex” è disponibile a noleggio su Prime Video e sulla piattaforma Mubi (gratuita per una settimana attraverso Prime). C’è poi un ulteriore ostacolo, che però vi consigliamo di superare: il film è disponibile solo in lingua originale. La fatica dei sottotitoli, però, varrà la pena.
Mia McKenna-Bruce in “How to have sex”“Una donna promettente”, un film che non dimenticherete facilmente
“Una donna promettente”, vincitore del premio Oscar alla miglior sceneggiatura originale nel 2020, è un film che non dimenticherete facilmente. Portatore di un importante messaggio sociale, quello sul consenso appunto, è inoltre un thriller sui generis, disponibile su Prime Video, non per tutti i palati: non solo per la violenza di alcune scene, ma per il tono surreale e simbolico che alcuni potrebbero ritenere troppo astratto.
Cassy, la protagonista, interpretata da Carey Mulligan, è una giovane donna che porta avanti un rituale inquietante: ogni settimana si finge completamente ubriaca in un locale, e ogni settimana dimostra così che c’è sempre un uomo pronto ad approfittarsi di lei, noncurante della sua mancanza di lucidità. Una volta tornata a casa, poi, tiene un diario degli uomini che hanno provato a trattarla come un oggetto sessuale. Lo fa a seguito di un trauma: la sua migliore amica si è infatti uccisa dopo uno stupro. I genitori sono disperati: “Era una donna promettente”, dicono di Cassy. Ma lei non sembra avere altro obiettivo se non quello di vendicare Nina, usando la femminilità come un’arma. Che diventerà molto, molto pericolosa.
Il nome della protagonista non è casuale: Cassy è diminutivo di Cassandra, personaggio della mitologia greca che, per antonomasia, non viene creduta. Allo stesso modo, spesso non vengono credute le donne vittime di violenza. In questo film, il tema del consenso è affrontato dal punto di vista dell’alterazione: Cassy si finge ubriaca, incapace di intendere e di volere, evidenziando così quanto sia ancora diffusa la tendenza a deresponsabilizzare l’aggressore e a colpevolizzare la vittima. Non a caso, tra le prime battute, un uomo rivolto a Cassy, dice: “Allora te la stai cercando”. È il concetto di “vittimizzazione secondaria”.
Qualche parola ancora la merita lo stile della regista Emerald Fenner, volutamente stridente e complesso nelle sensazioni che è capace di evocare. Disorientano le inquadrature in grandangolo. Disorientano i colori “pastello” della scenografia e dei costumi, in totale contrapposizione alla trama sanguinolenta. Disorienta anche la stessa Cassandra, bambina nei suoi abiti colorati, ma in realtà spietata nella sua vendetta. Nel 2020, inoltre, la sua era una figura femminile assolutamente insolita per la narrazione che correva al cinema: è vero, sono passati pochi anni, ma gli angoli vivi e mai smussati di un personaggio così, era completamente diversa dalle sembianze accudenti e femminili a cui le trame clichè ci avevano abituato. Stesso effetto – voluto – lo dà il fatto che Adam Brody, diventato famoso come interprete di figure romantiche, vesta qui i panni di uno stupratore. Il film è insomma guidato dalle convenzioni del revenge movie, finendo per toccare anche uno stile satirico.
Carey Mulligan nel film “Una donna promettente”“After the Hunt”, il dramma giallo-filosofico di Luca Guadagnino
“After the Hunt”, ultima opera dell’acclamato Luca Guadagnino, è uscita appena qualche settimana fa al cinema, ottenendo pochi incassi, ma ora il regista cerca riscatto su Prime Video, dove è (già) disponibile. Il film vuole raccontare cosa succede attorno a una ragazza che denuncia un abuso subito da un professore nel contesto di una università di prestigio. Oltre che sul tema intrinseco del “consenso”, però, le due ore e venti di pellicola sono pretesto per ragionare sull’America polarizzata di oggi, sull’incomunicabilità tra generazioni, e sulle sfumature politiche che ne conseguono.
Eccoci allora nella facoltosa università di Yale, tra persone che hanno posizioni pubbliche piuttosto alte, ma altrettanto discutibili condotte private. Qui una studentessa, Maggie (Ayo Edebiri), confessa ad Alma, professoressa interpretata da Julia Roberts (“Nella sua migliore interpretazione della sua carriera”, dice Guadagnino), che Hank (Andrew Garfield), altro professore, ha abusato di lei. Da qui la caccia alla verità, che dà il titolo al film. Lui si difende: “Sarà la sua parola contro la mia per il resto della mia vita”, dice, “mi ci sono voluti anni per costruirmi una reputazione, non lascerò portare via tutto da una stronz*tta che sfrutta il momento culturale del momento”. E, tutt’intorno, il contesto si dipinge di ipocrisia. Alma invita la ragazza a non denunciare perché altrimenti “diventerai radioattiva, dal momento che l’ambiente universitario è governato da uomini bianchi e a te serve un lavoro”. Una collega, però, le fa notare che “in situazioni di disparità di potere, il consenso e la capacità di darlo sono intrinsecamente interdetti”.
Come si diceva, il film è infatti ritratto di America divisa, polarizzata. Quella in cui, secondo recenti indagini, le giovani donne votano per la sinistra progressista e i giovani uomini virano invece a destra. Non a caso, qualcuno tra gli uomini del film lamenta un fantomatico “declassamento in quanto maschio, bianco ed eterosessuale”. Qualcun altro tratta con sufficienza i più giovani, accusandoli di aver connotato la loro generazione in senso vittimista: “I ragazzi coccolano ogni accenno di vittimizzazione come se non avessero altro per affermarsi”. L’invito, spiega Guadagnino, è al dialogo. In conclusione, questo film, di fattura innegabilmente pregiata, fa per voi se siete pronti a: due ore e mezza di film, un dramma filosofico-giallo.
Julia Roberts e Andrew Garfield“I May destroy you”, il consenso tra etero e gay (ma la storia è molto annacquata)
“I may destroy you” (letteralmente “Potrei distruggerti”) è, in ultimo, una acclamatissima serie tv britannica uscita nel 2020, sospesa tra dramma e giallo, tanto che certa stampa la definì all’epoca la “serie tv dell’anno”: erano infatti quegli gli anni in cui si ricominciava a parlare di consenso nel dibattito pubblico più ampio.
Una notte Arabella, giovane scrittrice in erba interpretata da Michaela Coel, non si accorge che qualcuno le mette la droga dello stupro nel cocktail. A poco a poco, col passare dei giorni, ricostruisce di aver subito una violenza che aveva dimenticato. La accompagniamo così in commissariato, dallo psicologo, nei flashback dolorosi dell’abuso, nella fatica del ritorno al sesso con serenità. In quello che è, a tutti gli effetti, un trauma da stupro.
Qui di consenso sessuale si parla in ogni sua forma, senza mai toni patetici o enfatici, ma anzi in modo realisticamente crudo, come è nello stile degli autori millennials. Dal tema della vittimizzazione secondaria (“Dovevi guardare il tuo drink”, dice un uomo ad Arabella). Fino al tema estremamente interessante, perché poco battuto, del consenso in una coppia gay: in questo caso all’uomo viene infatti dato ancora meno credito che alle donne. E ancora si parla dei pericoli delle dating app, dello stealthing, ovvero della pratica di togliere il preservativo senza consenso (classificata illegale in alcuni paesi). “Finché le persone non sanno che una cosa è un crimine, la compiono”, dice un commissario alla giovane protagonista. Insomma, serie tv consigliata, ma sappiate che è molto annacquata: Fa per voi se siete in cerca di un immersivo bing watching, in tal caso i 12 episodi si vedono in 6 ore.
Michaela Coel in “I may destroy you”