di
Flavio Vanetti

Col Gp di Abu Dhabi si chiude il campionato di Formula 1. Fa festa Norris, Verstappen vince lo stesso, la Ferrari termina un’annata da dimenticare

Nella Formula 1 è terminata la stagione, con Lando Norris campione (fa pure rima…). È dunque tempo di stilare non le pagelle dell’ultima gara, quella di Abu Dhabi vinta da Verstappen su Piastri e sul neo-iridato britannico, ma la «pagellona» riassuntiva e conclusiva.

Lando Norris: 9

Trentacinquesimo campione nella storia della F1, ha trovato al momento giusto la quadra tra difficoltà che sembravano legarsi al suo carattere (e forse anche al suo vissuto precedente: ha ammesso di aver sofferto di depressione) e la necessità di cambiare passo per contrastare Piastri e Verstappen. A vederlo così emotivo e propenso a sbagliare, pochi avrebbero scommesso sulla trasformazione in pilota autorevole e in grado di portare a termine la missione iridata: invece ce l’ha fatta e dunque lode a lui. Ma adesso viene la prova del nove: rivincere è sempre più difficile che vincere, ma più che i risultati conterà la competitività che Lando saprà mettere in pista. Nell’attesa, fuochi d’artificio per MondiaLando, vincitore con appena 2 punti di scarto su Verstappen e primo pilota a laurearsi con il numero 4.



















































Max Verstappen: 10

Il quadri-campione detronizzato, che però non ha mollato mai, ha vinto pure il Gp conclusivo (ottavo centro nella stagione, uno in più di Norris) e ha tenuto viva fino all’ultimo la speranza di ottenere una cinquina iridata. Max dalla ripresa dopo la pausa estiva (dunque dal Gp d’Olanda) nei Gp lunghi ha vinto cinque volte e non è mai andato al di sotto del terzo posto (in due sprint, invece, è stato quarto). La Red Bull aveva perso la bussola – pensiamo anche a causa della situazione intricata con l’ex team principal Chris Horner –, ma ha avuto il buon senso di affidarsi al Cannibale per provare a risalire. E Max ha spiegato alla squadra – e a tutta la F1 – che il vero Alieno delle corse è lui: sul web circola una statistica che ricorda i 21 primati che detiene. Serve altro? Concordiamo con chi lo ritiene il campione morale della stagione.

Oscar Piastri: 8

Onnipotente e favoritissimo per il titolo fino al Gp d’Olanda (lo vinse: non sarebbe più stato primo, se non nella sprint della scorsa settimana in Qatar), quindi alle prese con smottamenti assolutamente imprevisti. Sembrava un pilota di ferro, invece ha mostrato un lato del carattere rivelatosi fragile. La stagione dell’australiano resta però bella: Oscar ad Abu Dhabi ha partecipato al «triello» per il titolo e certe sconfitte a volte fanno crescere.

McLaren: 9

Non c’è la perfezione perché nel finale di stagione, martellata ai fianchi da Verstappen e dalla Red Bull, ha rischiato di perdere il titolo piloti pur essendo in 2 (Norris e Piastri) contro 1 (Verstappen). La doppia squalifica di Las Vegas è il momento peggiore di inattesi balbettii. Però ha il merito di aver tenuto la barra al centro e di essere arrivata alla meta con le sue scelte filosofiche, cominciando dalla prima delle papaya rules: “due piloti, stesse opportunità”. Ecco così l’accoppiata titolo piloti (che mancava dal 2008 quando s’impose Lewis Hamilton)-titolo costruttori: a Woking sono tornati i giorni della gloria.

Andrea Stella: 10

Quindici anni fa, stesso posto e stesso finale di stagione, vedeva Fernando Alonso, del quale era ingegnere di pista, perdere la volata mondiale per un errore del muretto che fa male ancora oggi. Ma il tempo è galantuomo e ha reso ad Andrea quello che Andrea meritava: da team principal della McLaren ha messo al posto giusto le tesserine tecniche – la parte della proprietà e della gestione è in capo a Zak Brown – di un mosaico risultato vincente.

Mercedes: 7,5

Gli anni del dominio assoluto sono ormai un ricordo, ma le Frecce Nero-Argento sono riuscite in qualche modo a migliorare la W16, non certo un fulmine di guerra. La capacità di correggere in corsa è un pregio non da poco e conferma che c’è qualità nel team. Occhio: la Mercedes ha tutto per tornare al livello più alto.

Toto Wolff: 8

Scegliere Kimi Antonelli per rimpiazzare Lewis Hamilton poteva sembrare un azzardo, ma Toto ha vinto la scommessa: il giovane italiano ha sì avuto momenti di difficoltà, però è stato il migliore tra i “deb”. Ora il manager austriaco è chiamato a uno step tutt’altro che semplice: trasformare la coppia Russell-Antonelli in vincente e gestire gli equilibri tra i due piloti.

George Russell: 7,5

Due vittorie, sette podi tra secondi e terzi posti, un successo e tre piazze d’onore nelle gare sprint. Infine, sempre a punti tranne che a Montecarlo (11°): Russell si è dimostrato prima di tutto un pilota regolare e di buon livello, anche se con oscillazioni di rendimento. Però anche in questa stagione c’è un lieve retrogusto di scipito: per essere ancora più forte serve un passo in avanti. Saprà compierlo?

Kimi Antonelli: 7

Un secondo posto e due terzi – più una piazza d’onore nella sprint del Brasile e una partenza dalla prima fila nel Gp lungo, sempre a Interlagos – , 150 punti totalizzati: buttatela via la prima stagione del ragazzo emiliano, che ha preso la patente B di guida all’inizio del 2025, essendosi però già seduto al volante di una F1 (era accaduto nelle prove libere del Gp d’Italia 2024, poco dopo il compimento dei 18 anni). Di Kimi, che in estate ha pure superato l’esame scolastico di maturità, è piaciuta la capacità di crescere e di ripartire dopo qualche inevitabile sbaglio. La stoffa c’è ed è di qualità, il futuro disegnerà il suo “abito”.

Red Bull: 8

Pareva diventato un vascello fantasma alla deriva, tra turbolenze interne e sberloni in pista. Ma quando circolava ormai il refrain “senza Adrian Newey a progettare le macchine non conta più nulla”, ecco l’arrivo di Laurent Mekies (voto 9) a calmare le acque mentre Pierre Waché, direttore tecnico, ha trovato il modo con il suo staff di ridare competitività alla RB21. Era tardi per il Mondiale Costruttori – anche per la zavorra di seconde guide inadeguate – ma c’è stata battaglia per quello Piloti, con Verstappen battuto solo sul filo di lana. Dal 2026 avrà motori marchiati Ford, ma autoprodotti: siamo sicuri che sia solo un azzardo?

Ferrari: 4

Quarto posto tra i Costruttori, dopo aver accarezzato a lungo almeno il secondo. Nell’impertinente e spesso cattivo mondo del web gira l’immagine corretta dello storico scudo della Scuderia: al posto del Cavallino rampante di Francesco Baracca, ecco un asino rampante. Crudele ma sacrosanto: come i musicanti di Brema, quelli di Maranello andavano per suonare ma sono stati suonati. Stagione non deludente, di più: zero vittorie (come nel 2014, nell’annata d’esordio delle power unit ibride), sette podi minori con il solo Leclerc. Questo il bilancio nei Gp “veri”, detto che le sprint hanno aggiunto il successo di Hamilton in Cina e, sempre con lui, il terzo posto di Miami. Da tempo, ormai, la Ferrari sta lavorando al 2026: sperare non costa nulla, ma guai a “cannare” anche la macchina che nascerà all’insegna delle nuove regole.

Lewis Hamilton: 4,5

Troppo brutta per essere vera, la stagione di Lewis, sesto con 156 punti, 6 appena in più del “deb” Antonelli. Verrebbe da essere un po’ clementi, però al termine di un’annata non da Dream Team bensì da Nightmare Team (Nightmare uguale a Incubo) è lecito dire che ingaggiare il sette volte campione del mondo è stato soprattutto (o solo) un colpo di marketing. Ma dato che nessuno, nemmeno il Lewis che nel passaggio alla Rossa sognava ben di meglio di una vittoria e di un terzo posto nelle gare sprint, può sopravvivere ai “non risultati”, delle due, l’una: o Hamilton torna… Hamilton – con l’aiuto di una macchina che si adatta meglio a lui della SF-25 – oppure è preferibile cambiare manico.

Charles Leclerc: 7

Anche l’ultimo Gp ha dimostrato che Charles il carattere non l’ha perso. Però troppo spesso si è trovato a dover nuotare in acque impervie, con onde enormi e invalicabili. Il feeling tra il Principino e la “sua” Rossa si è rotto? Rotto magari no, ma incrinato sì dopo un quinto posto nel Mondiale che non è il risultato sperato. Domanda cattivella, al momento priva di risposta: e se il futuro di Leclerc fosse all’insegna di una “escape strategy”?

Carlos Sainz: 6

Solo nella parte finale ha preso le misure di una Williams che per l’ex ferrarista è stata a lungo un’equazione senza soluzione (soprattutto nella parte centrale del campionato). Tre terzi posti (uno però in una sprint, in Messico) non gli sono bastati a chiudere davanti al compagno di team, nonostante il crollo di rendimento di Alexander Albon. Ma per Carlos l’epilogo in ascesa può essere una buona base di ripartenza.

Isack Hadjar: 7,5

Il suo destino pareva gramo e già deciso fin dalla gara iniziale, quando andò a muro nel giro di ricognizione e si beccò gli strali e i pubblici insulti di Helmut Marko. Invece Hadjar, ripresosi dallo choc, ha dimostrato di essere un pilota solido e tenace, capace di valorizzare le non poche qualità della Racing Bulls. Insomma, Isack ha superato l’esame e ha conquistato la promozione alla Red Bull: nel 2026 sarà a fianco di Verstappen. Vedremo se il Cannibale divorerà pure lui.

Oliver Bearman: 7

Nove gare nel “top ten”, 41 punti in cassaforte e tredicesimo posto: l’Orsetto è stato a volte ingiustamente bastonato (la penalità di Montecarlo grida ancora vendetta) e ha rischiato di “fumarsi” tutti i punti sulla patente (con conseguente espulsione da un Gp). Ma in una Haas che prometteva tanto e alla lunga ha mantenuto poco, ha saputo spesso stare davanti a Esteban Ocon (che ha chiuso subito dietro a lui, battuto di 3 punti a parità di numero di piazzamenti tra i primi 10).

Mattia Binotto: 7

La Sauber diventerà Audi dal 2026 e l’ex team principal della Ferrari ha il compito di far cambiare pelle alla scuderia. Servono passi giusti e tanta pazienza, ma anche un minimo di competitività per essere credibili. Binotto è riuscito a trovarla con il suo staff e, sul fronte piloti, più con l’esperto Hulkenberg che con il debuttante Bortoleto. Ma l’accoppiata veterano-giovane può essere azzeccata per l’inizio del nuovo corso: e su Bortoleto sono in tanti a scommettere.

Il futuro: 7

Nel 2026 avremo nuove regole per le monoposto e per le power unit, che diventeranno ancora più “eco”. Le auto che chiudono qui la loro carriera non sono piaciute quasi a nessuno: troppo grandi e troppo discontinue nel rendimento. Ma non è scontato che quelle in arrivo siano migliori: al nuovo corso diamo dunque un voto più che altro di incoraggiamento. Ma come San Tommaso, crederemo nella bontà della svolta solo dopo aver ficcato il naso.

Flavio Briatore: 5

In F1 ci aveva abituato al “veni, vidi, vici” di Giulio Cesare. Ma la versione 2025 di Mister Billionaire, non è stata precisamente da blitz e da vittorie. Dopo esserne stato nel 2024 consulente esecutivo, nel maggio scorso Briatore è diventato team principal dell’Alpine (che aveva guidato quando era Renault): si pensava che avrebbe cambiato una scuderia che non ne azzeccava una, invece il trend è rimasto desolatamente piatto. Briatore ha forse perso il tocco? E’ uno dei temi interessanti del 2026.

I rivedibili: 6

Partiamo dall’area piloti, inserendo nel purgatorio Gabriel Bortoleto e Liam Lawson. Il brasiliano era lanciato da due titoli consecutivi (F3 e F2) e con la Sauber ha avuto modo di esprimere lampi del suo talento, abbinandoli però a passaggi a vuoto. Quanto a Lawson, cacciato dalla Red Bull dopo appena due Gp e spedito alla Racing Bulls nello scambio con Tsunoda, ha avuto prima di tutto il merito di non deprimersi e poi quello di creare la sua comfort zone nel nuovo team. Nulla di trascendentale, intendiamoci, ma alcune buone gare le ha fatte, togliendosi perfino qualche insospettabile soddisfazione. I team da limbo sono invece la Williams – doveva essere l’anno del grande balzo in avanti e non è stato così, a dispetto del quinto posto tra i Costruttori – e la Haas, piuttosto “zoppa” a causa di Ocon e comunque troppo altalenante.

I grandi veterani: 7

Nella stagione dei 5 esordienti, Bortoleto, Antonelli, Doohan, Hadjar e Bearman (che però nel 2024 a Jeddah aveva sostituito Carlos Sainz sulla Ferrari in quanto lo spagnolo fu operato d’urgenza per un’appendicite), hanno tenuto alto il vessillo dei super-veterani. Parliamo di Fernando Alonso, 44 anni, sempre battagliero nonostante un’Aston Martin deludente e scadente, e di Nico Hulkenberg (Sauber) che in estate a Silverstone, a 38 anni suonati, ha conquistato finalmente il primo podio della carriera dopo oltre 240 partenze (dato dell’epoca, oggi le sue presenze sono 253 e gli start 249). Insomma, se il nuovo in F1 avanza (più o meno), il vecchio non arretra.

Gli inconcludenti: 5

Lista abbastanza ampia per quelli che, per varie ragioni, hanno raccolto molto meno del prevedibile. Palma d’oro, su questo fronte, all’Aston Martin, che non solo non è cresciuta ma nemmeno ha tenuto uno standard di buon livello (quindi cresce la curiosità per vedere quale auto per il 2026 uscirà dalla testa del neo-plenipotenziario Adrian Newey). Alla voce “gamberi” mettiamo anche Alexander Albon, che si è smarrito nei battibecchi con il team e nelle troppe penalizzazioni, e Esteban Ocon, lasciato quasi sempre indietro dal compagno di team Bearman. Gasly e Colapinto, infine, hanno scontato il momentaccio dell’Alpine (vedi alla voce Briatore), ma al netto delle attenuanti spesso si sono fatti travolgere dagli eventi anziché provare ad arginarli.

Da congedare: 4

Yuki Tsunoda è stato una delusione: intendiamoci, nella galassia che fu la Minardi e che ora è la Racing Bulls, dopo aver avuto la sigla Alpha Tauri, non aveva prodotto nulla di indimenticabile, ma aveva fatto buone gare (alternate ad alcune toppate). Helmut Marko in uno dei suoi eccessi di impulsività dopo soli due Gp ha scambiato i sedili tra lui e Liam Lawson: Yuki è finito alla Red Bull e Liam ha preso il suo posto alla Racing Bulls. Si pensava che per il giapponese fosse l’occasione della vita. E’ andata malissimo: anche lui è finito divorato da Super Max Verstappen, che praticamente da solo ha mantenuto la RB sul podio dei Costruttori. Il destino di Tsunoda in F1 è molto incerto, così come quello di Jack Doohan, uno dei cinque esordienti: il figlio di Mick, cinque volte iridato nel Motomondiale, è stato travolto dalla crisi della Alpine ed è stato in breve “briatorizzato” (il fatidico “sei fuori” è volato dopo il Gp di Miami: sostituito da Colapinto): non sarà facile per lui riciclarsi. Lance Stroll, infine: di nuovo scarso e discontinuo. Ma lui il posto non lo rischia, essendo suo papà il padrone dell’Aston Martin.

La Fia: 5

Ancora tanti svarioni nella gestione delle gare e di nuovo lentezze nel prendere decisioni. Serve una federazione più dinamica per tenere testa a una F1 che si sviluppa alla velocità della luce.

Mohammed Ben Sulayem: 2

La Corte di prima istanza di Parigi ha ascoltato la domanda presentata da Laura Villars e dai suoi avvocati, concedendo alla pilota svizzera una data per un futuro processo (sarà a febbraio 2026) contro le regole elettorali che hanno messo automaticamente fuorigioco lei e gli avversari di Mohammed Ben Sulayem per la presidenza della Fia. Così l’attuale “conducator” il 12 dicembre a Tashkent sarà riconfermato per un altro mandato. Sinceramente, visti i suoi modi spicci e autoritari, non ci sembra per nulla una buona notizia. Ma l’azione della Villars, che invoca regole più aperte e condivise, ha un significato epocale: spiega infatti che anche i tribunali ordinari possono intervenire negli affari interni di una federazione quale la Fia.

Il business della F1: 8

Affluenze bibliche, Vip a gogò, lustrini, paillettes e show di contorno mozzafiato (quello di Las Vegas è indimenticabile). La F1 cresce sotto tutti i punti di vista ed è un fenomeno planetario che coinvolge e attira. Stefano Domenicali, Presidente e CEO di Formula One Group, ricorda che davanti alla sua porta c’è una fila di nuovi Paesi interessati a ospitare un Gp. E’ un segnale importante, ma vediamo di non esagerare: le 24 corse attuali a noi paiono già troppe. 

7 dicembre 2025