La generazione PS5 è stata raccontata, fin dal primo giorno, come la vetrina del fotorealismo, dell’audio 3D, dei mondi aperti impossibili da realizzare altrove. Eppure, accanto ai colossi che hanno spinto l’hardware al limite, c’è un fronte meno appariscente, quasi introverso, che ha lavorato nella stessa direzione con mezzi radicalmente diversi.
Non parliamo di blockbuster da centinaia di sviluppatori, né di progetti supportati da anni di marketing e campagne globali. Parliamo degli indie. Delle piccole squadre che hanno deciso di trattare PS5 come un terreno fertile dove sperimentare, osare, mostrare che “indipendente” non significa “piccolo”, e che con gli strumenti giusti anche un team di dieci persone può far sembrare il proprio gioco figlio di una produzione tripla A.
Questa non è una lista di giochi che hanno rivoluzionato il mercato o stracciato le classifiche. È un viaggio nelle opere che hanno dimostrato cosa può nascere quando non si inseguono mode strategiche o KPI predefiniti, ma si lavora per creare un impatto estetico, emotivo o meccanico che possa sorprendere. Opere che, una volta avviate su PS5, hanno spinto molti a chiedersi: “Aspetta… ma questo è davvero un indie?”
The Ascent
La prima cosa che colpisce in The Ascent è la densità. Neon tremolanti che illuminano vicoli corrosi, tubature arrugginite che si intrecciano come vene metalliche, mercati illuminati da vapori che salgono da grate fatiscenti. È un’estetica che comunica abbondanza, come se sotto ci fosse un team di dimensioni enormi. Invece no: è un progetto di uno studio indipendente che ha deciso di affrontare la fantascienza distopica senza compromessi.
Le missioni ripetitive non impediscono al mondo di risultare credibile e vivo, e il mix tra shooting isometrico e progressione RPG conferisce un peso sorprendente ai combattimenti. Il sound design, pulsante e sporco, accompagna l’azione con un’intensità che raramente si vede in progetti simili. È uno di quei casi in cui la visione estetica sopperisce ai limiti produttivi, trasformando un’esperienza compatta in una delle migliori incursioni indie nel genere cyberpunk degli ultimi anni.
![]()
Kena: Bridge of Spirits
Kena: Bridge of Spirits ha fatto parlare di sé sin dal primo trailer per un semplice motivo: la cura dell’animazione. Ember Lab, nato come studio specializzato proprio in questo settore, ha portato nel videogioco la raffinatezza dei suoi cortometraggi, costruendo un’avventura che sembra un film Pixar interattivo.
Ogni espressione, ogni movimento, ogni inquadratura comunica un’attenzione quasi maniacale per la resa visiva. Ma sarebbe riduttivo parlare di Kena come di una “tech demo emotiva”, perché il titolo poggia su un action-adventure solido, con puzzle ben integrati e un ritmo preciso che accompagna la protagonista nel suo ruolo di guida per le anime perdute. Le ambientazioni, sospese tra pittorico e fiabesco, trasformano l’esplorazione in un’esperienza contemplativa, resa ancora più viva dai piccoli Rot, creature che con le loro animazioni impreziosiscono ogni scena e danno al gioco una personalità unica.
Bright Memory: Infinite
Tra gli esempi più emblematici del potenziale degli indie su PS5, Bright Memory: Infinite è probabilmente il più radicale. Un solo sviluppatore, un solo progetto, un solo intento: dimostrare che la tecnologia moderna permette a un individuo di creare ciò che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile senza uno studio di medio-grandi dimensioni.
Illuminazione, riflessi, animazioni e effetti particellari competono senza pudore con produzioni ad alto budget, mentre il gameplay alterna sparatorie serrate, fendenti di katana e sequenze cinematiche che vibrano di un’energia spettacolare. La brevità dell’esperienza e la trama esile sono quasi dei dettagli rispetto al risultato complessivo: un esercizio tecnico che mette in prospettiva cosa significhi davvero essere “indipendenti” nel 2025.
![]()
Tchia
Tchia è un gioco che mette al centro la cultura. Non la cultura generica da cartolina tropicale, ma quella reale, quella di Nuova Caledonia, terra d’origine degli sviluppatori. Questo rende l’avventura un’opera profondamente radicata, dove musica, tradizioni e paesaggi prendono vita senza filtri, trasformando il mondo in un luogo vivo e genuino.
La meccanica del “soul-jumping”, che permette alla protagonista di possedere animali e oggetti, introduce un approccio all’esplorazione brillante e creativo, qualcosa che i grandi open world raramente tentano. Navigare tra le isole, scalare montagne, lanciarsi in mare aperto e sperimentare il possesso come strumento di gioco dà a Tchia una leggerezza giocosa che lo rende unico nel panorama PS5.
The Pathless
Giant Squid ha creato un gioco che privilegia il flusso, dato che The Pathless è un viaggio continuo attraverso un’isola antica e tormentata, un luogo dove i movimenti della cacciatrice diventano un atto coreografico più che atletico. Le distese sterminate, i templi dimenticati, i venti che spingono la protagonista verso velocità sorprendenti: tutto contribuisce a dare l’impressione di un mondo aperto costruito per essere attraversato, non solo esplorato.
La telecamera che si allontana durante le corse a tutta velocità rivela panorami vasti, raffinati e sorprendentemente ricchi per un titolo sviluppato da un team così contenuto. È un esempio potente di come design, direzione artistica e tecnica possano fondersi per creare un’esperienza più evocativa che complessa, ma tremendamente efficace nel lasciare un segno visivo.
![]()
Solar Ash
Solar Ash è la prova che Heart Machine, dopo Hyper Light Drifter, non aveva paura di spingersi oltre. Passare dal 2D a un mondo tridimensionale significa affrontare un’intera disciplina nuova, ma il team ha scelto la strada più difficile: costruire un gioco basato sulla velocità, sul movimento fluido e su creature gigantesche che fungono allo stesso tempo da ambienti e boss.
Il mondo scandito da colori saturi e forme astratte rende ogni area riconoscibile, quasi pittorica, e la traversata a ritmo serrato è ciò che dà al gioco il suo fascino. È vero che narrativa e combattimento non riescono a raggiungere le stesse vette del movimento, ma l’estetica e il level design conferiscono al titolo una presenza scenica degna di produzioni molto più grandi.
Somerville
Somerville è un racconto di sopravvivenza quasi muto: niente dialoghi, nessuna esposizione esplicita, solo immagini, animazioni e un’umanità ferita che emerge da piccoli gesti quotidiani. Il mondo è devastato da un misterioso evento alieno, e la famiglia protagonista deve attraversare rovine, ambienti allagati, strade spezzate, tutto raccontato con una cura registica sorprendente.
La forza del gioco sta nel suo linguaggio visivo, che ricorda un dramma sci-fi girato con un piglio autoriale. Ogni fotogramma comunica tensione, malinconia o inquietudine, e il risultato è un titolo che, pur nella sua semplicità meccanica, possiede una densità emotiva rara tra gli indie.
![]()
Haven
Tra i progetti più originali di questa selezione, Haven si distingue per la sua messa a fuoco: una storia d’amore in fuga, raccontata attraverso un gameplay che mescola raccolta risorse, esplorazione morbida e combattimenti a turni minimali. È un gioco che vive nelle sfumature, nelle discussioni tra i protagonisti, nelle loro fragilità e nella bellezza aliena del pianeta su cui cercano di reinventarsi.
I Game Bakers hanno infuso nell’esperienza una sensibilità che difficilmente si vede nei progetti a grande budget, puntando tutto sulla chimica tra i due personaggi. Il risultato è un mondo che pulsa colore, musica elettronica e poesia, trasformando la sopravvivenza in un atto di complicità.
Eternal Strands
L’impatto visivo di Eternal Strands è quello che colpisce immediatamente. Paesaggi ampi, effetti particellari credibili, reazioni fisiche della materia che ricordano produzioni dal budget elevato. Il sistema magico, basato sulla manipolazione degli elementi, rende ogni scontro un mosaico di interazioni tra ghiaccio, fuoco, superfici che si sciolgono o si frantumano, e creature imponenti che modificano la struttura della battaglia.
La cosa più sorprendente è quanto questo mondo sembri “pesante”, tangibile, vivo, sospinto da un motore grafico che non chiede scusa a nessuno. Guardare l’ambiente reagire agli incantesimi trasforma ogni combattimento in una scena quasi teatrale, dimostrando come creatività e ottimizzazione possano compensare risorse limitate.
![]()
Trepang2
Se c’è un titolo capace di sorprendere per immediatezza e brutalità, quello è Trepang2. La sua anima richiama gli shooter degli anni 2000, quelli dove la fisica era esagerata, il sangue scorreva senza pudore e le abilità sovrumane servivano per amplificare il caos. Ma, al contrario dei giochi del passato, Trepang2 possiede una pulizia tecnica e un ritmo modernissimo che trasformano ogni scontro in un balletto ultraviolento.
Gli ambienti, che oscillano tra laboratori militari, basi innevate e scenari distorti da fenomeni paranormali, si prestano perfettamente alla distruzione totale. Vetri che esplodono, mobili che si disintegrano, fumo che permane per qualche istante prima di dissolversi: dettagli che non richiedono enormi budget, ma enorme attenzione.